Automotive, Motus-E: +6% degli occupati al 2030 grazie all’elettrificazione
L’industria automobilistica sta affrontando il “cambiamento tecnologico più radicale della sua storia”. Alcuni studi vedono nella transizione un rischio per l’occupazione. Ma bisogna considerare le nuove opportunità che la filiera può offrire.
di Flavio Natale
Il settore dell’automotive in Italia ha sempre giocato un ruolo di primo piano nella storia industriale e sociale del Paese, dando contributi significativi tanto in termini occupazionali quanto di ricerca, sviluppo e produttività. Le sfide degli ultimi anni stanno però mettendo il settore a dura prova, in particolare per quanto riguarda le “improrogabili questioni climatiche che richiedono all’automotive di affrontare quello che è forse il cambiamento tecnologico più radicale della sua storia, abbandonando una propulsione legata a combustibili fossili a favore di tecnologie più sostenibili”. Come il settore riuscirà ad affrontare questo cambiamento è oggetto del “Rapporto sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano”, prodotto da Motus-E, associazione nazionale di settore, costituita dai principali operatori industriali, del mondo accademico e dell’associazionismo ambientale e d’opinione, riuniti per favorire l’adozione massiva di mezzi di trasporto sostenibili. “In questo contesto riteniamo che, ad oggi, l’elettrificazione sia la tecnologia più matura per ridurre l’impatto ambientale della mobilità privata di massa”, prosegue l’associazione.
Uno dei principali temi affrontati dal Rapporto è la destabilizzazione che questo “profondo cambiamento” provocherà per decine di piccole e medie imprese, che hanno fondato la loro attività sul veicolo endotermico. Questa transizione, però, “potrebbe essere per l’Italia un’opportunità”. Se infatti molti Paesi europei hanno già intrapreso questo nuovo percorso, l’Italia deve accelerare la transizione attraendo nuove filiere, sostenendo la riconversione e facilitando l’adozione di nuove tecnologie, “pena la perdita di competitività per l’intero comparto industriale e il Paese”. Uno degli ostacoli più significativi, da questo punto di vista, è la mancanza di un quadro articolato per orientare la transizione e prevederne gli effetti sul tessuto industriale.
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La transizione energetica è stata considerata da molti studi come “la pietra tombale dell’automotive nazionale”, settore che perderebbe nei prossimi 15 anni, a causa della decarbonizzazione dei consumi e riduzione delle emissioni climalteranti, tra i 50 e i 120mila posti di lavoro. “Il quadro fornito dagli studi finora disponibili è, per diverse ragioni, parziale”, ha sottolineato Motus-E. Secondo il Rapporto, queste ricerche contengono infatti vari bias cognitivi, tra cui:
- una focalizzazione quasi esclusiva sulla componentistica automotive “senza considerare che la mobilità elettrica apre ad altre imprese e competenze”;
- l’utilizzo per le ricerche dei codici di misurazione Ateco (classificazione delle attività economiche di Istat), incapaci di rendere “un quadro realistico degli attori della filiera”,
- la confusione tra gli effetti della congiuntura economica e dell’andamento del settore con quelli legati all’elettrificazione.
“Per le ragioni su esposte gli studi attualmente disponibili non sono in grado di isolare gli effetti di perdita dei posti di lavoro effettivamente legati a elementi di natura tecnologica”. Per colmare questo gap di conoscenza, lo studio di Motus-E ha introdotto una nuova metodologia, che parte dalla definizione di 19 macro moduli caratteristici dell’ecosistema automotive cui fanno riferimento 127 componenti elementari, per analizzare in dettaglio rischi e benefici della transizione verso il settore elettrico.
Su queste basi è stato creato, insieme all’Università Ca’ Foscari di Venezia, un database di 2400 imprese, a cui fanno capo 280mila occupati. Oltre ad aver rilevato una prevedibile polarizzazione delle imprese e occupati a Nord-Ovest del Paese (oltre il 60%), lo studio ha identificato che le società che producono almeno un componente dedicato al powertrain (la tecnologia che alimenta il veicolo) endotermico sono 199; queste società contano 43mila occupati, di cui 14mila impiegati in imprese la cui produzione è integralmente dedicata ai veicoli endotermici e, dunque, a rischio maggiore.
A compensare questo rischio ci sono però i benefici per le imprese impiegate nel powertrain elettrico. Lo studio ha infatti individuato 107 imprese che si occupano di nuovi componenti per la mobilità elettrica, e che contano 22mila dipendenti. “Ovviamente questo è un primo risultato, per sua natura parziale”, ha avvertito Motus-E, dal momento che in futuro questo numero è destinato ad aumentare. “I nuovi occupati non sono limitati solo a chi già fa parte dell’ecosistema della mobilità elettrica”, si legge sempre nel Rapporto. È infatti importante considerare le diverse professionalità che nasceranno a servizio di questa nuova mobilità. “Ci sono attività manifatturiere che, se sviluppate, potrebbero contribuire significativamente al numero dei nuovi occupati oltre a garantire una maggiore solidità della filiera riducendone la dipendenza da fornitori extra Ue”.
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Ad esempio, Motus-E ha calcolato che nei prossimi anni verranno creati 4mila nuovi posti di lavoro diretti a servizio degli impianti di produzione delle batterie, già previsti in Italia. “Ovviamente quella delle batterie è solo una delle sotto filiere che potrebbe beneficiare della spinta propulsiva della mobilità elettrica ma ne esistono molte altre come la lavorazione dei materiali e il riciclo”. Inoltre, considerando che il 75% degli occupati è dedicato a produzioni non esclusive per i powertrain endotermici, il risultato è che un marginale incremento del loro numero al 2030 sia quasi sufficiente a compensare un dimezzamento degli occupati per i componenti dedicati unicamente ai motori endotermici.
Lo studio prevede inoltre che nel 2030 i veicoli elettrici raggiungeranno quasi il 50% delle vendite e della produzione europea; “è fondamentale quindi già oggi porre le condizioni che permetteranno alle aziende italiane di poter soddisfare la domanda che questo cambiamento tecnologico comporterà”. Con tali ipotesi di reattività, l’impatto occupazionale al 2030 sarà “addirittura positivo”, si legge sul Rapporto, portando un aumento del 6% degli occupati.
“È sicuramente importante parlare dei numeri, tanto più quando dietro questi numeri ci sono persone che potrebbero trovarsi in difficoltà lavorative, ma bisogna evitare l’errore di considerare questi dati come l’unico dato meritevole di essere diffuso”, ha concluso Motus-E. “Il concetto che vogliamo ulteriormente stressare è che nessuno studio ritiene che una riduzione dell’impatto occupazionale possa essere raggiunta opponendosi a una transizione tecnologica in un mercato globale. Al contrario, tutti ritengono che si debba fare tutto il possibile per sostenere il cambiamento”. Detto questo, gli ostacoli restano significativi: “Non esiste una soluzione facile per fare ciò, ma quello di cui siamo convinti è che una visione olistica sia imprescindibile per comprendere appieno le cause delle scelte che faremo, o non faremo, e gli effetti che si riverbereranno nei prossimi decenni condizionando le sorti dell’automotive italiano”.