Tra meno di cinquant’anni la popolazione mondiale potrebbe cominciare a diminuire
Quasi 11 miliardi di persone saranno sulla Terra entro il 2100, affermavano nel 2019 le Nazioni unite. Ma molti demografi non sono più d’accordo e l’Onu tarda ad aggiornare le sue previsioni.
di Andrea De Tommasi
Le prospettive a lungo termine sulla popolazione mondiale non mettono d’accordo i demografi. Mentre la previsione media delle Nazioni unite è di una crescita continua, anche se a un ritmo più lento, fino al 2100 e di una popolazione di 10,9 miliardi di persone entro quella data, altri centri di ricerca ritengono che la crescita demografica rallenterà significativamente molto prima. Ma andiamo con ordine. Nel 2019, il Dipartimento per gli affari sociali ed economici dell’Onu ha pubblicato il suo ultimo “World population prospects”, il rapporto con cui ogni due anni mette a disposizione dati e analisi sull’andamento della popolazione mondiale. In attesa degli aggiornamenti al 2021, che ancora non sono stati rilasciati (e c’è il dubbio che questo ritardo sia dovuto proprio ai contrasti tra i demografi), diamo uno sguardo ai dati del 2019, riferiti dunque all’era pre Covid: l’Onu stima che la popolazione mondiale dovrebbe raggiungere gli 8,5 miliardi nel 2030, 9,7 miliardi nel 2050 e, come detto, sfiorare gli 11 miliardi nel 2100.
Uno studio pubblicato a luglio 2020 sulla rivista scientifica The Lancet suggerisce però che questo non sia lo scenario più probabile. Secondo l’Institute for health metrics and evaluation (Ihme) dell’Università di Washington, che ha realizzato la ricerca utilizzando i dati del Global burden disease study 2017, la popolazione mondiale potrebbe raggiungere il picco nel 2064 a 9,7 miliardi e poi scendere a circa 8,8 miliardi entro il 2100. Gli autori avvertono che entro la fine del secolo fino a 23 Paesi potrebbero vedere la loro popolazione ridursi di oltre il 50%, inclusi Italia, Giappone, Tailandia, Spagna, Portogallo, Corea del Sud e altri Paesi a causa dei bassi tassi di natalità e dell'invecchiamento della popolazione. Anche la Cina, il Paese più popoloso, registrerebbe un calo della sua popolazione da 1,4 miliardi nel 2017 a 732 milioni nel 2100. Lo studio sottolinea che l’istruzione per le ragazze e un maggiore accesso alla contraccezione rallenteranno la fertilità e la crescita della popolazione. Stein Emil Vollset, autore principale dello studio e professore di Salute globale presso l’Ihme, ha dichiarato a IFLscience: “L'ultima volta che la popolazione globale è diminuita è stato a metà del 14esimo secolo, a causa della peste nera. Se la nostra previsione è corretta, sarà la prima volta che il declino della popolazione è guidato dal declino della fertilità, al contrario di eventi come una pandemia o una carestia”.
Anche le proiezioni dei ricercatori dell’Istituto internazionale per l’analisi dei sistemi applicati (Iaasa) di Vienna differiscono da quelle delle Nazioni unite. Nel 2014 i demografi dell’istituto hanno affermato che la popolazione mondiale raggiungerà probabilmente il picco di 9,4 miliardi intorno al 2070 e poi scenderà a circa 9 miliardi entro il 2100. Un aggiornamento successivo ha previsto la popolazione in aumento a quasi 9,7 miliardi intorno al 2070.
La continua crescita nel corso del secolo non è più, dunque, la traiettoria più probabile per la popolazione mondiale? Un lungo articolo apparso lo scorso 21 settembre su Nature ha ricostruito le differenze tra i principali modelli demografici interrogando gli esperti. Le previsioni sulla popolazione mondiale sembrano dipendere principalmente da due questioni chiave: il ritmo del declino della fertilità nell'Africa subsahariana e cosa succede ai Paesi quando i livelli di fecondità scendono al di sotto del livello di sostituzione (2,1). Le proiezioni sulla popolazione dell’Onu e degli altri istituti utilizzano approcci molto diversi per definire le ipotesi alla base delle future traiettorie di fecondità e mortalità. “I diversi risultati riflettono l'incertezza nel fare proiezioni su un periodo di tempo così lungo”, ha detto alla rivista Leontine Alkema, professoressa di Statistica presso l’Università del Massachusetts Amherst. “È una specie di esercizio impossibile e facciamo del nostro meglio, è positivo che gruppi diversi utilizzino approcci differenti”.
di Andrea De Tommasi