Gli approvvigionamenti per la transizione energetica favoriscono le autocrazie
Nel 2040 il mondo dipenderà meno dalle risorse legate all'energia di quanto non lo sia oggi, ma tra i Paesi avvantaggiati prevalgono quelli dominati da regimi non democratici.
di Giulia Gallo
La transizione ecologica, con il conseguente aumento della quota delle rinnovabili nel paniere energetico globale, si tradurrà in un’espansione della domanda delle componenti necessarie per la realizzazione di tecnologie green, come ad esempio le batterie o i magneti: ciò implicherà il crescente bisogno di possedere tutte quelle materie prime che sono essenziali per il progresso tecnologico sostenibile.
L'Agenzia internazionale per l'energia prevede che l’energia eolica e quella solare potrebbero rappresentare circa il 70% della produzione energetica entro il 2050, rispetto al 9% del 2020. Questo significa che si assisterà ad una crescente domanda di metalli non ferrosi di nicchia quali cobalto, rame e nichel, essenziali per la realizzazione delle tecnologie necessarie per la transizione verso un’energia verde. Ma proprio come è accaduto per le riserve di combustibili fossili, anche le materie prime “verdi” che traineranno la transizione energetica nei prossimi decenni sono distribuite in modo non uniforme nel mondo. Alla luce di ciò, quali saranno i Paesi che grazie al treno della transizione energetica diventeranno le future superpotenze delle materie prime verdi?
L’indagine. L’articolo apparso su The Economist ha provato a rispondere a questa domanda ipotizzando la costruzione di uno scenario che prevede l'impiego nel 2040 di dieci materie prime collegate all'energia, utilizzando i dati provenienti da una serie di fonti del settore: tre combustibili fossili (petrolio, gas, carbone) e sette metalli (alluminio, cobalto, rame, litio, nichel, argento e zinco). Ipotizzando che i prezzi rimangano ai livelli elevati di oggi, e che la quota di mercato di un produttore nel 2040 sia in linea con la sua quota di riserve note, i risultati dello studio suggeriscono che la spesa totale per le dieci materie prime scende al 3,4% del Pil globale, dal 5,8% nel 2021; il numero dei grandi produttori di commodities legate all'energia diminuisce nel tempo, arrivando al numero di 48 rispetto ai 58 del 2021, con una particolarità: la maggior parte sono autocrazie.
I vincitori: le superpotenze verdi. Nello scenario ipotizzato nell’articolo tra i vincitori green risultano alcune ricche democrazie quali l’Australia, che possiede praticamente tutti i metalli presi in considerazione nello studio; il Cile, invece, è ricco in giacimenti di litio e rame. Ma la maggior parte delle future superpotenze verdi saranno autocrazie: ad esempio il Congo, Paese caratterizzato da alti tassi di violenza e repressione, possiede il 46% delle riserve globali di cobalto, ed è responsabile del 70% della produzione mondiale. Ma anche democrazie più povere come l’Indonesia e il Perù hanno la possibilità di arricchirsi grazie ad abbondanti possedimenti rispettivamente di nichel e argento.
Il declino dei petrostati. Secondo i risultati dell’indagine, i cosiddetti petrostati saranno i Paesi che perderanno di più dalla transizione. Molte nazioni ricche di petrolio del Nord Africa (Algeria, Egitto), dell'Africa subsahariana (Angola, Nigeria) e dell'Europa (Gran Bretagna, Norvegia) sperimenteranno una drastica riduzione delle entrate.
Il ruolo della Cina. Il territorio cinese ospita vasti giacimenti di alluminio, rame e litio; inoltre, ad oggi la Cina è la nazione che sta spendendo di più per accaparrarsi le riserve di metalli presenti in altre zone del mondo, attraverso la costruzione di una fitta rete di acquisizioni e investimenti strategici: a Kolwezi, la regione del Congo con la più grande riserva di cobalto del Paese, la Cina detiene i più grandi depositi commerciali, mentre la sua presenza nella foresta pluviale indonesiana ha come obiettivo i giacimenti di nichel. Sembrerebbe, quindi, che il Dragone stia già lavorando per assicurarsi un ruolo da protagonista tra le superpotenze delle materie prime verdi.
Quali implicazioni? Gli investimenti nelle attività estrattive di metalli essenziali per la transizione verso un’energia pulita possono risentire delle condizioni locali e della geopolitica delle diverse nazioni. È stato calcolato, infatti, che buona parte delle risorse di cui necessita l’industria della transizione è situata in Paesi che attualmente sono caratterizzati da economie povere e autocrazie: le future superpotenze delle materie prime verdi potrebbero guadagnare più di 1,2 migliaia di miliardi di dollari di profitti annuali dai metalli legati all'energia sostenibile entro il 2040. Entrate simili andrebbero quindi ad alimentare sistemi governativi non democratici, con la possibile generazione di instabilità politica interna. Inoltre, la situazione geopolitica si ripercuote anche sull’affidabilità delle catene di approvvigionamento, per il fenomeno del “nazionalismo delle risorse”, ovvero la scelta strategica dei governi di affermare il controllo dei giacimenti presenti sul territorio nazionale.