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Naomi Klein: la Cop27 è il greenwashing di uno Stato di polizia

La Conferenza permette all’Egitto di mostrare il proprio impegno per il clima, mentre incarcera gli attivisti e vieta la ricerca, sostiene la scrittrice su The Guardian.

di Maddalena Binda

“Questo vertice va ben oltre oltre il greenwashing di un Paese inquinante: è il greenwashing di uno Stato di polizia”. Naomi Klein va dritta al punto. In un articolo pubblicato il 18 ottobre su The Guardian, l’attivista e scrittrice canadese si è lanciata in un duro j’accuse contro la Cop27 egiziana, che inizierà il prossimo 6 novembre a Sharm el-Sheikh. Un intervento ricco di testimonianze, in cui Klein spiega come la Cop27 rappresenti un caso particolare: l’Egitto potrà mostrare i propri sforzi nella lotta alla crisi climatica, spostando così l’attenzione dalle accuse di violazione e di repressione delle libertà rivolte dalle organizzazioni per i diritti umani.

L’organizzazione di una Cop, Conferenza delle parti a cui annualmente partecipano gli Stati che hanno ratificato la Conferenza quadro delle Nazioni unite sul cambiamento climatico, è “un compromesso tra costi e benefici”, si legge nell’articolo. Ci sono aspetti negativi, come le emissioni causate dagli spostamenti dei delegati, le spese per il vitto e l’alloggio e l’opportunità per il Paese ospitante di dimostrare il proprio impegno per l’ambiente, più o meno reale che sia. E ci sono aspetti positivi come la copertura mediatica, lo spazio dato alle persone impegnate a contrastare il cambiamento climatico e gli impegni, seppure non vincolanti, per ridurre le emissioni e stanziare fondi per i Paesi più colpiti.

Raccontando il caso di Alaa Abd El Fattah, attivista egiziano per i diritti umani che dal 2019 si trova nuovamente in carcere per diffusione di notizie false, Naomi Klein denuncia la repressione del regime del generale Abdel Fattah al-Sisi, salito al potere nel 2013 dopo un colpo di Stato. Sono circa 60mila i prigionieri politici detenuti nelle carceri egiziane, frequentemente vittime di tortura, mentre giornalisti, attivisti e accademici sono posti sotto stretta sorveglianza. Klein sostiene che alla Cop27 non sarà possibile ascoltare le voci delle comunità egiziane più colpite dai cambiamenti climatici né conoscere le reali condizioni di inquinamento e degrado ambientale nel Paese perché le ricerche, per essere pubblicate, devono prima essere approvate dal governo.

La scrittrice riporta, inoltre, come, nonostante le richieste degli egiziani in esilio in Europa e Stati uniti alle Ong, gli Stati non abbiano inserito i prigionieri politici come un tema nell’agenda delle negoziazioni pre-vertice. “Gli è stato detto che questà è la Cop dell’Africa”, scrive Klein “e che nonostante i fallimenti precedenti, questa Cop, la 27esima, avrebbe finalmente preso sul serio la l’“implementation”  e il “loss and damage”. L'Onu parla della speranza che i Paesi ricchi e altamente inquinanti pagheranno finalmente ciò che devono alle nazioni povere, come il Pakistan, che hanno contribuito quasi per nulla alle emissioni di carbonio, eppure stanno sopportando la maggior parte dei costi crescenti”.

Sembra che i temi che verranno affrontati durante la Conferenza siano troppi importanti e urgenti per poter esaminare lo stato dei diritti umani nel Paese ospitante. Non è, tuttavia, possibile slegare l’azione climatica dalla tutela delle libertà politiche e civili, sottolinea Klein. L’articolo si chiude, quindi, con la proposta, avanzata dall’organizzazione Human rights watch, di vincolare l’organizzazione delle prossime Cop al rispetto dei diritti umani.

fonte dell'immagine di copertina: ansa.it

venerdì 21 ottobre 2022