Come l’India può diventare una futura superpotenza agroalimentare
Secondo l’Economist, politiche lungimiranti e investimenti nella ricerca porterebbero il Paese a compiere il salto. Ma le inefficienze strutturali sono ancora troppe. Il settore impiega la metà della forza-lavoro, ma produce solo il 15% del Pil.
L’India ha le carte per diventare una superpotenza alimentare mondiale, ma c’è molto lavoro da fare. Questo, in sintesi, il risultato dell’analisi condotta dall’Economist sul Paese guidato da Narendra Modi, primo ministro fresco di una (zoppicante) rielezione, frutto di un risultato elettorale che l’ha visto affermarsi con un forte calo di seggi in parlamento. Alla base di questa indagine ci sono alcuni casi virtuosi nati negli ultimi anni, casi che con i giusti stimoli potrebbero non restare isolati, invertendo il trend che vede l’India come uno Stato con gravi inefficienze nel settore della produzione agroalimentare.
Ad esempio, Araku Coffee, azienda nata nella valle (molto povera) di Araku, lavora e commercializza i suoi chicchi di caffè a livello internazionale, e gestisce bar nelle zone più in di Bangalore, Mumbai e Parigi, generando introiti e lavoro per la gente del luogo. “La trasformazione della valle è una storia di successo agricolo”, si legge sul settimanale inglese. “Ed è anche un assaggio di ciò che, con le giuste politiche, il resto dell’India rurale potrebbe ottenere”.
Partiamo subito col dire che l’India ha fatto alcuni progressi negli ultimi decenni, allontanandosi dal sistema “ship-to-mouth” degli aiuti alimentari provenienti dall’estero. Oggi il Paese esporta i propri prodotti, ma senza massimizzare le proprie potenzialità.
Basti pensare che l’India possiede un terzo di terra coltivata in più rispetto alla Cina, eppure raccoglie solo un terzo dei profitti, secondo l’analisi di Unupom Kausik, vicepresidente della filiale indiana della multinazionale agroalimentare Olam. Il settore agricolo impiega 260 milioni di persone (quasi la metà dei lavoratori indiani) eppure contribuisce solo al 15% della produzione e al 12% delle esportazioni. Mentre i call center e le aziende It, impiegando meno dell’1% dei lavoratori, producono il 7% del Pil e quasi un quarto delle esportazioni.
Questo accade per varie ragioni, prima di tutto strutturali. Circa la metà dei terreni agricoli indiani non ha accesso diretto all'acqua, e deve aspettare l’arrivo delle piogge. Poi, l’India possiede un totale di celle frigorifere che coprono solo il 10% dei prodotti deperibili, e il governo stima che fino al 6% dei cereali, il 12% delle verdure e il 15% della frutta vadano sprecati dopo il raccolto. La maggior parte delle esportazioni agricole indiane sono materie prime, ma senza marchio (e quindi difficilmente riconoscibili sul mercato). Affrontare il problema dell'irrigazione irregolare e delle infrastrutture deboli potrebbe quindi già essere un bel passo avanti.
Ma per questo servirebbero politiche lungimiranti, che il governo Modi non ha dimostrato di saper attuare (Modi ha promosso la crescita economica, ma ha limato solo debolmente le disuguaglianze). A oggi l’India spende circa due migliaia di miliardi di rupie per i sussidi alimentari (e altrettanti in sussidi per i fertilizzanti), ma investe solo 95 miliardi di rupie per ricerca e sviluppo in campo agricolo, condannando il settore alla stagnazione. E le devastazioni generate dal cambiamento climatico non fanno che evidenziare questo gap: “Per gli agricoltori sarà impossibile adattarsi senza scoperte scientifiche”.
L’analisi attribuisce ai governi la tendenza a considerare il settore come un “canale per il welfare” e non come “un motore di crescita”, un aspetto che influisce fortemente sulla direzione delle riforme. Durante il suo primo mandato, Narendra Modi si è impegnato a raddoppiare i redditi degli agricoltori, eppure molte delle sue politiche hanno finito per andare contro questo obiettivo. La decisione del 2016 di smettere di riconoscere le banconote di alto taglio (che costituivano l’86% della valuta indiana) per combattere corruzione ed evasione fiscale ha ad esempio danneggiato fortemente l’economia rurale, dipendente dal denaro contante.
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L’occupazione sarà una delle sfide principali per l’India: solo il 40% della popolazione in età lavorativa ha un impiego o ne cerca uno. E solo il 10% delle donne fa parte delle forze di lavoro.
di Maddalena Binda
Nel 2020, il Bharatiya Janata Party (partito di Modi) ha prodotto una serie di riforme agricole importanti, ma le ha imposte al parlamento senza consultarlo, innescando le proteste degli agricoltori che ne hanno forzato l’abrogazione.
“Anche un progresso modesto potrebbe produrre guadagni significativi, si legge sempre sull’Economist. Le rese in India sono inferiori alla media globale in quasi tutti i prodotti, e anche solo portarle alla soglia della media renderebbe il Paese una potenza sul mercato globale.
Migliorare il settore (che registra una forte sottoccupazione) genererebbe poi un effetto a catena per il resto dell'economia indiana. “Aumentare i redditi nelle campagne creerebbe domanda di nuovi beni e servizi, che a loro volta porterebbero posti di lavoro migliori per i milioni di braccianti agricoli dell’India”, che non sarebbero più costretti trasferirsi nelle città (già sovraffollate) per sbarcare il lunario.
Tutto questo, però, a costo di investire di più e innovare. Il prima possibile.
Copertina: EqualStock/unsplash