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L’uso strategico della conoscenza può rappresentare la forza motrice per l’innovazione

A Roma il convegno di Human Technopole sul ruolo della scienza, della tecnologia e della cultura come volano per lo sviluppo del Paese. Franco: rafforzare assetto delle nostre istituzioni di ricerca.

di Andrea De Tommasi

Economia della conoscenza e innovazione, contributo della ricerca alla crescita del Paese, valorizzazione del capitale umano, nuovi modelli di partecipazione e confronto. Questi i temi al centro del convegno promosso da Human Technopole venerdì 6 maggio presso il Palazzo dei Gruppi parlamentari a Roma, alla presenza del ministro dell’Economia e delle finanze Daniele Franco.

Ad aprire l’evento il presidente di Human Technopole, Marco Simoni, che ha ricordato il percorso dell’istituto italiano di ricerca per le scienze della vita sorto quattro anni fa a Milano nel quartiere che ospitò Expo2015, citando poi le sfide che il Paese ha davanti: “I dati mostrano che il contributo della ricerca italiana alla crescita del Paese è largamente inferiore a quanto avviene altrove, e non certo per demerito dei nostri ricercatori”, ha dichiarato. “Nel settore delle Life Science, siamo leader per numero di citazioni e terzi, a livello europeo, per numero di pubblicazioni scientifiche, meglio di Francia o Spagna. Il problema è la scarsa capacità italiana di creare ricadute dell’attività di ricerca sul sistema della competitività in termini industriali. Solo un numero: nel 2021 l’Italia ha presentato un quinto delle richieste di brevetto della Germania e meno della metà della Francia”. È necessario, ha aggiunto Simoni, rafforzare il nesso tra ricerca, grandi infrastrutture scientifiche, finanza e industria, per creare ecosistemi in cui scienziati, manager e tecnici possano creare innovazione: “L’Italia è nelle condizioni di poterlo fare in numerosi campi che ci contraddistinguono per capacità tecnologiche e industriali: penso per esempio all’agri-tech, al settore dell’energia, dell’ingegneria e all’aerospaziale, e naturalmente delle scienze della vita, che rappresentano ormai la quarta gamba del Made in Italy. L’uso strategico della conoscenza rappresenta la nuova forza motrice per il cambiamento e l'innovazione, nell’economia in primis e nell’intera società”.

È intervenuto poi il ministro Franco che ha spiegato che “l’Italia è un Paese all’avanguardia per certi aspetti della ricerca e dell’innovazione ma ha dei risultati non sempre adeguati. Nel 2020 quasi un quarto dei giovani tra 25 e 34 anni non aveva un diploma secondario, a fronte del 15% della media Ocse. Se guardiamo ai tassi di abbandono scolastico, in Italia sono relativamente elevati. La percentuale di laureati in discipline Stem è pari al 25%, rispetto al 27% in Francia e 32% in Germania”. Servono, ha aggiunto il ministro, sistemi che soddisfino le richieste del lavoro in termini di competenze: “Alla specializzazione va associata la crescita di adattamento. Questo è uno dei punti di forza dei ricercatori italiani. Dall’altro lato occorrono innovazioni che migliorino la qualità di vita delle persone”. Il governo, ha concluso, sta cercando di attuare una strategia di lungo periodo che ha nel rafforzamento della ricerca una delle componenti: “Il Pnrr comporterà il raddoppio degli investimenti effettuati dalle amministrazioni pubbliche negli anni scorsi. Vi sono significativi interventi (32 miliardi) per quanto riguarda istruzione e ricerca. Sulla ricerca il Piano finanzia cinque poli tecnologici nazionali: tecnologie dell’agricoltura, sistemi di calcolo, terapia genica, mobilità sostenibile, biodiversità. L’idea è quella di rafforzare l’assetto delle nostre istituzioni di ricerca”.

Nella tavola rotonda moderata da Silvia Sciorilli Borrelli, corrispondente italiana del Financial Times, ha preso per prima la parola Francesca Pasinelli, direttore generale di Fondazione Telethon, che ha sottolineato i fattori abilitanti che determinano l’attrattività del mercato: sistemi di reclutamento internazionalmente competitivi dei ricercatori; generazione della massa critica, attraverso investimenti mirati a una maggiore competitività; trasformazione dell’innovazione in presidi utili per la società. Bisogna affiancare al ricercatore, ha aggiunto, delle strutture di trasferimento tecnologico competenti e di mercato.

Vittorio Bo, direttore del Festival delle Scienze di Roma, ha evidenziato l’importanza di “utilizzare linguaggi adeguati per raggiungere determinati pubblici. In questo modo si creano le condizioni per una relazione molto più forte tra le persone, acquisendo quelle forme di comunicazione che sono proprie della società della conoscenza. Un esempio per quanto riguarda il Pnrr: durante il Festival delle Scienze dello scorso anno ho chiesto al ministro Giovannini e a Francesca Bria di raccontare ai ragazzi le sei missioni del Piano. Sebbene il tema fosse ostico, ha risvegliato un interesse vero nei giovani”.

Maria Bianca Farina, presidente di Poste Italiane e Ania, si è interrogata sul legame tra conoscenza ed educazione finanziaria, che si poggia sulla “capacità di prevenire, riconoscere i rischi e gestirli con gli strumenti adatti; avere un rapporto chiaro con il denaro e il suo valore; assicurarsi un benessere nella vita. Le ricerche ci dicono che in tema di educazione finanziaria l’Italia deve fare passi avanti ed è al di sotto della media Ocse. È necessario porre il seme di queste conoscenze dalla scuola di base. Questo è utile anche per ridurre il gap di genere”.

Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della Crui, la Conferenza dei rettori italiani, ha osservato che “ricerca e innovazione significano impatto. Ma l’impatto occorre misurarlo attraverso una serie di proxy: numero di startup con un certo fatturato, brevetti, quota di addetti nei filoni di ricerca. Pechino, San Francisco, Tel Aviv e Londra sono i top player. Poi ci sono altre realtà più locali che stanno creando valore, come Parigi, Amsterdam, San Paolo. Tutte sono caratterizzate da disponibilità di talenti, connessioni internazionali, capitali e propensione al rischio. L’Italia è assente perché non abbiamo indicatori che misurino la produttività dei risultati della ricerca. Bisogna dare connessioni ai ricercatori e regole. Tutto questo deve essere alimentato dalla capacità di costruire talenti e qui è fondamentale il ruolo dell’università”.

Giovanna Melandri, presidente della Fondazione Maxxi, ha posto l’accento sulla necessità di misurare l’impatto sociale degli investimenti pubblici e privati, per far sì che intervenire sui problemi della società e del territorio sia anche una scelta vantaggiosa dal punto di vista economico: “Non possiamo pensare di uscire da una fase di sindemia, cioè di crisi plurali, affidandoci soltanto alla stagione del public spending. Dobbiamo coinvolgere gli investitori privati. Anche in questo l’Europa può essere un territorio di sperimentazione”. Le istituzioni della ricerca artistica, ha ricordato Melandri, sono sempre più interconnesse con quella scientifica: “C’è un’eccellenza italiana anche nella dimensione creativa. Quello su cui facciamo fatica è il cosiddetto istitutional building, ossia la costruzione del funzionamento delle istituzioni”.

lunedì 9 maggio 2022