I suicidi in Europa tendono a diminuire, ma sulla prevenzione c’è ancora molto da fare
L’Agenda 2030 richiede una riduzione di un terzo entro la fine del decennio, ma non tutti i Paesi agiscono per prevenire gli atti suicidari. Italia sotto la media europea ma con un grave problema: le carceri.
di Giuliana Coccia
Nel mondo ogni 40 secondi una persona si toglie la vita.
L’Organizzazione mondiale della sanità stima annualmente più di 700mila suicidi in tutto il mondo. Gli studi dimostrano che l’impiccagione, l’avvelenamento, la precipitazione da luoghi elevati, l’uso di armi da fuoco, l’annegamento e l’overdose di droga sono tra i metodi più comuni per mettere fine alla propria vita.
Esistono molti fattori di rischio per il suicidio, tra cui il bullismo, le difficoltà finanziarie e i traumi, la malattia mentale, soprattutto se non viene trattata, le discriminazioni. Maurizio Pompili, ordinario di Psichiatria presso l’Università di Roma la Sapienza spiega: “Spesso l’individuo cade in ginocchio quando più fattori si mettono insieme, esacerbati dall’esposizione ad un evento avverso; ciò potrebbe rappresentare un terreno fertile per l’emergere di una crisi suicidaria; in questi casi l’individuo sperimenta ciò che chiamiamo dolore mentale, fatto di emozioni negative e di un dialogo interiore che pone sempre in risalto lo stato di sofferenza”.
I tassi di suicidio[1] nel mondo presentano una grande variabilità come risultato di più fattori correlati con un fenomeno decisamente complesso e multideterminato: differenze nel benessere mentale e nel trattamento, discriminazioni, stress personale e finanziario, ecc. Inoltre, in molti Paesi i decessi dovuti ad autolesionismo sono fortemente sottostimati a causa dello stigma sociale e di preoccupazioni culturali e legali; questi decessi sono spesso classificati erroneamente come decessi dovuti a “eventi con intenti indeterminati”, incidenti o cause sconosciute.
Secondo Eurostat, nel 2020 si sono verificati 47.252 decessi dovuti ad autolesionismo intenzionale nei Paesi dell’Ue, corrispondenti a una media di 10,2 decessi ogni 100mila persone. Il fenomeno mostra una diminuzione del tasso di suicidio standardizzato di oltre il 13% nell’ultimo decennio.
Fonte Oms 2022
Tra i Paesi dell’Unione, la Lituania presenta il più alto tasso di suicidio con 21,3 morti per 100mila abitanti, seguita da Ungheria (17,1), Slovenia (17,0) ed Estonia (16,3). L’Italia con un tasso standardizzato di 5,6 per 100mila abitanti, quasi la metà rispetto alla media dei Paesi Ue, si colloca tra i Paesi a più basso rischio di suicidio, ma, ciò nonostante, il suicidio continua anche nel nostro Paese a causare una grande perdita di vite umane.
La situazione in Italia
Nel corso del 2020, nel nostro Paese, si sono verificati 3.748 suicidi (79% maschi, 21% femmine), con una riduzione complessiva, rispetto al numero medio osservato nel periodo 2015-19, di -2,8% per i maschi e di – 7,7% per le femmine. Il fenomeno riguarda per oltre il 93% i cittadini italiani.
La mortalità per suicido nel nostro Paese, in linea con quanto osservato nel resto del mondo, è nettamente diminuita nell’ultimo trentennio. La minore riduzione complessiva del fenomeno tra gli uomini è in larga parte attribuibile all’aumento dei suicidi che si è verificato nelle classi di età centrali a partire dall’inizio della crisi economica globale del 2008 e che si è protratto fino al 2012.
I tassi di suicidio aumentano con l’età, sia per gli uomini che per le donne, ma per gli uomini si osserva una crescita esponenziale a partire dai 65 anni di età in corrispondenza con l’età al pensionamento.
Tra i giovani di 15-29 anni il suicidio rappresenta una delle più frequenti cause di morte. La scuola, il posto in cui i giovani trascorrono moltissimo tempo, non si preoccupa abbastanza del benessere mentale degli studenti. Negli ultimi dieci anni l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha osservato una crescita «esponenziale» degli accessi al pronto soccorso per comportamenti suicidari da parte di giovanissimi. I numeri sono esplosi nei due anni di pandemia, con un aumento del 75 per cento rispetto al biennio precedente.
Telefono Amico Italia, in occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, ha diffuso i dati della propria attività. Nel 2022 ha gestito circa 6mila richieste d’aiuto da parte di persone attraversate dal pensiero del suicidio o preoccupate per il possibile suicidio di un proprio caro. Nei primi sei mesi del 2023 è stato riscontrato un aumento del 37% delle richieste rispetto al primo semestre del 2022.
La misurazione dei suicidi
I dati sui suicidi sono prodotti dall’Istat sulla base dell’indagine sulle cause di morte, utilizzando i decessi classificati sotto i codici di morte per "autolesionismo intenzionale" nella Classificazione internazionale delle malattie (Icd).
Nel 2020, a seguito dei lockdown per la pandemia da Covid-19, i media hanno evidenziato il rischio di un aumento di suicidi tra gli adulti. Tuttavia i dati effettivi hanno smentito queste previsioni allarmistiche, mostrando una sostanziale stabilità dei tassi di suicidio.
Relativamente ai tentativi di suicidio l’Istat dal 2017 ha smesso di produrre informazioni sui tentativi di suicidio, che utilizzavano i casi accertati dalle Forze di Polizia e trasmessi all’Autorità giudiziaria.
Per colmare questo vuoto informativo e seguendo le indicazioni fornite dall’Oms, l’Istituto Superiore di Sanità insieme all’Istat, al Ministero della Salute e al Dipartimento di Neuroscienze e Salute mentale della Sapienza Università di Roma, stanno implementando un Osservatorio epidemiologico sui suicidi e tentativi di suicidio (Oestes), con l’obiettivo di fornire stime aggiornate ed esaustive sui tentativi di suicidio nel nostro Paese mediante l’integrazione dei diversi flussi informativi esistenti (accessi al pronto soccorso, schede di dimissione ospedaliera e dati di mortalità). Tuttavia l’Osservatorio ancora non è attivo.
Il suicidio si può prevenire
ll filo che lega i molteplici fattori di rischio per il suicidio è l’incertezza e la perdita di speranza per il futuro, ma se si riesce a intervenire sulla sofferenza psicologica e a restituire fiducia agli individui in crisi il suicidio si può prevenire. Le politiche di prevenzione del suicidio non possono essere limitate al solo ambito sanitario, ma devono tener conto anche dei potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale del soggetto.
I media possono avere un ruolo decisivo nella prevenzione: è quanto contenuto nelle linee guida “Preventing suicide: a resource for media professionals” pubblicate il 12 settembre dall’Oms in collaborazione con l’Associazione internazionale per la prevenzione del suicidio (Iasp). Esistono evidenze che i resoconti dei media sul suicidio possono migliorare o indebolire gli sforzi di prevenzione del suicidio. Le notizie dovrebbero essere oggettive, i giornalisti dovrebbero limitarsi ai fatti, evitando di rafforzare i falsi miti e spostando l’attenzione su temi come la prevenzione e la ricerca di aiuto.
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Azioni per prevenire i suicidi
“Sebbene la prevenzione del suicidio dovrebbe essere prioritaria ogni giorno, il 10 settembre è la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, un giorno in cui ci riuniamo a livello globale di comunità per evidenziare che i suicidi sono prevenibili. Possiamo essere la luce per chi fatica a vivere, così come per chi ha perso una persona amata al suicidio”, ha dichiarato Rory O’Connor, presidente dell’Iasp, nel lanciare anche la campagna 2023 con il tema “Creare speranza attraverso l’azione” (WSPD Campaign Pack 2023 (iasp.info)), nella quale si sottolinea che attraverso le nostre azioni possiamo incoraggiare la speranza e ridurre il numero di individui che, a causa della disperazione, si tolgono la vita.
Nell’ambito dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile gli Stati si sono impegnati a lavorare per raggiungere l’obiettivo globale di ridurre di un terzo il tasso di suicidio nei Paesi entro il 2030 (target 3.4). Tuttavia il numero di Paesi con strategie nazionali di prevenzione dei suicidi è ancora troppo modesto.
Il suicidio dei detenuti è il fallimento del ruolo punitivo dello Stato
L’incidenza dei suicidi tra i detenuti è 20 volte più alta rispetto alla popolazione generale. Nel 2022 si sono verificati, soprattutto negli istituti dove le condizioni di vita sono peggiori (strutture particolarmente fatiscenti, poche attività e molto tempo vuoto,). Ciò è dovuto alla più densa presenza di persone in condizioni di marginalità, di isolamento sociale e di dipendenza
Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha comunicato che nel 2022 84 detenuti hanno messo fine alla propria vita (pari a 15,2 ogni 10mila detenuti), e nei primi 9 mesi del 2023 si sono verificati 53 suicidi. Il trauma da carcerazione è un’esperienza a volte fatale per soggetti fragili, non in grado di utilizzare efficaci strategie di adattamento di fronte alla drammaticità della situazione che si trovano ad affrontare. Il suicidio di un detenuto è il fallimento palese del ruolo punitivo dello Stato.
L’elemento che accomuna i suicidi tra i detenuti è la mancanza totale di prospettive, seppure in situazioni molto diverse tra loro. Nessuna prospettiva di riottenere la rispettabilità persa per chi, da detenuto, attende il processo per mesi ed anni: anche in caso di assoluzione, non potrà più liberarsi dal marchio del sospetto. Nessuna prospettiva di poter trascorrere utilmente la detenzione, per chi sa di dover scontare molti anni. Nessuna prospettiva di poter tornare a vivere "normalmente", per chi è entrato e uscito troppe volte dal carcere e si sente condannato ad una vita ai margini, di solitudine, di sofferenza fisica e psicologica.
Quali sono le strade percorribili per ridurre il rischio di suicidio tra i detenuti? Da un lato occorre la tutela della dignità sociale per le persone in attesa del processo. A volte sulle basi di un avviso di garanzia, cioè l’avvertimento che ci sono delle indagini in corso, giornali e televisioni distruggano la vita della persona indagata, ignorando la presunzione d’innocenza fino alla sentenza definitiva. Dall’altro canto garantire che il carcere svolga la funzione rieducativa che la Costituzione gli assegna; la mancanza di operatori e il sovraffollamento non possono diventare il pretesto per bloccare l’avvio di iniziative di supporto ai detenuti (ad esempio laboratori, corsi di formazione) che potrebbero comunque concretizzarsi. Infine, adoperarsi per il reinserimento degli individui che hanno scontato la pena, rendendo efficiente ed efficace l’attività dei Consigli d’Aiuto Sociale che sono gli organi preposti a sostenere le persone scarcerate nei primi mesi di libertà.
[1] Dato dal rapporto tra il numero di decessi per suicidio e la popolazione residente