“Intelligenza artificiale, bot, interessi aziendali e oligarchi” stanno uccidendo Internet
Si è riacceso il dibattito intorno alla teoria per cui gran parte dei contenuti sul web sono generati in base agli interessi di poche piattaforme. Siamo alla vigilia di un esodo virtuale di massa?
di Andrea De Tommasi
Isaiah McCall su Medium annuncia che la cosiddetta Dead internet theory è più viva che mai e aumenta i suoi seguaci. La teoria afferma in sostanza che l'intelligenza artificiale e gli algoritmi hanno quasi interamente preso il controllo di Internet e che il web sta lentamente morendo a causa di ciò. La teoria della “morte” di Internet, in versioni più o meno radicali, è iniziata a circolare tra il 2016 e il 2017 su alcuni forum di cospiratori restando a dire il vero un’idea di nicchia, ma negli ultimi anni sta trovando consensi in un numero crescente di comunità online, tanto da trovare attenzione anche sulla rubrica di Radio radicale “Media e dintorni”, sottolineando che anche le risposte dei motori di ricerca sono ormai prive di oggettività e dominate dalle convenienze corrispondenti al profilo dell’utente.
La premessa di McCall è che Internet non è così grande come la gente pensa, è dominato da una manciata di piattaforme che “si godono il bottino” e nessuno conosce l’effettiva pervasività dei bot e dell’intelligenza artificiale su questi siti. Dice MCall che Internet ha perso il suo carico di novità e sempre più persone si rendono conto che “non può sostituire le relazioni nella vita reale”. Un concetto al quale hanno contribuito produzioni di successo come The social dilemma e Black mirror.
Un paragone che pone McCall è tra Internet e il giornalismo. La questione da cui parte è che “tutti i contenuti originali su Internet, tutte le voci indipendenti, non sponsorizzate e non filtrate vengono uccise da Ai, bot, interessi aziendali e oligarchi”. Ecco allora che, in un contesto nel quale è il marketing a farla da padrone, per McCall non è azzardato affermare che “il giornalismo oggettivo sta morendo”, e prova ne sarebbe la significativa diffusione sui giornali del native advertising, “articoli e editoriali pagati segretamente dalle aziende”.
Un'altra questione che affronta l’articolo è la declinazione del termine accelerazionismo. Sostiene McCall che “le persone sono più arrabbiate, più divise e anche più perverse”. Internet avrebbe peggiorato tutti questi aspetti, agendo come una sorta di “anestetico digitale” e rendendo le persone “insensibili a comportamenti che non tollererebbero mai nella vita reale”. Gli algoritmi non sono solo responsabili di formare delle echo cambers, gli spazi virtuali dove l’utente si trova a visualizzare prevalentemente contenuti coerenti con le sue convinzioni e ideologie, e a interagire con altri utenti che condividono le sue stesse opinioni. Oggi i bot, gli account falsi, la disinformazione e lo spam stanno dando vita a “una intranet gestita dall’intelligenza artificiale di proprietà aziendale”. Ecco perché si può prevedere che “i veri nerd probabilmente nemmeno useranno Internet in futuro”.