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L’Enea denuncia l’impoverimento delle aree oceaniche

Un nuovo studio condotto dal Laboratorio Modelli e servizi climatici sottolinea che negli ultimi vent'anni le zone oceaniche caratterizzate da scarsa biodiversità sono quasi raddoppiate.

martedì 3 giugno 2025
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Il cambiamento climatico sta trasformando vaste porzioni degli oceani in deserti blu, poveri di vita e nutrienti. Lo denuncia una ricerca condotta dal Laboratorio Enea Modelli e servizi climatici in collaborazione con l'Istituto di Scienze Marine Ismar-Cnr e il laboratorio cinese State key laboratory of satellite ocean environment dynamics (Soed). 

Lo studio, in via di pubblicazione sulla rivista scientifica Geophysical research letters, rileva come in poco più di vent'anni le aree oceaniche caratterizzate da scarsa biodiversità siano quasi raddoppiate a livello globale, passando dal 2,4 per cento del 1998 al 4,5 per cento del 2022.

Attraverso rilevamenti satellitari i ricercatori hanno infatti potuto constatare una progressiva espansione dei vortici oceanici subtropicali, i cosiddetti "gyres", situati nelle aree settentrionali e meridionali degli oceani Atlantico, Pacifico e Indiano.

L'ampliamento di questi sistemi di correnti, che rappresentano aree naturalmente povere di nutrienti, denuncia un abbattimento nella quota di clorofilla presente nel fitoplancton, microrganismi alla base della catena alimentare marina che attraverso la fotosintesi svolgono un ruolo cruciale nell'assorbimento della CO2 e nel rilascio di ossigeno nell'atmosfera.

Il fenomeno di desertificazione rilevato dal Laboratorio Enea risulta particolarmente evidente nell'Oceano Pacifico settentrionale, dove la superficie interessata cresce al ritmo di 70mila chilometri quadrati ogni anno.

Ancora una volta l'indiziato numero uno è il riscaldamento globale che impedisce il naturale rimescolamento tra le acque di superficie, più calde e leggere, e quelle profonde, più fredde e ricche di nutrienti essenziali per il fitoplancton, la cui biomassa risulta però sostanzialmente stabile. Un dato singolare, quest'ultimo, che suggerisce una possibile capacità di adattamento metabolico di questi organismi alle nuove condizioni ambientali. Non è ancora chiaro se si tratti di un'evoluzione verso forme di microrganismi più resistenti ma meno produttive, o se semplicemente una gran massa di questi si sia spostata in acque più profonde e ricche di nutrienti. Si attendono ulteriori sviluppi.

Indipendentemente da ciò, la riduzione di clorofilla e quindi dei processi di fotosintesi comporta un minor assorbimento di CO2, oltre a evidenziare la possibile fragilità di un equilibrio che nel lungo termine potrebbe portare a effetti collaterali che al momento è difficile prevedere.

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Copertina: Unsplash