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In 20 anni, 88 milioni di persone colpite da catastrofi. L’impatto dei disastri si intensifica

Pubblicato il Rapporto Undrr sulla riduzione dei rischi. Eventi climatici estremi in aumento. Tra le conseguenze: sfollamento, perdite umane ed economiche. Migliora l’attuazione dei protocolli per la protezione dai rischi, ma a pagare il conto più salato sono i Paesi a basso reddito.

di Flavio Natale

“Il mondo deve fare di più per includere il rischio di catastrofi all’interno del modo in cui viviamo, costruiamo e investiamo: altrimenti, possiamo alimentare una spirale di autodistruzione”. A dirlo è Amina J. Mohammed, vicesegretaria generale delle Nazioni Unite, in occasione della pubblicazione del Rapporto “Global assessment report on disaster risk reduction”, prodotto dall’Ufficio delle Nazioni unite per la riduzione del rischio (Undrr). Questo documento, pubblicato ogni due anni, si pone l’obiettivo di delineare gli strumenti per mitigare il rischio da catastrofi, identificando le criticità e individuando possibili aree di azione a livello nazionale e internazionale.

Gli eventi catastrofici hanno colpito, nel periodo 1997-2017, 88 milioni di persone, di cui 76 milioni hanno subito disastri dovuti alle inondazioni. Le calamità generate da rischi di tipo naturale hanno causato lo sfollamento di quasi 24 milioni di persone ogni anno nell'ultimo decennio, e “restano il principale fattore scatenante di questo fenomeno”.

Il 68,5% di tutte le perdite economiche nel periodo 2005-2017 è stato attribuito a eventi catastrofici. “Le perdite subite a seguito di eventi di questo tipo continuano a essere ampiamente sottovalutate, e spesso assorbite dalle famiglie e dalle comunità a basso reddito”, si legge nel Rapporto. In una dichiarazione, l’Undrr ha accusato a questo proposito la comunità internazionale di “ottimismo”.

I danni economici subiti nel settore abitativo rappresentano i due terzi del totale delle perdite generate da eventi estremi: segue l’agricoltura, il secondo settore più colpito. Ma “i dati sono imperfetti”, avverte l’Undrr, “e le perdite rimangono significativamente sottostimate, compromettendo calcoli più accurati”.

L'assistenza allo sviluppo per la riduzione del rischio da eventi calamitosi è stata, in questi anni, “volatile e marginale”: tra il 2005 e il 2017, un totale di 5,2 miliardi di dollari, che “rappresenta il 3,8% del finanziamento umanitario complessivo dello stesso periodo, meno di quattro dollari per ogni cento dollari spesi”.

In termini di perdite, persistono gravi disuguaglianze tra i Paesi a basso e alto reddito, con i primi che sopportano i costi maggiori relativi agli eventi catastrofici. “Le perdite umane ed economiche tendono a essere maggiori nei Paesi con la minore capacità di prepararsi, di finanziare e rispondere ai disastri e ai cambiamenti climatici, come i piccoli Stati insulari in via di sviluppo”, sottolinea l’Undrr.

La buona notizia è che l'adozione e l'attuazione dei protocolli suggeriti nei Rapporti precedenti hanno ridotto tanto il numero di morti quanto quello delle persone colpite da disastri negli ultimi dieci anni. Tuttavia, dal 1990, il 92% della mortalità attribuita a eventi calamitosi associati a rischi naturali si è verificata in Paesi a basso e medio reddito, in particolare in Asia-Pacifico e Africa. Inoltre, si legge sul Rapporto, “la portata e l'intensità dei disastri sono in aumento, con più persone colpite negli ultimi cinque anni rispetto ai cinque precedenti”.

L’Undrr aggiunge quanto sia necessario uno sforzo per comprendere più nel dettaglio come gli shock influenzino la vita delle persone, fornendo così supporto ai Paesi per progettare soluzioni ad hoc. “Dobbiamo trasformare la noncuranza collettiva in azione”, ha aggiunto Mohammed. “Insieme possiamo rallentare il tasso di disastri prevedibili mentre lavoriamo per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile per tutti, ovunque”.

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Fonte dell'immagine di copertina: kitsadakron/123rf

giovedì 28 aprile 2022