La Cina vuole vincere la corsa per estrarre materie prime critiche dal fondo del mare
Pechino aumenta gli investimenti tecnologici nel settore e l’influenza nella International seabed authority. L’obiettivo è garantire la catena di rifornimento della sua industria green. Alcuni Stati temono che possano nascondersi attività di spionaggio.
Si chiama Kaituo 2, tradotto “Pioniere” 2, il robot interamente realizzato dalla Shanghai Jiao Tong University che a luglio ha effettuato con successo una serie di test in mare aperto, con immersioni a più di 4mila metri di profondità. Questa macchina è il fiore all’occhiello della ricerca cinese nel settore del deep sea mining, l’estrazione di materie prime dai fondali marini, un settore in cui il gigante asiatico sta puntando fortemente per assicurare la sua catena di rifornimento.
Come spiega un articolo pubblicato sull’Economist a fine luglio, la Cina sta investendo ingenti fondi ed energie per sviluppare il settore estrattivo nei fondali marini. Il governo di Xi sta moltiplicando i suoi sforzi per controllare le filiere commerciali internazionali delle materie prime critiche, ovvero di quei metalli che sono necessari per la realizzazione della transizione ecologica, base per la costruzione di pannelli fotovoltaici, batterie, pale eoliche. Ma teme anche la competizione di altre potenze internazionali, in primis gli Stati Uniti, che potrebbero interferire sulla catena di rifornimento dell’industria green cinese, ancora dipendente dai mercati internazionali per alcune materie prime come magnesio, cobalto e nickel.
L’espansione dell’influenza cinese
Il deep sea mining sarebbe quindi per la Cina la scorciatoia perfetta, perché permetterebbe una fonte di approvvigionamento sicura e indipendente in acque internazionali, fuori quindi dalla legislazione di Paesi terzi che possono ostacolare gli interessi cinesi. E per assicurarsi la possibilità di sfruttare le risorse sommerse, la Cina sta allargando le sue influenze nella International seabed authority (Isa), organizzazione internazionale fondata nel 1982 a seguito dell’adozione della United nations convention on the law of the sea (Unclos). L’Isa è composta dalle parti firmatarie dell’Unclos (gli Stati Uniti non ne fanno parte perché non hanno firmato la convenzione), e il suo compito è quello di “organizzare e controllare tutte le attività legate alle risorse minerarie nell’Area [il fondale marino] per il beneficio di tutta l’umanità”, e anche di “assicurare l’effettiva protezione dell’ambiente marino”.
Secondo quanto riporta l’Economist, la Cina vuole ostacolare le iniziative volte a fermare o limitare l’estrazione di materie prime nei fondali. L’anno scorso, un gruppo di Paesi ha provato a far passare una moratoria sul deep sea mining, ma senza successo. Dietro lo stop alla moratoria sembrerebbero esserci state le pressioni cinesi.
Ma anche durante la scorsa riunione annuale dell’Isa, la 29esima sessione che si è tenuta dal 29 luglio al 2 agosto a Kingston, in Giamaica, l’organizzazione si è espressa su una proposta di governace sulla protezione dell’ambiente sottomarino. Molte delegazioni, si legge nel documento di riepilogo della riunione, hanno evidenziato che, per quanto importante, la proposta andava a cozzare con altre priorità, come l’adozione della bozza di regolamento sullo sfruttamento delle materie prime sottomarine.
Dall’Artico alla California, come procedono le nuove tecniche di geoingegneria
Mentre alcuni esperimenti prendono forma e altri vengono bloccati dalle amministrazioni locali, un gruppo ambientalista statunitense ha annunciato finanziamenti per studiarne l’impatto sulle precipitazioni e le correnti oceaniche.
I rischi per l’ambiente e quelli geopolitici
L’Isa sta infatti provando da anni a trovare un accordo internazionale sull’estrazione di metalli dai fondali marini, ma, evidenzia ancora il settimanale inglese, “anche con un regolamento severo e operatori responsabili, i robot minatori possono causare danni”. La superficie sommersa dal mare ospita infatti migliaia di specie animali che potrebbero venire uccise dalle operazioni di estrazione o dai detriti prodotti da queste.
Ma i concorrenti internazionali della Cina sono anche preoccupati dal fatto che le attività di esplorazione e di estrazione possano costituire delle “coperture” per operazioni di spionaggio. Nel 2021, aggiunge l’Economist, una nave dell’azienda cinese China Minmetals, che doveva svolgere attività di ricognizione per lo sfruttamento di una zona mineraria nel Pacifico, ha effettuato una “inspiegabile deviazione”, avvicinandosi alle isole Hawai, dove sono ospitate importanti basi militari statunitensi.
Copertina: Matt Hardy/Unsplash