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In tempi di crisi del multilateralismo, l’Onu interroga il mondo sul suo futuro

Sondaggio globale in occasione del 75° anniversario: la pandemia ha accentuato le distanze tra i Paesi.

di William Valentini, redazione ASviS

La pandemia esaspera e acuisce tutte le tensioni che già erano presenti nello scenario internazionale, ponendo Paesi e istituzioni davanti a sfide inedite. Ma se da un lato il Covid mette in luce le inefficienze e le ambiguità delle istituzioni internazionali, dall’altro è proprio il peggioramento delle frizioni tra diversi Paesi a confermare l’importanza di avere istituzioni multilaterali solide, in grado di affrontare e risolvere i grandi temi globali che sono davanti all’opinione pubblica mondiale. Una situazione che viene fotografata dall’articlo “Multilateralismo tra crisi e rilancio”  nel volume “Lavori in corso, la fine di un mondo, atto II” pubblicato dall’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi). “Solo nell’ultimo anno le sfide al multilateralismo sono state diverse e lampanti”, ha scritto Andrea Locatelli, un analista dell’istituto, nel capitolo “Multilateralismo tra crisi e rilancio”. Secondo Locatelli, infatti, la guerra commerciale in atto tra Stati Uniti e la Cina e le minacce alla pace in molte aree del mondo sono semplicemente gli ultimi riflessi di tensioni ormai consolidate. In questo quadro, la progressiva incapacità delle istituzioni internazionali di fungere da meccanismo di gestione dei rapporti tra Paesi diventa una ulteriore causa dello indebolimento delle organizzazioni internazionali.

Un quadro estremamente confuso e in evoluzione, che vede l’affermazione di nuove strategie diplomatiche. Presentando l’edizione d’aprile del periodico di geopolitica Limes, il direttore Lucio Caracciolo sottolinea come alcuni Paesi sfruttano il fatto di essere “abbastanza fuori” dall’emergenza mentre altri vi sono ancora dentro. È il caso della Cina, il Paese da cui ha avuto origine la crisi. Da marzo, l’ex impero celeste ha iniziato una “offensiva diplomatica degli aiuti” per guadagnare spazio e influenza soprattutto in Europa, con risultati tangibili anche in Italia.

“Gli eventi del 2019 hanno confermato gli elementi di rottura”, sia per quanto riguarda la tradizionale politica estera di Washington, sia per gli equilibri internazionali. Secondo il report dell’Ispi “molti osservatori ritengono che la virata impressa dall’attuale amministrazione abbia eroso non solo la leadership statunitense, ma anche le fondamenta stesse dell’ordine liberale. Occorre quindi chiedersi se la transizione a un nuovo modello di ordine sarà graduale e in sostanziale continuità con la forma attuale, o se invece segnerà una netta cesura con il presente. Se, cioè, rimarrà qualcosa degli attuali meccanismi di gestione delle relazioni tra le grandi potenze, o emergeranno nuovi accordi” e nuovi modelli. Una situazione che, sommata alla pandemia e alla tentazione di mettere in campo soluzioni di breve termine per uscire dalla crisi, rischia di rallentare il raggiungimento degli obbiettivi di sviluppo sostenibile.

 “A meno che i Paesi di tutto il mondo non agiscano insieme ora, la pandemia di Covid-19 causerà devastazione e sofferenza inimmaginabili in tutto il mondo”, ha affermato il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres. Infatti “la ricaduta economica della pandemia minaccia un’ondata di inadempienze nei Paesi in via di sviluppo, ostacolando gli sforzi per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) del 2030”. Il Coronavirus mette in luce ed acuisce tutte le disuguaglianze e le ingiustizie generate dal sistema di sviluppo liberale. Un esempio in questo senso sono le donne, che, a causa del Covid, hanno visto peggiorare la loro situazione economica molto di più di quanto non sia successo agli uomini, avendo “normalmente meno risparmi e redditi più bassi. Tutti i nostri sforzi –conclude il Segretario generale- devono andare verso la costruzione di percorsi sostenibili e resilienti che ci consentano non solo di sconfiggere il Covid-19, ma anche di affrontare la crisi climatica, di ridurre le diseguaglianze ed eradicare la povertà e la fame. 

Per individuare una strategia condivisa anche con l’opinione pubblica mondiale, e per celebrare il 75esimo anniversario della nascita delle Nazioni unite, il segretario ha lanciato un breve sondaggio, in cui si  chiede ai cittadini come si immaginano il futuro e su quali priorità ci si dovrebbe concentrare dopo il passaggio della pandemia. È la prima volta che viene intrapresa una iniziativa di questo genere, aperta a tutti i Paesi. I risultati del sondaggio verranno presentati a settembre durante l’assemblea generale. 

Del resto, la pandemia ha già imposto alcune modifiche all’agenda politica internazionale. Lo spostamento di un anno di Cop26, la conferenza delle Nazioni unite sull’ambiente che si doveva tenere a Glasgow il prossimo novembre, rischia di rallentare la lotta al cambiamento climatico. Gli osservatori più attenti hanno già denunciato il problema: il 2020 “non può essere un anno perso. Ci sono molte questioni ancora sul tavolo: dalla gestione del mercato del carbonio, al tema della finanza climatica”, ha spiegato ai microfoni di Radio radicale, nel corso del programma radiofonico curato dall’ASviS  “Alta sostenibilità”, il responsabile del Programma energia, clima e risorse dell'Istituto affari internazionali (Iai), Luca Franza. Il problema, ha detto il ricercatore, è che il quadro internazionale intorno a questi temi è estremamente frammentato “con una spaccatura abbastanza netta tra i Paesi del nord del mondo e quelli del sud”.  Ma, se da un lato Franza teme che diversi “Paesi potrebbero mettere in campo priorità di rilancio economico e soluzioni di breve termine”, accantonando gli obiettivi di sviluppo sostenibile fissati nell’Agenda 2030 delle Nazioni unite, dall’altro sottolinea l’efficacia delle misure messe in campo dall’Unione europea.

L’Ue, infatti, si appresta a giocare una partita-chiave per la tutela del pianeta. Antonia Carparelli, della rappresentanza in Italia della Commissione europea, nella stessa trasmissione si è dichiarata  ottimista: “Nonostante le discussioni tipiche di una democrazia, credo che l’Europa stia dando una prova di unione e capacità di fornire risposte efficienti. Tutti i governi vogliono dare risposte unitarie alla crisi e ancorare la ripresa a una visione di lungo periodo alla quale tutti i Paesi dell’Unione aderiscono”. Del resto, proprio la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva affermato che “contro il virus troveremo un vaccino, contro il cambiamento climatico no”. La presidente ha concentrato l’azione della Commissione proprio intorno a questi temi. L’European Green Deal, presentato nel novembre scorso come riforma-manifesto dell’azione della nuova presidenza, rappresenta per Franza “un ambizioso piano di rilancio che mira a combinare sostenibilità e sviluppo economico” e può essere anche una base per l’azione politica dopo la crisi sanitaria. Occorre, dunque, continuare a mantenere un approccio definito dalla presidente di “doppia transizione, verde e digitale. Un modello di sviluppo che rispetta l’ambiente ma che tiene al progresso. Se dietro a questa idea l’Europa ribadisce la sua capacità di unione e avanzamento, farà un salto in avanti decisivo anche nella sua capacità di assumere un ruolo centrale nell’innovazione in un contesto multilaterale che non potrà non fermarsi. Infatti, la tecnologia impone una governance globale”, ha concluso Carparelli.

 

di William Valentini 

martedì 30 giugno 2020