Vertice Onu sul clima: gli Usa disertano e la Cina punta alla leadership del futuro energetico
A New York si è giocata un’altra puntata dello scontro globale sulla transizione green. Pechino promette di aumentare le rinnovabili. Trump cerca di ostacolarne in ogni modo lo sviluppo, ma gli altri Stati potrebbero non seguirlo più.
Il 24 settembre si è tenuto il Vertice sul clima alle Nazioni Unite, voluto dal segretario generale António Guterres a margine dell’Assemblea generale Onu del giorno prima, che ha fatto parlare di sé soprattutto per le parole al vetriolo di Donald Trump sulla questione climatica. Al Vertice erano presenti tutti i pesi massimi del panorama geopolitico mondiale – tra cui Cina, Russia, Giappone, Germania – i piccoli stati insulari e anche gli Stati più poveri del mondo, tra cui il Ciad e la Repubblica Centrafricana. Con un grande assente: gli Stati Uniti.
“Se non vi liberate da questa truffa verde, il vostro Paese fallirà” aveva detto Trump all’Assemblea Onu giusto 24 ore prima del Vertice. Le posizioni del tycoon sulla rivoluzione green non sono mai state segrete, ma il suo discorso, come ha sottolineato il New York Times, si è dimostrato più che mai isolato e in contrasto con la direzione intrapresa da tanti altri Paesi, che procedono verso la costruzione di parchi eolici, impianti solari e altre fonti di energia rinnovabile.
“Siamo all'alba di una nuova era energetica”, ha dichiarato Guterres aprendo il vertice mercoledì. Il giorno prima, davanti all’Assemblea generale, il segretario Onu aveva definito i combustibili fossili “una scommessa persa”. Nonostante questo, Trump ha dichiarato che la transizione verso le energie rinnovabili è la strada verso la rovina economica. Un’affermazione che nasconde una necessità: gli Stati Uniti sono il maggiore produttore mondiale di petrolio e gas naturale, e Trump ha messo in cima alla lista delle azioni del suo governo l’esportazione di fonti fossili. Tra le prime misure adottate dalla nuova amministrazione Usa c'è stata la rimozione degli incentivi per la costruzione di impianti solari ed eolici o per l'acquisto di auto elettriche. Trump ha anche accelerato il rilascio dei permessi per miniere di carbone, infrastrutture per il gas naturale e per altri combustibili fossili. L’uso politico della minaccia dei dazi è servito anche a questo: fare pressione sul resto del mondo affinché gli Stati incrementassero l’acquisto di petrolio e gas americani.

Il futuro dell’energia si gioca tra Usa e Cina. E Pechino allunga il passo
La guerra per conquistare il mercato globale si sta inasprendo. Il Dragone esporta batterie per solare e pale eoliche nel mondo. Trump fa leva sui dazi per assicurare l’acquisto del petrolio Usa. Entrambi difendono interessi nazionali, ma uno dei due la sta spuntando.
Ma i 121 Paesi che si sono riuniti al Vertice sul Clima, chi più chi meno, hanno dimostrato di voler prendere un’altra direzione, impegnandosi per contenere le emissioni, non solo per rallentare il riscaldamento globale, ma anche perché le energie rinnovabili stanno diventando più economiche. In alcuni casi, le rinnovabili producono elettricità a prezzi più accessibili rispetto agli impianti che bruciano combustibili fossili, rendendole un volano per la crescita. E a capitanare questo folto gruppo c’è la Cina.
Pechino è responsabile della quota maggiore di emissioni di gas serra nel mondo. Ma i suoi settori dell'energia solare ed eolica sono diventati un motore non solo della decarbonizzazione nazionale, ma anche di quella globale.
Nel vertice di mercoledì, a cui si è collegato in video, il presidente cinese Xi Jinping ha dichiarato ai leader mondiali che entro il 2035 la Cina ridurrà le sue emissioni di gas serra del 7-10% rispetto al suo “picco”. Ha anche detto che aumenterà la quota di “combustibili non fossili” a oltre il 30% entro dieci anni, e che nello stesso arco di tempo incrementerà di sei volte l’energia eolica e solare installata. Senza nominare chiaramente gli Stati Uniti, Xi Jinping ha voluto comunque lanciare una stoccata. “La trasformazione verde e a basse emissioni di carbonio è la tendenza dei nostri tempi. Nonostante alcuni Paesi vadano controcorrente, la comunità internazionale dovrebbe rimanere sulla strada giusta”.
È la prima volta che il più grande emettitore al mondo si impegna a tagliare le emissioni, anziché limitarne semplicemente la crescita, sebbene la riduzione sia stata inferiore a quanto previsto da molti osservatori. Come sottolinea Reuters, in molti speravano che la Cina cogliesse l'occasione della ritirata degli Stati Uniti per annunciare un obiettivo di riduzione di almeno il 30%, per restare in linea con il suo precedente obiettivo di emissioni nette pari a zero entro il 2060. Stesso discorso vale anche per altre nazioni. Gruppi ambientalisti e osservatori hanno sottolineato che gli impegni presi da alcune delle maggiori potenze mondiali al Vertice sul clima sono stati ben al di sotto delle aspettative.
Secondo Ian Bremmer, politologo del Belfer Center, il discorso negazionista statunitense ha di fatto ceduto il mercato dell'energia post-carbonio alla Cina. “Trump vuole i combustibili fossili e gli Stati Uniti sono davvero un potente stato petrolifero", ha dichiarato al New York Times. “Ma lasciare che la Cina diventi l'unico Stato elettrico potente al mondo è l'opposto di rendere l'America di nuovo grande... almeno se si ha a cuore il futuro”.
E se fino all’inizio di quest’anno molti leader mondiali avevano espresso il timore che la politica trumpiana potesse condurre a un'inversione di rotta globale sulla transizione energetica, ultimamente stanno pensando di proseguire, con o senza gli Usa. Wopke Hoekstra, commissario europeo per il clima, ha affermato che le azioni del presidente Trump non influenzeranno le ambizioni degli altri Paesi, compreso il blocco dei 27 Ue. “Stiamo facendo esattamente l'opposto di quello che stanno facendo gli Stati Uniti, il che, tra l'altro, lo trovo preoccupante e problematico”, ha dichiarato in un'intervista al quotidiano americano. “L'attore geopolitico più fenomenale del mondo, la sua più grande economia, il suo secondo maggiore emettitore, sta sostanzialmente andando in tilt”.
L’Ue non ha ancora finalizzato il suo impegno per ridurre le emissioni. Per ora c’è solo una dichiarazione d’intenti per ridurre le emissioni tra il 66% e il 72% entro il 2035 (rispetto ai livelli del 1990) su cui però non tutti i Paesi sono d’accordo. Consiglio europeo e Parlamento saranno chiamati a esprimersi nelle prossime settimane. Hoekstra ha infatti assicurato che i termini saranno resi noti entro l'inizio della COP30, che si terrà in Brasile all'inizio di novembre.
Le ambizioni climatiche del Vecchio continente si scontrano però con le promesse fatte dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen al leader americano ad agosto, quando si è impegnata ad acquistare 750 miliardi di dollari in combustibili americani entro la fine del mandato di Trump. Secondo gli analisti, questa cifra, che reputano “fisicamente impossibile”, se effettivamente investita potrebbe andare a discapito della transizione green europea.
Per gestire questo complesso panorama energetico globale c’è comunque bisogno di un rinnovamento dei programmi internazionali, come ha sottolineato Guterres. “Ora abbiamo bisogno di nuovi piani per il 2035 che vadano molto più lontano e molto più velocemente”. L’unica cosa certa al momento è che lo scontro sull’energia del futuro è nella sua fase più calda. E che molto probabilmente Trump, questo scontro, lo sta perdendo.
Copertina: Ansa