Zero debris: i piani dell’Esa contro la moltiplicazione dei rifiuti spaziali
I rottami in orbita sono più di un milione e si moltiplicano con una reazione a catena. Nuovi obiettivi condivisi dovrebbero evitare il peggioramento della situazione.
di Tommaso Tautonico
Sonde scientifiche che studiano il clima, sistemi di comunicazioni, costellazioni per la navigazione. Il nostro pianeta è circondato da satelliti di ogni tipo, che ruotano attorno alla Terra anche dopo la conclusione della loro vita utile. Sono talmente tanti che l’Agenzia spaziale europea (Esa) nel suo “Annual space environment report”, pubblicato ad aprile, li ritiene un problema fondamentale da risolvere.
Milioni di rifiuti spaziali
Master, lo strumento di modellazione dei detriti dell'Esa, mostra che nell'orbita bassa terrestre, a circa 550 km di altitudine, ci sono 1,2 milioni di detriti spaziali di dimensioni superiori a un cm. Abbastanza grandi da poter causare danni catastrofici. Di questo milione di rifiuti, più di 50 mila pezzi hanno dimensioni superiori a dieci centimetri. Si tratta di satelliti che al termine della loro missione rimangono nella loro orbita operativa e si frammentano in pericolose nubi di detriti. Nubi che restano in orbita per molti anni. Secondo l’Agenzia, solo nel 2024 si sono verificati così tanti eventi di frammentazione da generare 3mila nuovi oggetti che ruotano nell’orbita bassa terrestre.

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Meno tempo in orbita
Fortunatamente, evidenzia il Rapporto, un numero crescente di satelliti, soprattutto nel settore commerciale, sta abbandonando in maniera controllata l’orbita bassa entro i 25 anni dal termine della missione, così come raccomandato dagli standard di conformità in vigore fino al 2023. Successivamente l’Esa ha introdotto linee guida più stringenti, imponendo l’abbandono dell’orbita entro cinque anni dalla conclusione della missione. Purtroppo, sottolinea il report, è ancora troppo presto per iniziare a vedere i risultati di queste imposizioni più stringenti.
Di fatto, nonostante gli sforzi messi in campo c’è un consenso scientifico sul fatto che, anche senza ulteriori lanci, il numero di detriti spaziali continuerà a crescere. Una “reazione a catena incontrollata”, la definisce l’Esa, dovuta al fatto che gli eventi di frammentazione aggiungono nuovi detriti a una velocità maggiore di quella con cui rientrano naturalmente nell'atmosfera (fenomeno noto come sindrome di Kessler). Una condizione pericolosa perché le continue frammentazioni non fanno altro che aumentare il numero di collisioni tra i detriti, rendendo di fatto impraticabile questa zona. Una situazione che può mettere a rischio le future missioni spaziali. Per questi motivi, evitare di aggiungere nuovi detriti, avverte l’Esa, non è più sufficiente: i detriti spaziali vanno rimossi attivamente.
Il futuro dei detriti spaziali
Avere una visione migliore del problema attraverso un monitoraggio più attento e continuo è solo il primo passo per risolvere il problema. L'Esa, grazie al suo approccio “Zero Debris” si è posta l'obiettivo di limitare significativamente la produzione di detriti nelle orbite terrestri e lunari di tutte le future missioni, programmi e attività entro il 2030. Questo approccio consiste nell’aggiornamento di requisiti, politiche e standard utili a mitigare la produzione di detriti in tutte le missioni progettate, costruite ed effettuate dalla stessa Agenzia.
Ma non basta. Per guardare al futuro dei rifiuti spaziali con meno preoccupazione, l'Esa si è fatta promotrice di un paio di iniziative. Ha creato la “Zero Debris Charter”, una dichiarazione in cui gli stakeholder si impegnano a raggiungere rifiuti zero entro il 2030. La dichiarazione è stata firmata da 19 Paesi e oltre 150 fra enti commerciali e non. Un altro elemento cardine è la creazione dello “Zero Debris technical booklet”. Una sorta di “to do list” sviluppata in collaborazione con numerosi attori del settore spaziale che definisce le soluzioni tecniche necessarie per raggiungere gli obiettivi fissati dalla Zero Debris Charter.
Parallelamente, l’Agenzia europea sta lavorando direttamente allo sviluppo di nuove tecnologie per prevenire e contrastare i detriti spaziali, stimolando l'industria europea a sperimentare soluzioni di sostenibilità spaziale come ad esempio la progettazione di satelliti “zero detriti”.
Copertina: SpaceX/unsplash