Usa, 7 miliardi di tonnellate in più di CO₂ al 2050 con le politiche di Trump
Dai tagli ai programmi di ricerca ai colpi mortali alle agenzie federali, fino allo spazio ai ricercatori negazionisti: ecco gli impatti della guerra del tycoon alla scienza climatica.
di Monica Sozzi
In meno di sei mesi dal suo secondo insediamento, l’amministrazione Trump ha avviato circa 400 azioni ostili alla scienza climatica. Il risultato? I progressi del Paese nella riduzione delle emissioni potrebbero subire una brusca inversione. Secondo le stime della Princeton University, già entro il 2035 si registrerebbe un aumento di 470 milioni di tonnellate di CO₂, pari al consumo annuo di energia di circa 63 milioni di abitazioni. Ma l’effetto più dirompente emerge sul periodo più lungo: da qui al 2050 le emissioni aggiuntive potrebbero superare i 7 miliardi di tonnellate rispetto alle previsioni precedenti. Un cambio di rotta che, secondo Bloomberg, sta riducendo la capacità del Paese di adattarsi ai cambiamenti climatici, frenando la transizione energetica e minando la fiducia nelle istituzioni scientifiche.
A farne le spese sono anche le comunità vulnerabili, le imprese, i territori colpiti da eventi estremi e i sistemi multilaterali globali. Una guerra alla scienza climatica che costa cara.
Dalla retorica negazionista all’attacco sistemico
Il discredito verso la scienza climatica non è certo una novità per Donald Trump. Già nel primo mandato aveva definito il cambiamento climatico una “bufala”, cancellato il Clean Power Plan di Obama e avviato il ritiro dagli Accordi di Parigi. Nel secondo mandato, la strategia si è trasformata in un vero e proprio attacco sistemico: smantellamento delle agenzie federali, tagli ai fondi, oscuramento dei dati pubblici e revoca delle regolazioni ambientali.
All’inizio del 2025, l’Ufficio per la gestione e il bilancio ha congelato tutti i finanziamenti federali in uscita, bloccando centinaia di progetti. Poco dopo l’Epa, l’Agenzia per la protezione dell’ambiente, ha tentato di ritirare 20 miliardi di dollari già assegnati dalla precedente amministrazione per progetti climatici. Parallelamente, sono stati licenziati centinaia di dipendenti delle agenzie ambientali, incluso il personale del National Weather Service e dell’osservatorio di Mauna Loa, centro nevralgico per il monitoraggio della Co₂. Il chiaro filo conduttore è quello di ridurre il ruolo dello Stato nella governance ambientale e favorire la filiera dei combustibili fossili, che nel solo 2024 ha donato oltre 75 milioni di dollari alla campagna elettorale repubblicana.
Dati oscurati, agenzie smantellate, scienza delegittimata
Una delle prime mosse simboliche è stata l’oscuramento del portale governativo globalchange.gov, che rendeva accessibili le Valutazioni nazionali sul clima. Anche la Nasa ha rifiutato di ospitare i dati, rendendo difficile a istituzioni locali e imprese l’accesso a informazioni essenziali per la pianificazione del rischio climatico. A peggiorare la situazione, il Dipartimento dell’Energia ha pubblicato un rapporto redatto da scienziati contrari alla visione scientifica prevalente, sostenendo che gli effetti del riscaldamento globale sono sovrastimati e che la Co₂ può avere benefici economici. Contestualmente, l’Epa ha proposto di abrogare l’“endangerment finding”, il fondamento legale su cui si basa la regolazione federale delle emissioni climalteranti. Un’azione che, se andasse in porto, limiterebbe fortemente la possibilità per l’agenzia di intervenire in futuro senza una nuova approvazione del Congresso.
Le conseguenze operative sono già visibili: tagli ai programmi per infrastrutture resilienti, stop ai finanziamenti per l’energia solare nelle fasce di reddito più basse, rallentamenti nella rete meteorologica nazionale e riduzione delle attività del Centers for disease control and prevention (Cdc), sul monitoraggio delle malattie legate al caldo.
Fossili rilanciati, rinnovabili bloccate
Mentre si alleggeriscono le norme sulle emissioni per centrali a carbone, pozzi petroliferi e veicoli a combustione, si moltiplicano gli ostacoli per le energie rinnovabili. Il governo ha annullato il finanziamento di una linea elettrica per il trasporto dell’energia eolica nel Midwest, cancellato il programma federale Solar for All e bloccato numerosi progetti di impianti eolici, in particolare offshore. Il Dipartimento dell’Interno ha ritirato milioni di ettari marini destinati alla produzione eolica, incluso un progetto in fase avanzata.
L’energia pulita non è più una priorità. E questo in un momento in cui la domanda elettrica, alimentata anche dall’uso crescente dell’intelligenza artificiale e dei data center, è in forte crescita. Secondo BloombergNEF, la nuova capacità di energia pulita installata da qui al 2030 sarà del 23% inferiore rispetto alle previsioni precedenti. Il risultato è un rallentamento della transizione energetica, che apre spazi competitivi ad altri Paesi, in primis la Cina, che oggi produce oltre il 70% dei veicoli elettrici venduti nel mondo.
Meno preparazione, più disuguaglianze
Il ritiro dell’amministrazione Trump dalla diplomazia climatica, dalle Cop e dagli impegni multilaterali indebolisce il ruolo globale degli Stati Uniti e gli sforzi collettivi contro la crisi climatica. Le decisioni prese, come la proposta di eliminare la Fema, l’agenzia per la gestione delle emergenze, e demandare ai singoli Stati la gestione dei disastri, rischiano di accrescere il divario tra territori più e meno attrezzati. Il taglio ai programmi federali impedisce interventi preventivi come l’elevazione di edifici in aree a rischio alluvione o il rafforzamento di ospedali in zone colpite da tempeste. Le assicurazioni aumentano, le tasse locali crescono, e le fasce più fragili della popolazione sono quelle che pagano il prezzo più alto.
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