Le tecnologie genetiche hanno preso piede ma rischiano di dividere l’umanità
Dalle modifiche per curare certe malattie, alla clonazione di animali domestici, passando per la clonazione dei maiali destinati a fornire cuori meno soggetti al rigetto, gli interventi sul Dna saranno centrali in futuro, ma non tutti potranno permetterseli.
di Milos Skakal
Il sito della Cnn ha pubblicato il 14 aprile un articolo su alcuni film che hanno “predetto il futuro della scienza”. Tra i lungometraggi scelti, c’era anche Gattaca, uscito nel 1997.
La storia racconta di una società distopica rigidamente separata tra i validi, ovvero le persone nate geneticamente perfette grazie a una selezione delle migliori cellule dei genitori, e i non-validi, il cui genoma si è formato in maniera tradizionale, cioè a caso, e comporta quindi dei difetti. L’articolo della Cnn fa notare che grazie alla tecnica Crispr-Cas9 oggi è possibile modificare il Dna umano in maniera efficace e precisa, facendo l’esempio di Victoria Gray, una donna di 37 anni guarita dall’anemia falciforme, una malattia genetica, dopo un re-impianto del suo genoma modificato. La modificazione del Dna, umano e non, è da considerarsi quindi come parte del patrimonio scientifico delle società contemporanee ma, oltre alle questioni etiche legate agli esperimenti, sorgono problematiche relative all’accesso alle nuove terapie genetiche e a quali saranno le nuove disuguaglianze che ne scaturiranno.
La cura c’è, ma chi ne beneficia?
Il caso Victoria Gray mostra a pieno quanto la modificazione genetica sia una reale possibilità di migliorare la vita delle persone, ma pone anche un netto spartiacque tra chi ha la fortuna di potersi curare e chi no. Nel mondo più di 300mila bambine e bambini soffrono di anemia falciforme, e almeno il 75% di loro è nato nell’Africa sub-sahariana, dove i programmi di screening e l’accesso alle terapie sono molto limitati. Inoltre, la cura ricevuta da Gray è costata all’incirca 2 milioni di dollari Usa, un prezzo esclusivo. Se in futuro non verranno finanziati programmi di diffusione, in tutto il mondo e all’interno di ogni Paese, delle terapie derivate dalle modificazioni genetiche, i benefici di queste saranno appannaggio solo delle élite che potranno permetterselo. E anche se il prezzo di queste cure potrebbe diminuire con il passare del tempo, grazie magari a innovazioni o allo sviluppo di economie di scala nell’industria farmaceutica, questo tipo di terapie dovrebbe essere incluso tra gli elementi fondamentali del diritto alla cura per essere garantito a tutte e tutti, ma questa tendenza non sembra prendere piede al giorno d’oggi.
Modificare l’embrione umano: è bastata la condanna della comunità internazionale?
Un altro aspetto di dibattito è quello delle modificazioni genetiche “pre-natali”. Infatti, Victoria Gray, nel suo caso, ha ricevuto una terapia che consisteva nel prelievo di una parte del suo stesso midollo osseo per realizzare, a partire da queste cellule, una emoglobina utile a curare la sua malattia. Ma tutto questo processo è stato portato avanti con il suo consenso, e con la motivazione scientifica della cura di un male umano già esistente. Nel 2018, durante una conferenza a Hong Kong, lo scienziato cinese He Jiankui ha rivelato al mondo il risultato dei suoi esperimenti: era riuscito a far nascere gli embrioni di due gemelle il cui Dna era stato modificato grazie alla tecnica Crispr-Cas9, in modo che il loro organismo non ereditasse il virus dell’Hiv dal padre. L’esperimento del ricercatore è stato duramente criticato dalla comunità scientifica internazionale, perché considerato eticamente irresponsabile, visto che queste tecniche sono invasive e comportano comunque un ampio margine di rischio. Inoltre, è stato sottolineato che il trattamento è medicalmente non necessario, perché esistono già terapie sicure e semplici da applicare per curare una eventuale trasmissione ereditaria della malattia, cosa che comunque risulta molto rara in linea paterna. He Jiankui ha ricevuto una condanna a tre anni di prigione in Cina per l’esperimento realizzato, ma ha dichiarato che appena tornato in libertà avrebbe continuato i sui studi sull’argomento, cosa che, dall’aprile del 2022, sembra star facendo.
Gatti clonati e cuore di maiale
Un altro aspetto della modificazione genetica è quello della clonazione. Dal caso della pecora Dolly, il primo essere vivente nato a partire dalle cellule di un altro organismo “clonato”, nel 1996, il progresso in questo campo ha fatto passi da gigante. C’è una storia, raccontata dal giornalista David Cox per Bbc Future, che rivela come la clonazione di animali sia diventata oggi un vero e proprio mercato, con risvolti anche per il futuro della medicina.
In poche parole, immediatamente dopo l’enorme attenzione dovuta alla creazione della pecora Dolly, il centro di ricerca Roslin Institute si è ritrovato in condizioni finanziarie negative, a causa dei tagli ai fondi pubblici voluti dal governo britannico di allora. Il centro ha così messo in vendita la proprietà intellettuale sulla tecnologia di clonazione, che è poi stata comprata nel 1998 dall’azienda texana ViaGen. Per anni la clonazione di animali è stata utilizzata da ViaGen nell’allevamento di bestiame, soprattutto per “scavalcare” la lotteria genetica legata alla riproduzione sessuale. Ma dal 2015 l’azienda offre anche la possibilità di clonare i propri animali domestici: 35mila dollari per un gatto, 50mila per i cani. Tuttavia, la maggior parte, circa il 90% dei clienti, spende all’incirca 1.600 dollari per congelare il Dna del proprio animale domestico, nella speranza di poter avere un giorno i soldi per clonarlo.
Nel campo medico, dopo la notizia del successo di un trapianto di un cuore di maiale in un paziente umano, operato dai chirurghi dell’University of Maryland school of medicine nel gennaio del 2022, qualcuno sta pensando di allevare suini clonati e geneticamente modificati per “raccogliere” organi all’occorrenza. Si tratta del professor Eckard Wolf, a capo del Center for Innovative medical models di Monaco di Baviera, il cui obiettivo è di modificare geneticamente le cellule degli animali “donatori” per minimizzare i rischi di rigetto o di infezioni nel corpo dell’ospite per poi far nascere gli embrioni modificati a seconda delle necessità mediche. Il progetto prevede di essere operativo tra due anni.
Dal punto di vista etico sia la clonazione di animali domestici che la prospettiva di allevare maiali per fornire organi a chi ha bisogno di un trapianto hanno sollevato discussioni e critiche. Rispetto alla clonazione di cani e gatti, per esempio, viene sottolineato che per quanto si tratti geneticamente di cloni, i comportamenti degli animali sono il risultato delle interazioni che questi hanno con il contesto dentro il quale crescono e non solo di una predisposizione genetica. Quindi nonostante si stia parlando di cloni, i comportamenti dell’animale clonato non saranno mai totalmente uguali a quelli dell’animale da cui è stato preso il dna da duplicare. Si rischia quindi di “imbrogliare” i clienti. Mentre per l’allevamento di maiali geneticamente modificati, la Federazione tedesca per la salvaguardia degli animali ha sottolineato che così si degraderebbero i maiali a “industrie di organi”, con forti dubbi sull’eticità di questa pratica.
Campa: un processo inarrestabile
Nell’ambitodella modificazione del genoma la ricerca sta raggiungendo traguardi sempre più incredibili. Per esempio pochi giorni fa l’Università Cambridge-Caltech ha annunciato di avere creato in laboratorio modelli artificiali di embrioni umani, ricavati a partire da cellule staminali e non da ovuli o spermatozoi. Un risultato che permette di poter eseguire esperimenti su embrioni umani, artificiali, anche dopo il 14esimo giorno di sviluppo, ovvero il limite legale entro cui le cellule devono poi essere distrutte per questioni etiche.
Le scoperte della scienza avvengono rapidamente, lasciando spesso il legislatore indietro, e rimane la questione di come si potrebbe regolare l’applicazione delle tecniche di modificazione genetica, anche a livello internazionale. “Nessun organismo internazionale ha il potere di imporre regole nel campo dell’ingegneria genetica o della biomedicina, né tantomeno di obbligare gli Stati nazionali a fornire gratuitamente terapie geniche o di altro tipo”, ha dichiarato a FUTURAnetwork Riccardo Campa, professore all’Università Jagellonica di Cracovia e presidente della Società transumanista italiana, nonché collaboratore della la rivista Futuri. “Vi sono, però, organizzazioni come l’Onu che possono approvare dichiarazioni non vincolanti, le quali hanno comunque effetti pratici”, prosegue Campa. “Per esempio, nel 2005, l’Onu ha approvato una Dichiarazione sulla clonazione umana che invita gli Stati membri ‘ad adottare tutte le misure necessarie per vietare tutte le forme di clonazione umana in quanto incompatibili con la dignità e la protezione della vita’. Per quanto ne sappiamo, da allora, nessun medico ha clonato esseri umani completi. Questo, però, è potuto accadere perché la clonazione di essere umani a scopo riproduttivo è di dubbia o nulla utilità. Non a caso, la dichiarazione Onu sulla clonazione ha lasciato ai Paesi membri un margine di manovra per perseguire la clonazione terapeutica, nonostante le controversie etiche, perché al contrario la sua utilità è evidente. Per quanto riguarda l’accesso alle cure, ci sono Paesi che hanno sistemi sanitari nazionali molto generosi e inclusivi, mentre altri Paesi hanno un sistema privato che garantisce le cure solo a chi può permettersele”.
Ci si chiede quindi se vietare le modificazioni genetiche porterebbe un qualche beneficio alle società contemporanee. “Se un Paese vietasse in toto le terapie geniche non otterrebbe alcun beneficio”, risponde Campa, “né in termini di immediato sollievo per i pazienti né in prospettiva evolutiva. Costringerebbe soltanto i propri cittadini a rassegnarsi alle patologie, a rinunciare alla procreazione o a rivolgersi alle strutture sanitarie pubbliche o private di altri Paesi, con un aggravio di costi. Ciò significa che solo i privilegiati, dal punto di vista economico e culturale, potrebbero trarre vantaggi da terapie che permettono di curare patologie genetiche non con farmaci o interventi chirurgici tradizionali, ma modificando il Dna, il materiale genetico, all’interno delle cellule stesse”. Ma se le modificazioni genetiche fossero “liberalizzate”, come potrebbe accadere, esiste il rischio che la società diventi come quella descritta da Gattaca, con un assoggettamento delle persone che non possono avere accesso a queste tecniche? “Direi che è esattamente il contrario”, afferma Campa. “Poiché i divieti possono funzionare solo su base nazionale, è proprio vietando le nuove tecnologie che potrebbe prodursi uno scenario come quello di Gattaca. I divieti produrrebbero turismo sanitario o un mercato nero che aggraverebbe i costi e consentirebbe solo ai ricchi l’accesso alle terapie. Chiariamo un aspetto. Non stiamo discutendo se consentire o meno la transgenesi, gli organismi geneticamente modificati o le terapie geniche, in un’ottica futuribile. Queste non sono novità. Tutto ciò esiste da mezzo secolo. Ciò che cambia è che le tecniche sono sempre più precise, sicure e potenti. Per evitare che l’umanità si divida in individui di serie A e di serie B sulla base del corredo genetico, ammesso che sia uno scenario plausibile, si dovrebbe non solo approvare l’uso delle terapie geniche una volta che hanno superato la fase di sperimentazione, cosa che già avviene, ma anche favorirne l’accesso agendo sui meccanismi di mercato (per esempio, sfavorendo monopoli e posizioni privilegiate) ed eventualmente mettendo in campo il Servizio sanitario nazionale. A proposito di organismi internazionali, per quanto riguarda la sicurezza e il rispetto delle norme etiche nel campo della sperimentazione umana, voglio ricordare che l’Associazione medica mondiale (Amm) ha approvato una serie di principi noti come Dichiarazione di Helsinki. Sono poi state proposte almeno sette revisioni che hanno reso le regole sempre più stringenti. Tuttavia, anche questi principi sono non vincolanti. Non tutti gli Stati li hanno recepiti. Le ultime revisioni, per esempio, non sono state recepite dagli Stati uniti e dall’Unione europea, perché implicano notevoli vincoli e aggravi di costi per l’industria farmaceutica. Questo per dire che i medici mostrano di essere ben più prudenti di politici e imprenditori”.