La sopravvivenza delle popolazioni indigene influenza la biodiversità
Una ricerca analizza il legame tra culture locali e vulnerabilità di certe specie animali e vegetali. Assegnare uno “status bioculturale” agli esseri viventi potrebbe fornire un quadro più completo.
di Flavio Natale
Uno studio pubblicato sulla rivista Proceedings of national academy of sciences (Pnas) ha rilevato una stretta connessione tra vulnerabilità delle specie animali e vegetali e sopravvivenza di alcune culture antropiche locali. Secondo la ricerca, condotta su 385 specie diverse, il 68% degli animali e vegetali analizzati sarebbe infatti “sia biologicamente vulnerabile che a rischio di perdere la ‘protezione culturale’”. Un esempio? La sopravvivenza del dugongo, mammifero caratteristico delle coste poco profonde degli oceani Indiano e Pacifico, sarebbe messa a rischio sia dall’inquinamento e il depauperamento dell’habitat che dall’emigrazione degli isolani dallo Stretto di Torres, un braccio di mare che si trova tra l'Australia e la Nuova Guinea. La popolazione locale ha infatti amministrato per anni le popolazioni di dugonghi nel territorio, cacciandoli in modo sostenibile e monitorandone il numero. Gli abitanti dello Stretto stanno però emigrando, a causa dell’innalzamento del livello del mare e del surriscaldamento delle temperature, sottraendo supervisione e protezione agli animali. “I risultati dimostrano che la biologia non dovrebbe essere l’unico fattore a orientare le politiche di conservazione”, ha dichiarato a ScienceNews Victoria Reyes-García, antropologa culturale. Quando una cultura si indebolisce, ha proseguito Reyes-García, anche le specie importanti per quel popolo sono minacciate. “Nel settore della conservazione, molti pensano che sia necessario separare le persone dalla natura”, ha proseguito l’antropologa, “ma questa scelta trascura il rapporto che certi gruppi culturali – come gli isolani dello Stretto di Torres – hanno con essa”.
“Gli indigeni, le comunità locali e anche altri gruppi etnici sono buoni amministratori della biodiversità”, ha aggiunto Ina Vandebroek, etnobotanica dell'Università delle Indie Occidentali, coinvolta nello studio. “Hanno una conoscenza profonda dei loro ambienti, un aspetto che non possiamo davvero trascurare”.
Secondo gli studiosi, un modo per ricalibrare gli sforzi di conservazione sarebbe dare alle specie uno “status bioculturale”, per fornire un quadro più completo della loro vulnerabilità. Il team è partito dallo studio della vitalità linguistica di una determinata cultura per determinarne il rischio di scomparsa: più l'uso della lingua diminuisce più quella cultura è minacciata, e più una cultura è minacciata, più le specie importanti per quella cultura risultano vulnerabili. I ricercatori hanno quindi combinato la vulnerabilità culturale e biologica per definire lo status bioculturale di una specie.
Questo approccio trasversale potrebbe aiutare tanto le specie animali e vegetali quanto le popolazioni che storicamente si sono prese cura di loro. “Può anche servire per evidenziare quando le comunità hanno bisogno di sostegno per la gestione di un habitat”, ha aggiunto Reyes-García, esprimendo la speranza che questo nuovo studio possa stimolare migliori sforzi di conservazione, capaci di riconoscere i diritti delle comunità locali e incoraggiare la connessione tra esseri umani e natura.