Anche su rifiuti e sistemi alimentari abbiamo bisogno di un modello come l’Ipcc?
Un documento dell'Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile passa in rassegna il rapporto tra scienza e politica alla luce delle grandi sfide globali.
di Giulia Gallo
Quest’anno sono trascorsi cinquant’anni dalla “United nations conference on the human environment”, il primo vertice ambientale mondiale tenutosi a Stoccolma nel 1972: la Conferenza ha il merito di aver concettualizzato, per la prima volta nella storia, il ruolo decisivo della comunità scientifica nell’identificare e portare all’attenzione della politica possibili rischi e disastri ambientali. Secondo il principio 18 della dichiarazione di Stoccolma: "La scienza e la tecnologia, come parte del loro contributo all'economia e allo sviluppo, devono essere applicate all'identificazione, l'elusione e il controllo dei rischi ambientali e la soluzione dei problemi ambientali per il bene comune dell'umanità”.
Proprio dal 1972 hanno assunto rilevanza quelle che sono state chiamate le interfacce scienza-politica, dall’inglese Science-policy interfaces (Spi): partnership tra le comunità scientifiche e i governi, con l’obiettivo di colmare il divario che separa e allontana le due realtà, nell’ottica di implementare quel diciottesimo principio della Dichiarazione. Tra le più celebri istituzioni figura l’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, fondato dall’Organizzazione meteorologica mondiale e il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente, che dal 1988 si prepone l’obiettivo di studiare il fenomeno del riscaldamento globale.
La domanda che Pia Kohler, ricercatrice senior presso il Center for governance and sustainability della UMass Boston, si pone nel policy brief “Science-policy interfaces: from warnings to solutions”, pubblicato dall’Istituto internazionale per lo sviluppo sostenibile, è questa: quali risultati sono stati raggiunti in questi cinquant’anni, e quali nuove interfacce scienza-politica è oggi necessario costruire? Durante l’ultimo anno, ricorda Kohler, è stata proposta l’istituzione di due nuovi gruppi intergovernativi, uno per le sostanze chimiche e i rifiuti su indicazione della Un Environment assembly (Unea-4), l’altro per i sistemi alimentari. Tuttavia, soltanto il primo gruppo – osserva l’autrice – è stato “ampiamente sostenuto dalla comunità scientifica”. “La creazione di canali efficaci che colleghino la scienza al processo decisionale è indispensabile per promuovere il contributo della conoscenza scientifica alla protezione dei diritti umani”, ha evidenziato Marcos Orellana, relatore speciale Onu su sostanze tossiche e diritti umani.
di Giulia Gallo