Al via il nuovo blog dell’Associazione dei futuristi italiani: Professione futurista
Uno spazio per dare voce a chi lavora con il futuro, per raccontare esperienze e occasioni di formazione, per analizzare metodi di previsione di cambiamenti in costante accelerazione.
di Roberto Poli, presidente Afi
L’importanza di lavorare con il futuro è sempre più esplicita. Ne parlano tutti, in molti modi diversi. Ne parlerò anch’io, ma con un particolare taglio. Desidero affrontare il tema del futuro dal punto di vista di una specifica competenza professionale. Vorrei cioè sviluppare l’idea che si possa lavorare professionalmente con il futuro. Ma cosa vuol dire essere un professionista di futuro? Come si fa a lavorare con qualcosa che non esiste? Quali competenze servono? Chi lo sta già facendo? Perché dovremmo puntare a sviluppare una competenza di questo tipo?
Questo blog, intitolato non a caso “Professione futurista”, risponderà a queste domande, sia facendo ricorso alle esperienze di chi sta già lavorando da professionista di futuro sia fornendo informazioni sulle ragioni che ci chiedono di adottare il punto di vista del futuro, le organizzazioni e le istituzioni che lo stanno facendo, le occasioni di formazione presenti nel nostro Paese.
Per iniziare, alcune informazioni.
17 maggio 2021: primo incontro in Portogallo della rete dei ministri per il futuro. Avevate mai saputo che esiste una rete europea dei ministri del futuro? Cosa fa? Di quali temi si sta occupando? Chi la coordina? Quali sono le proposte del rappresentante italiano? Sembra corretto affermare che non se n’è parlato molto. Giornali e forze politiche non si sono accorte di questa novità, così come non hanno notato che un commissario europeo (Maros Sefcovic) ha fra le sue competenze anche quella di coordinare le attività di strategic foresight (ovvero le attività di futuro) della Commissione.
Il quadro complessivo però è ancora più interessante. Il Fondo monetario internazionale sta conducendo esercizi di futuro dal 2012 e ha una unità specializzata in giochi di futuro. Quali che siano le vostre idee sul Fmi, immagino non pensiate che siano un gruppo di zuzzurelloni che non avendo niente di meglio da fare perdono in loro tempo in giochini di varia natura. L’Ocse ha diverse unità che si occupano di futuro, la più importante delle quali riporta direttamente al segretario generale dell’organizzazione. Interpol, Croce Rossa, Fao, Unesco e una miriade di altre organizzazioni internazionali hanno unità dedicate che si occupano di futuro e assumono futuristi.
Una domanda che molti si potrebbero fare diventa: perché molte istituzioni (oltre a molte aziende) stanno usando e sviluppando competenze di futuro?
Spero che nessun lettore risponda: perché stiamo vivendo in una fase storica caratterizzata da cambiamenti. Dire che viviamo in una fase caratterizzata da cambiamenti significa affermare che viviamo in una fase come tutte le altre. I cambiamenti sono la norma, la situazione di default. Ovviamente, alcune fasi storiche sono state più sonnolente, altre più vivaci, ma i cambiamenti ci sono sempre stati. Se questa nostra epoca effettivamente presenta tratti originali, è necessario aggiungere qualcos’altro. Due elementi si presentano come particolarmente rilevanti:
- I cambiamenti che si stanno verificando sono sempre più veloci. Il tratto che distingue la contemporaneità è quello dell’accelerazione dei cambiamenti. La progressiva accelerazione dei cambiamenti causa incertezza – sia le persone normali sia i decisori anche di alto livello fanno fatica a capire le direzioni verso cui i diversi cambiamenti stanno andando.
- Molti dei cambiamenti in maturazione presentano dimensioni inusitate che mettono sotto tensione gli strumenti tradizionali. Crisi climatica, aumento globale della popolazione, invecchiamento della popolazione sono alcune (ovvie) esemplificazioni di sfide rispetto alle quali nessuno può seriamente affermare: io so come gestirle.
Quando si parla di futuro è importante distinguere tra ‘foresight’ e ‘forecasting’. Le attività di forecasting concernono la raccolta dati e la loro estrapolazione. Si tratta di tecniche molto note che le organizzazioni usano da decenni. Non è di questo che sto parlando. Quando affermo che istituzioni e aziende stanno adottando strumenti di foresight o di studi di futuro non mi riferisco al forecasting. Se si trattasse di forecasting, non ci sarebbe alcuna sorpresa, sarebbe un classico business as usual. La vera novità è che le organizzazioni internazionali hanno iniziato ad usare altri strumenti, differenti dal forecasting.
In collaborazione con FUTURAnetwork, Afi – l’Associazione futuristi italiani – terrà il suo prossimo Convegno nazionale (il sesto) a Milano, il prossimo maggio. Non a caso, il convegno di quest’anno è intitolato “Professione Futurista”. Lo stesso compito istituzionale di Afi è far riconoscere la professione di futurista.
Una ultima osservazione, per chiudere questa prima puntata del blog. Per diventare architetti del proprio futuro servono luoghi che sviluppino conversazioni strategiche, che riattivino le competenze di futuro che in Italia in particolare si sono atrofizzate negli ultimi decenni. In questo contesto, l’errore più drammatico che si può commettere sarebbe quello di limitarsi ad anticipare il futuro a breve, due-tre anni. L’anticipazione serve se riesce a intercettare i grandi cambiamenti in corso e per poterli vedere servono finestre temporali di lungo periodo, di almeno vent’anni e oltre.
Nella sua autobiografia, un grande manager e futurista italiano, Aurelio Peccei, aveva scritto: “Siamo riusciti a migliorare la qualità degli atleti, dei cosmonauti e degli astronauti, di polli, maiali e mais; di macchine, materiali e artefatti; abbiamo avuto successo con la produttività dell’uomo, con la sua abilità a leggere rapidamente e con la sua capacità a parlare con gli elaboratori. Tuttavia non abbiamo mai tentato seriamente di affinare la sua percezione della sua nuova condizione, di rafforzare la sua coscienza della nuova potenza che possiede, di sviluppare il suo senso delle responsabilità globali che gli incombono, e la sua capacità di valutare gli effetti delle sue azioni” (Peccei, 2014, p. 65). Possiamo sviluppare tutti gli strumenti che vogliamo, ma se non lavoriamo anche sui valori, sulla formazione, sulla qualità delle persone, tutto il resto servirà a poco. Ovvero, futuro e qualità umana non sono separabili.