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Terremoti: nuove tecnologie per la sicurezza degli edifici storici

Ivan Roselli di Enea illustra la sperimentazione per rafforzare gli edifici storici con tecnologie antisismiche innovative dal minimo impatto visivo.

di Giovanni Peparello

L’Italia ha un grande patrimonio di edifici storici, costruiti in gran parte prima che fossero in vigore le normative tecniche per le costruzioni (la cui impostazione risale ai primi anni duemila), e che quindi non sono stati realizzati con i moderni criteri di progettazione antisismica. Questo significa che c’è un grandissimo parco di strutture e infrastrutture che necessitano di un grande lavoro di miglioramento antisismico, le cui tecniche a volte possono essere molto impattanti dal punto di vista estetico. 

Da queste considerazioni nasce l’idea di rafforzare gli edifici storici con tecnologie antisismiche innovative e soluzioni di sensoristica avanzata, con un impatto visivo minimo. Questo è quanto è stato realizzato nell’ambito del progetto RIPARA, al quale hanno partecipato Enea, l’azienda EdilCAM Sistemi e le Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, Sapienza e Roma Tre (quest’ultima nel ruolo di coordinatore), grazie al finanziamento della Regione Lazio nell’ambito del Distretto tecnologico Beni Culturali (Dtc). Le nuove tecnologie – validate sulle tavole vibranti dell’Enea – renderanno gli edifici idonei a resistere a oltre due volte le accelerazioni del sisma in Centro Italia del 2016. Ne abbiamo parlato con Ivan Roselli, del Laboratorio di analisi e modelli per le infrastrutture critiche ed i servizi essenziali di Enea.

Un prototipo degli edifici colpiti dal terremoto del 2016

Nella prima fase del progetto i ricercatori hanno costruito un edificio prototipo, una sorta di “casetta”, per replicare le murature tipiche delle costruzioni storiche dei borghi dell’Italia centrale. La casetta-prototipo è stata realizzata con gli stessi metodi di tessitura muraria e con le stesse caratteristiche della malta. Per renderla più precisa possibile, è stata costruita utilizzando elementi in pietra prelevati dalle macerie di edifici crollati a seguito del terremoto del 2016. Questo prototipo di muro, senza rinforzi, è stato testato sulle tavole vibranti del Centro ricerche Enea Casaccia, dove sono state riprodotte le stesse scosse del terremoto dell’Italia Centrale del 2016 e del 2017. Lo stesso esperimento è stato quindi riprodotto sul prototipo rafforzato con due nuove tecniche antisismiche.

Una nuova tecnica meno impattante visivamente

“Nello specifico l’idea era semplice", spiega Ivan Roselli, ovvero: esiste una tecnica di rinforzo della muratura storica, che si chiama Cam, che significa Cucitura attiva delle murature. Cam è una tecnica di rinforzo estremamente efficace, testata qui da noi diversi anni fa e già commercializzata dalla EdilCAM. Quella tecnica è estremamente efficace ma ha un unico problema: ha un elevato impatto visivo, perché è una tecnica che si basa sull’inserimento di nastri d’acciaio che vanno a confinare e a trattenere la muratura. Per questo motivo la struttura in muratura storica viene praticamente ingabbiata da questi nastri d’acciaio, che quindi compaiono anche da fuori. L’aspetto estetico ne viene quindi un po’ deturpato, e di conseguenza questa tecnica viene utilizzata soltanto in quelle strutture in muratura storica che vengono poi intonacate, perché poi l’intonaco copre tutto”. Nel nuovo esperimento si è quindi voluto affrontare il tema di evolvere e sviluppare delle tecniche per non renderle così impattanti visivamente, rendendole utilizzabili nel rinforzo delle cosiddette strutture in muratura storica “facciavista”, cioè quelle murature storiche che dall’esterno non sono intonacate. 


Il confronto tra il prototipo senza rinforzo e quello rinforzato

Dopo il primo esperimento i muri del prototipo sono stati quindi riparati e rinforzati con due soluzioni innovative sviluppate nell’ambito del progetto: la prima ha previsto piccoli capochiavi integrati nella muratura facciavista per garantire il corretto “tiro” e trattenimento delle pareti; la seconda soluzione invece ha riguardato l’applicazione di nastri metallici tra la malta e le pietre, totalmente invisibili dall’esterno. Entrambe le soluzioni sono state integrate con l’inserimento di un innovativo sistema di monitoraggio basato su sensori in fibra ottica, realizzato e installato da Enea e Università degli Studi di Roma Tre, per tenere sotto controllo i nastri in acciaio - e quindi lo ‘stato di salute’ strutturale dell’edificio - e minimizzare l’impatto visivo, garantendo, al contempo, affidabilità e durabilità. Anche questo prototipo rafforzato è stato posto sulla tavola vibrante. Perché “l’efficacia del rinforzo antisismico viene fuori proprio dal confronto dei dati acquisiti da queste due prove: la prova senza rinforzo che fa da riferimento e poi la prova con rinforzo, che è l’intervento da validare sperimentalmente. E questa è più o meno la tecnica di sperimentazione sismica che utilizziamo regolarmente”.


La magnitudo e l’accelerazione di gravità

Ma per quale magnitudo sono state testate queste strutture? Roselli fa una precisazione importante: “Noi non ragioniamo in termini di magnitudo. Perché la magnitudo è una quantificazione dell’energia liberata quando avviene un terremoto nel sottosuolo, a chilometri e chilometri sottoterra. Quindi è una misura dell’entità del terremoto come fenomeno naturale. Noi in una sperimentazione sismica non facciamo questo. Quello che facciamo è replicare il movimento che avviene in superficie, cioè il movimento del terreno alla base della costruzione. Quindi i nostri riferimenti sono altri, che sono tipicamente parametri di moto del suolo, quindi per esempio l'accelerazione dell’oscillazione durante la vibrazione del terreno. Ci sono tanti parametri, ma quello che viene utilizzato più comunemente – tradizionalmente, per così dire, anche se non è l’unico e per certi versi non è il migliore – è la cosiddetta PGA, cioè l’accelerazione di picco che ha il terreno quando viene scosso dal terremoto”. 


Il risultato dell’esperimento

Tornando all’esperimento vero e proprio, la casetta-prototipo realizzata senza alcun intervento antisismico durante il test ha avuto un elevato danneggiamento a 0,5 g di PGA, che è la metà dell’accelerazione di gravità. La casetta-prototipo con il rinforzo invece è riuscita ad arrivare fino a 1 g di PGA per avere un danneggiamento comparabile. Il prototipo rafforzato ha resistito quindi a praticamente il doppio dell’accelerazione rispetto al prototipo non rafforzato, ovvero a un'accelerazione pari a quella di gravità. Ma in termini di magnitudo di quanto stiamo parlando? Roselli precisa che l’equivalenza tra PGA e magnitudo non è perfetta, e che quindi può essere fatta solo in modo molto sommario. Però grossomodo possiamo dire che “durante i terremoti che abbiamo visto negli ultimi anni in Italia, che sono stati intorno alla magnitudo 6, come all’Aquila o in Centro Italia, in alcuni punti all’epicentro si sono raggiunte delle PGA che sono intorno a 0,5 g. In alcuni casi possono essere 0,4 oppure 0,3 oppure 0,6, ma non c’è mai un equivalenza precisa”. Il prototipo non rafforzato quindi è stato fortemente danneggiato da un livello di PGA sostanzialmente confrontabile con le massime accelerazioni avvenute durante i terremoti del 2009 e del 2016, che sono anche due dei più devastanti avvenuti in Italia negli ultimi anni. Il prototipo rafforzato ha invece resistito fino a 1 g, che è “un livello di accelerazione enorme”, che avverrebbe in un terremoto così forte “che praticamente in Italia non si è mai registrato”.

Roselli specifica: “Questi sono livelli di accelerazione che sono stati registrati in terremoti avvenuti in Giappone o in America, dove si raggiungono magnitudo fino a 8 o a 9 gradi”. Vale la pena sottolineare ancora che la Pga è solo un parametro tra i tanti, e che non c’è un’equivalenza perfetta tra la magnitudo e l’accelerazione, e che l’effetto del sisma dipende da tutta una serie di altri parametri: da come l’onda arriva in superficie in quel determinato punto, quindi da quanto si è distanti dall'epicentro; da quanto era profondo il terremoto; da quanto era profondo il terremoto; da come sono fatti i terreni negli ultimi 30 metri prima di arrivare in superficie. 

La commercializzazione della tecnica

Ora questo tipo di soluzione è nel pieno del processo per essere brevettata, quindi verosimilmente potrà essere commercializzata da qui a qualche mese o a un anno. Questo genere di tecniche sono pensate per essere più sostenibili possibili anche dal punto di vista economico, ma hanno comunque un costo non indifferente per i privati. “Dal punto di vista del procedimento degli strumenti normativi molto utile è stato il Sisma Bonus, che sull’onda degli altri bonus edilizi è stato uno strumento pensato per incentivare le persone a migliorare sismicamente le proprie costruzioni”. Per Roselli però il motivo per cui questo Bonus non ha avuto un grandissimo successo è perché “burocraticamente è troppo pesante, è troppo difficile da utilizzare”. Questo Bonus andrebbe quindi migliorato, per poter permettere a più persone possibili di utilizzare le tecniche più innovative. “Noi in italia siamo molto avanti nella concezione di dispositivi e di tecniche antisismiche", spiega Roselli, "ma è difficile calarle sul territorio”.

fonte immagine: Enea

martedì 30 luglio 2024