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Predire i terremoti? Questione di rocce più che di scosse premonitrici

Un team italiano di scienziati ha analizzato la sismicità della California degli ultimi trent’anni per comprendere quali possano essere segnali premonitori dei grandi terremoti. 

di Claudia Balbi 

martedì 27 febbraio 2024
Tempo di lettura: min

Quando si parla di terremoti i ricercatori da anni stanno tentando di capire se esistono segnali precursori di un sisma. Spesso ci si è chiesti ad esempio se tanti terremoti di bassa energia possono essere considerati dei premonitori di forti sismi o meno. Una nuova ricerca italiana appena pubblicata sulla rivista Journal of Geophysical Research, ha aperto nuove prospettive sul tema. 

Foreshock e sciami
Il team di ricercatori dell'Università Sapienza di Roma, dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e dell'Università di Atene ha analizzato la sismicità della California degli ultimi trent’anni combinando dei modelli teorici con analisi statistiche. La loro ricerca ha evidenziato che i cosiddetti foreshocks, cioè i terremoti di lieve e moderata entità che possono precedere i terremoti più violenti, tendono a diffondersi su aree più grandi, hanno magnitudo con maggiore variabilità e sono più numerosi ed energetici degli sciami, ovvero di quei gruppi di terremoti caratterizzati da magnitudo contenute che non evolvono in un forte terremoto. I risultati, supportati da test statistici, suggeriscono dunque che in presenza di gruppi di terremoti numerosi ed estesi su superfici significative, i cosìdetti foreshock, le probabilità che una attività sismica minore possa culminare in un evento maggiore sia più elevata che in altre condizioni.

Conoscere le rocce
Ma sarebbe nelle rocce che si trovano nell'area in cui avvengono i terremoti che si nascondono i segnali che preannunciano i terremoti. "L’ipotesi - spiegano gli scienziati - è che i volumi di roccia sotto stress inizino progressivamente a destabilizzarsi a vicenda su periodi e aree più o meno estese, producendo clusters di piccoli eventi. Maggiore è l'area su cui avvengono, più alte sono le probabilità che si generi un terremoto in grado di coinvolgere il sistema di faglie instabili nella sua intera estensione: si tratterebbe dunque di un meccanismo di feedback a cascata, in cui la storia del rilascio di energia negli eventi precedenti è in grado di determinare i terremoti futuri, al di là delle condizioni di stabilità locale delle faglie". 

Esempi a conferma della tesi
Se i risultati di questa ricerca fossero confermati, allora sarebbero limitate le speranze di poter stimare la probabilità di un grande evento sismico a partire dalle caratteristiche della sismicità precedente; al contrario, si renderebbe necessaria una caratterizzazione dello stato di stabilità dei sistemi di faglie al fine di comprendere quali siano le chances di un piccolo sciame di evolvere in una vera e propria sequenza sismica. A supporto di questa ipotesi vi sono le numerose evidenze di grandi terremoti avvenuti senza essere preceduti da foreshock o in presenza, persino, di una diminuzione dell'attività sismica, come nel caso del terremoto di Amatrice nel 2016, e il fallimento di numerosi test statistici circa l'ipotesi che i foreshocks si comportino come precursori in modo affidabile e non sporadicamente. I risultati della ricerca ci spingono a superare il concetto di “foreshocks” per spostare l’attenzione sulle condizioni di stabilità dei volumi rocciosi in cui la sismicità si verifica