Iea: entro il 2030 per ogni posto di lavoro perso nei fossili due nelle rinnovabili
Il nuovo rapporto dell’International energy agency segnala un’occupazione in aumento nel settore energetico: 67 milioni di persone nel 2022. Trend guidato da fotovoltaico e batterie. L’ostacolo più grande è la mancanza di manodopera qualificata.
Secondo il rapporto “World energy employment” dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea) il numero di posti di lavoro nel settore energetico globale è aumentato nel 2022, e tenderà a crescere ancora. Il merito va soprattutto alle energie rinnovabili, settore dove alla crescita di investimenti è seguito un aumento di lavoratori e lavoratrici. Ma lo studio non si ferma solo alle energie pulite, mappando l’occupazione secondo regione, tecnologie e catena del valore, e fornendo un ampio spettro di dati su cui riflettere.
Il treno delle rinnovabili
Partiamo dal più rilevante: l’occupazione globale nel settore energetico è salita a 67 milioni di persone nel 2022, con un aumento di 3,5 milioni rispetto ai livelli pre-pandemia. Più della metà della crescita è avvenuta in cinque settori: solare fotovoltaico, eolico, veicoli elettrici e batterie, pompe di calore ed estrazione di minerali critici.
Il fotovoltaico è di gran lunga il migliore datore di lavoro: quattro milioni di posti in totale. La crescita più rapida è stata registrata invece dai veicoli elettrici e dalle batterie, che hanno aggiunto oltre un milione di posti di lavoro dal 2019. Ma anche le industrie fossili hanno registrato un incremento, più contenuto, lasciando il settore al di sotto dei livelli pre-pandemia.
L’aumento dell’occupazione nelle rinnovabili si è verificato in ogni regione del mondo, con la Cina a fare da capofila. Anche l’industria dei minerali critici ha registrato un significativo aumento (180mila posti in più negli ultimi tre anni), generato in parte dall’incremento delle tecnologie pulite, strettamente legate a questi materiali.
Poca manodopera qualificata
L’ostacolo più grande alla futura espansione del settore, dice l’Iea, è la mancanza di manodopera qualificata. Secondo il Rapporto, il numero di lavoratori e lavoratrici che consegue titoli o certificazioni non tiene il passo della domanda.
“L’accelerazione senza precedenti verso l’energia pulita sta creando milioni di nuove opportunità di lavoro in tutto il mondo, ma queste non vengono colte abbastanza rapidamente”, ha commentato Fatih Birol, direttore esecutivo dell’Iea. “I governi, l’industria e le istituzioni educative devono mettere in atto programmi per fornire le competenze necessarie”.
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Competenze pressoché indispensabili: basti pensare che circa il 36% dei lavoratori del settore energetico svolge lavori altamente qualificati, rispetto al 27% del resto dell’economia. Alcune aziende fossili stanno riqualificando internamente i propri lavoratori, ma questo atteggiamento non è diffuso ovunque. Garantire una transizione giusta, sottolinea l’Aie, “deve rimanere una priorità per i politici, soprattutto nel settore del carbone dove l’occupazione è in costante calo da diversi anni”.
Secondo le proiezioni Iea, però, c’è da ben sperare: la crescente domanda di lavoratori nelle rinnovabili supererà il calo delle industrie fossili. Nello scenario migliore, entro il 2030 verranno creati 30 milioni di nuovi posti di lavoro dalle energie pulite, mentre quasi 13 milioni saranno quelli persi dai settori più inquinanti. Ciò significa che per ogni posto di lavoro in meno nelle aziende fossili, ne verranno creati due dalle rinnovabili. Naturalmente, questo richiederà un importante lavoro a livello di formazione professionale e sviluppo delle competenze.
Infine, sottolinea l’Iea, data la penuria di manodopera, i lavoratori provenienti da settori esterni a quello energetico saranno sempre più ben accolti. E, grazie a un’attenta riqualificazione delle loro capacità, potranno beneficiare di un salario più alto rispetto ad altri lavori. Il che non guasta mai.