Al mondo servono i metalli preziosi dall’Artico, ma nessuno ci vuole lavorare
Titanio, palladio, ferro e non solo: gli Stati che estraggono minerali per le nuove tecnologie stanno puntando sull’estremo Nord, complici le temperature più miti per il cambiamento climatico. Le condizioni disagiate disincentivano però la manodopera.
I metalli preziosi che servono per costruire batterie, impianti fotovoltaici, microchip e molti altri strumenti tecnologici sono sempre più richiesti, così come lo sono le terre da cui si possono estrarre. Tra queste c’è una lunga distesa glaciale chiamata Circolo polare artico.
Secondo l’Economist, negli ultimi anni governi e investitori si sono concentrati sulla ricerca di metalli nell’estremo Nord: i mari e la tundra dell’Artico contengono infatti petrolio, gas e alcuni grandi depositi di titanio (in Siberia), di palladio (a Norilsk, sempre Russia) e di ferro (nel Nunavut, in Canada). Finora questi metalli sono rimasti in gran parte nel sottosuolo, per il semplice motivo che era troppo costoso estrarli.
Ma con il cambiamento climatico e il ritiro dei ghiacci questa ricerca è diventata più “conveniente”, come ha fatto notare Mads Fredericksen, rappresentante dell’organizzazione Arctic economic council. L'Artico è infatti più caldo di 0,75 gradi rispetto a un decennio fa, il ghiaccio si è ritirato del 17% e le spedizioni sono aumentate del 75%. E in futuro la situazione cambierà ancora: si prevede infatti che entro il 2035 potrebbe non esserci più ghiaccio nell'Oceano Artico durante l’estate.
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Zoonosi e inquinamento: la prossima pandemia potrebbe arrivare dall’Artico
La rivista scientifica Nature lancia l’allarme: la regione potrebbe diventare un “focolaio” di patogeni virali. Lo scioglimento dei ghiacci sta rilasciando microrganismi congelati da migliaia di anni. Necessario un trattato per proteggere l’ecosistema.
Tutte le grandi potenze occidentali si stanno quindi gettando su questa nuova El Dorado. Il motivo principale è ridurre la dipendenza dalla Cina, da cui viene importata la maggior parte dei metalli preziosi. Per dare un’idea: le camere magmatiche vecchie di miliardi di anni che si trovano sotto la Groenlandia contengono non solo il più grande deposito di terre rare dell'Occidente, ma anche le più grandi riserve di nichel e cobalto (essenziali per le batterie) dell'emisfero settentrionale. Per inciso, questo è tra i motivi per cui Donald Trump ha dichiarato nei giorni scorsi di voler acquistare la Groenlandia.
Ma estrarre minerali nelle atmosfere rigide che si respirano a quelle latitudini non è così semplice come si pensa. Il primo problema è convincere le persone a lavorare lì. La paga deve essere infatti stellare, per compensare le numerose difficoltà. Secondo la Dalhousie University, un operaio nell'Artico nordamericano guadagna all’incirca cinque volte la paga media di uno di Vancouver. Un meccanico a Mary River, una miniera di ferro sull'isola di Baffin in Canada (dove la temperatura tocca a gennaio i -60 gradi) si mette in tasca 170mila dollari all'anno, più di tre volte quello che guadagnerebbe in Quebec.
E più ci si spinge al nord, più la questione diventa complessa. Il Circolo polare artico ha infatti un raggio di circa 2.500 chilometri. Nella fascia più vivibile (400 chilometri a sud delle aree più centrali, dove l’inverno non è completamente buio), ci sono 124 miniere operative e nove milioni di residenti. Andando verso l’interno, i minerali sono molti di più, ma le miniere solo 30. Lavorare in quelle zone può essere infatti molto rischioso. Nel 2024, alcuni minatori sono morti in Russia a causa di incidenti da frane o in Canada per un’avaria aerea. E il numero di lavoratori che cadono nelle calotte glaciali in scioglimento aumenta ogni anno di più.
Altro problema sono gli alloggi. Gli spazi abitativi devono essere costruiti per essere caldi all’interno, mantenendo allo stesso tempo le fondamenta fresche per evitare lo scioglimento del permafrost, che potrebbe innescare fenomeni di termocarsismo (depressioni nel terreno che possono inghiottire enormi superfici). Il cratere Batagaika in Russia, la più grande depressione del mondo (che si è aperta negli anni ’60), ha consumato una superficie di terra larga quanto 14 piramidi di Giza (circa 3,2 chilometri).
Poi c’è il problema del buio e della solitudine. A Mary River il sole tramonta a fine novembre e non sorge fino alla fine di gennaio. Ci sono miniere che hanno installato piscine e mense per combattere la claustrofobia e il senso di isolamento. “Ma pochi minatori le usano”, ha commentato Alan, uno dei minatori intervistati dall’Economist, perché i turni lunghi e sfibranti lasciano lo spazio giusto per dormire e mangiare. Dopo 12 ore di lavoro in condizioni di assoluta solitudine, “non riesci a ricordare come parlare con le persone”, secondo un altro dipendente.
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Il destino irreversibile dei ghiacci polari
L’espansione invernale del ghiaccio antartico è ai minimi storici e dal 2030 il Mar Glaciale artico potrebbe rimanere senza ghiaccio durante l’estate. Le previsioni per i Poli non sono incoraggianti, con conseguenze per il Pianeta e la biodiversità.
I lavoratori inoltre sono quasi tutti uomini. I datori vorrebbero attrarre più personale femminile, ma non c’è (comprensibilmente) molta voglia di lavorare in una landa desolata ghiacciata. Agnico Eagle, la più grande società mineraria canadese, stima che solo il 15% della sua forza lavoro sia composta da donne. Un fenomeno rafforzato dall’atmosfera molto maschilista che si respira nei campi artici, come testimoniato da alcune lavoratrici.
Secondo uno studio del 2023 della University of Western Australia, i minatori che lavorano nell’Artico sono un terzo meno efficienti dei loro colleghi che lavorano più a sud. Questo potrebbe dipendere sia dallo stile di vita solitario sia da una generale malagestione. È infatti molto difficile che i capi restino in loco per dirigere le operazioni, con evidenti conseguenze sull’organizzazione del lavoro.
Gli otto Stati del Consiglio artico (Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti) sono i più grandi datori di lavoro nella maggior parte dei territori artici, e i sussidi pubblici superano spesso i ricavi. La Groenlandia riceve due terzi del suo bilancio dallo Stato danese. La Russia sovvenziona una miniera di carbone nell’arcipelago delle Svalbard, in Norvegia, per rafforzare la sua area di influenza.
L’interesse delle grandi nazioni sull’Artico ha anche influito sull’economia delle popolazioni indigene. A Whitehorse, la capitale del territorio dello Yukon in Canada, i prezzi degli immobili sono saliti alle stelle con l'arrivo dei minatori stranieri. Le aziende minerarie stanno provando a offrire opportunità di lavoro alle popolazioni indigene, trovando però terreno poco fertile. Gli autoctoni pensano infatti che si possano fare soldi anche in altro modo, fornendo servizi ai minatori, dalla vendita di pale e di bistecche al noleggio di elicotteri e carri attrezzi. “Non ci interessa se trovano qualcosa, finché continuano a cercare”, come recita un vecchio detto groenlandese.