Il mondo rischia il più grande aumento delle disuguaglianze della storia
Mentre i poveri dei Paesi in via di sviluppo sprofondano nella fame, gli Stati più benestanti del pianeta hanno recuperato le perdite dovute al Covid con grande rapidità.
di Andrea De Tommasi
La pandemia di Covid-19 ha esacerbato le disuguaglianze socioeconomiche all’interno e tra i Paesi. Le risposte politiche progettate per mitigarle, sotto forma di pacchetti di aiuti o protezioni sociali, si sono dimostrate per lo più soluzioni a breve termine. A lungo termine, però, le conseguenze distributive della pandemia, come durante le precedenti pandemie e recessioni, sono destinate ad ampliare la disuguaglianza.
Secondo l’aggiornamento del World inequality database 2020, l'America Latina e il Medio Oriente sono le regioni più diseguali del mondo, con il 10% a più alto reddito che detiene rispettivamente il 54% e il 56% del reddito nazionale medio. Nonostante i Paesi del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita) abbiano livelli di Pil pro capite tra i più alti del mondo, hanno anche toccato livelli estremi di disuguaglianza, con poche variazioni dagli anni ‘90. Tuttavia, il cambiamento più netto è stato l'aumento della concentrazione dei redditi negli Stati Uniti, con il 10% più ricco che ha registrato un aumento dal 34% al 45% del reddito nazionale tra il 1980 e il 2019.
I dati sono un indicatore del fatto che l’aumento della disuguaglianza non è una fatalità e che i Paesi con forti investimenti nei servizi pubblici, nella protezione sociale e nelle politiche di welfare hanno i livelli di disuguaglianza più bassi. L’Europa si posiziona come la più eguale di tutte le regioni, guidata dalle politiche di redistribuzione e tassazione progressiva, come si vede nel Commitment to reducing inequality index (Cri), l’indice composito che esamina e confronta l’azione di 157 governi nel contrasto alle disparità socioeconomiche.
I poveri sono più poveri
La ricchezza globale totale è aumentata nel 2020 del 7,4%, mentre quella media per adulto ha messo a segno un incremento del 6%. Parola di Credit Suisse, che ha pubblicato la dodicesima edizione dell’autorevole rapporto sulla ricchezza delle famiglie, il “Global wealth report 2021”. Lo studio, dunque, rileva una costante crescita della ricchezza anche nell’anno della pandemia, con i Paesi maggiormente colpiti dal Covid che non ne hanno risentito in termini di creazione di ricchezza. Se però la crescita è stata rilevante nel Nord America e in Europa, in interi continenti ha assunto traiettorie diverse. L’India e soprattutto l’America Latina hanno riportato gravi perdite nella ricchezza complessiva. Secondo Oxfam international, i patrimoni dei mille miliardari più ricchi al mondo sono tornati ai loro livelli astronomici pre-pandemici in soli nove mesi, mentre per le persone più povere del pianeta la ripresa potrebbe richiedere 14 volte lo stesso periodo: oltre un decennio.
Le istituzioni internazionali si sono dichiarate preoccupate che la pandemia accresca le disuguaglianze in tutto il mondo. Tuttavia, occorre fare un distinguo: guardando alla disuguaglianza globale, al di là dell’obiettivo di distribuzione del reddito, è fondamentale prendere in considerazione fattori multidimensionali come mobilità sociale, uguaglianza di genere, infrastrutture di sussistenza, accesso alla tecnologia, protezione sociale e ambientale. La crisi si è abbattuta su un mondo già estremamente disuguale a vari livelli. Si prevede che le nazioni più ricche, dotate di risorse di gran lunga migliori, con accesso ai vaccini in anticipo rispetto alle nazioni più povere, si riprendano più velocemente. Ciò potrebbe causare una “Great Divergence”, prevede la Banca mondiale, ossia una grande frattura tra queste nazioni e le comunità più povere al loro interno. Una prospettiva che Kristalina Georgieva, direttrice operativa del Fondo monetario internazionale, ha evidenziato così: “C'è un grave rischio che la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo languisca negli anni a venire”.
Prima della crisi, l’Fmi prevedeva che i divari di reddito tra le economie avanzate e 110 Paesi emergenti e in via di sviluppo si sarebbero ridotti nel periodo 2020-22. Ma ora gli esperti stimano che solo 52 economie recupereranno durante quel periodo, mentre 58 sono destinate a rimanere indietro. E non si tratta solo di divergenze tra Paesi. Assistiamo anche a una divergenza accelerata all'interno dei Paesi: i giovani, le persone poco qualificate, le donne e i lavoratori informali sono stati colpiti in modo sproporzionato dalla perdita di posti di lavoro. E milioni di bambini stanno ancora affrontando interruzioni dell'istruzione.
La pandemia della fame
La fame è una delle principali conseguenze delle disuguaglianze nel mondo. Gli impatti diretti e indiretti del Covid-19 su salute, fame e insicurezza alimentare sono già estesi. Si consolidano le tendenze preoccupanti che abbiamo visto dal 2017 con l'aumento globale della fame. Mentre l’impatto della pandemia deve ancora essere completamente mappato, circa un decimo della popolazione mondiale (fino a 811 milioni di persone) era denutrita nel 2020, hanno ammonito la Fao e l’Unicef in un rapporto pubblicato a luglio. Più della metà di tutte le persone che soffrono la fame (418 milioni) vive in Asia; più di un terzo (282 milioni) in Africa; e una percentuale minore (60 milioni) in America Latina e nei Caraibi. Ma l'aumento più significativo della fame si è verificato in Africa, dove la prevalenza stimata della denutrizione - pari al 21% della popolazione - è più del doppio di quella di qualsiasi altra regione. Questi numeri suggeriscono che ci vorrà uno sforzo enorme affinché il mondo onori il suo impegno a porre fine alla fame entro il 2030. “Purtroppo, la pandemia continua a mettere in luce le debolezze dei nostri sistemi alimentari, che minacciano la vita e i mezzi di sussistenza delle persone in tutto il mondo”, scrivono i capi delle cinque agenzie delle Nazioni unite che hanno redatto il Rapporto.
Non sono più confortanti i dati sulla povertà. Cresce il tasso di individui sotto la soglia di povertà estrema, coloro cioè che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno, passando dall’8,4% nel 2019 al 9,5% nel 2020: non si registrava un aumento dal 1998. Nel 2020 tra 119 e 124 milioni di persone sono finite in condizioni di povertà estrema, secondo il Sustainable development Goals report 2021 delle Nazioni unite lanciato in occasione dell’High level political forum di luglio.
Uno sguardo all’Italia
La ripresa economica e sociale dell’Italia deve passare dalla lotta alle disuguaglianze, ha detto l’Ocse nel rapporto “Going for growth 2021: shaping a vibrant recovery”. Con riferimento alla situazione italiana e al nostro Piano nazionale di ripresa e resilienza, nel documento si legge che “la crisi rischia di far calare ulteriormente i tassi di occupazione, già bassi, e di rafforzare le disuguaglianze, soprattutto per chi ha uno scarso livello di competenze e un basso livello di formazione continua”. Uno scenario, che secondo l’organizzazione si potrebbe mitigare puntando su “un’offerta efficace di istruzione, servizi pubblici di promozione dell’impiego e politiche di attivazione dei servizi in materia di istruzione”. Il report sottolinea anche le significative disparità territoriali, demografiche e di genere. A evidenziare con chiarezza le disuguaglianze radicate per donne, bambine e bambini in Italia è stato anche il rapporto WeWorld “Mai più invisibili”: la pandemia ha peggiorato le loro condizioni in tutte le regioni italiane, dal punto di vista dell’inclusione economica, sociale, educativa. Ma esistono ancora grandi disparità tra regioni: nella classifica di inclusione di donne, bambine e bambini, al primo posto troviamo infatti Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige ed Emilia-Romagna, mentre sono fanalino di coda le regioni del Sud, in particolare la Sicilia. Ma anche due regioni del Nord, Piemonte e Liguria, non garantiscono sufficiente inclusione. Inoltre, le diseguaglianze territoriali si sommano a quelle socioeconomiche. I figli di genitori a basso reddito e a bassa istruzione frequentano meno i servizi per l’infanzia, hanno meno probabilità di proseguire gli studi terziari e rischiano maggiormente di cadere in povertà.
Lo studio di Credit Suisse ha rilevato che la disuguaglianza economica in Italia resta bassa, anche se, sottolinea il report, il coefficiente di Gini che misura le differenze di ricchezza è aumentato da 60,1 punti del 2000 a 66,5 del 2020. Per ridurre non solo le disuguaglianze economiche, ma anche quelle sociali e di riconoscimento, riguardanti il ruolo e i valori della persona, il Forum disuguaglianze e diversità nel 2019 ha avanzato 15 proposte per la giustizia sociale ispirate all’economista Anthony Barnes Atkinson. Nel farlo gli esperti hanno identificato tre processi decisivi nella formazione e nella distribuzione a ricchezza: il cambiamento tecnologico, il passaggio generazionale – ovvero il trasferimento di risorse economiche di generazione in generazione – e la relazione negoziale tra lavoro e impresa.
di Andrea De Tommasi