Senza un impegno globale gli oceani resteranno delle discariche
Aumentano le categorie regolamentate sullo scarico di rifiuti in mare, ma l’adesione degli Stati ai trattati internazionali fa registrare ancora importanti defezioni.
di Maddalena Binda
Un approfondimento pubblicato dall’International institute for sustainable development (Iisd) analizza l’attuale regolamentazione sullo scarico di rifiuti negli oceani, individuando nella mancata ratifica dei trattati da parte di molti Stati la criticità maggiore per il futuro della tutela delle aree marine. Sono due gli avvenimenti recenti che hanno riportato l’attenzione su questo tema: l’incidente che ha coinvolto, il 15 agosto 2020, la nave giapponese Wakashio al largo delle Mauritius, volontariamente affondata dieci giorni dopo, e la decisione, annunciata ad aprile del 2021 dal governo giapponese, di riversare nell’oceano Pacifico l’acqua utilizzata per raffreddare i noccioli del reattore della centrale di Fukushima dopo lo tsunami del 2011.
Convenzione di Londra: gli oceani non possono smaltire i rifiuti. Fino agli anni ’60 gli oceani sono stati considerati come discariche per rifiuti provenienti da miniere, industrie, operazioni di dragaggio di porti e di fiumi e ceneri delle centrali elettriche. Con l’aumentare della consapevolezza sulle questioni ambientali, è cresciuta anche la preoccupazione riguardo l’impatto dello scarico dei rifiuti in aree marine. Gli oceani sono fondamentali per l’uomo e per il Pianeta: producono il 50% dell’ossigeno, assorbono dal 25% al 30% della CO2 presente nell’atmosfera e il 90% del calore in eccesso, mitigando gli effetti del cambiamento climatico. Sono inoltre fonte di sostentamento per circa tre miliardi di persone che dipendono da attività direttamente o indirettamente legate ad essi.
La regolamentazione dello scarico di rifiuti negli oceani risale al 1972, quando venne firmata la Convenzione per la prevenzione dell’inquinamento marino di immersione di rifiuti e di altre sostanze, nota come Convenzione di Londra, a conclusione di una conferenza intergovernativa organizzata dal Regno Unito. Per la prima volta si riconosce l’impossibilità di smaltire i rifiuti senza creare danni ambientali agli oceani. La Convenzione proibisce lo scarico, da parte di imbarcazioni, aerei, piattaforme e altre strutture artificiali di alcuni materiali pericolosi, come i rifiuti altamente radioattivi e contenenti mercurio e petrolio, e prevede la richiesta di un’autorizzazione speciale preventiva o generale per l’immersione di determinate categorie di rifiuti e sostanze.
Misure stringenti con l’adozione del Protocollo di Londra. Approvato nel 1996, il Protocollo di Londra proibisce lo scarico di qualunque rifiuto o sostanza, ad eccezione di alcuni gruppi tra cui quelli organici e ittici, quelli provenienti dalle miniere e da operazioni di dragaggio che oggi costituiscono circa l’80-90% dei materiali regolamentati scaricati negli oceani. Il Protocollo si basa sul principio di precauzione, secondo cui devono essere adottate misure preventive qualora vi sia motivo di credere che l’introduzione di un rifiuto o sostanza possa essere dannoso per le aree marine, anche in mancanza di evidenze scientifiche conclusive. Vengono ufficialmente vietate anche le esportazioni di rifiuti per lo scarico nelle acque di altri Paesi. Il Protocollo invita inoltre gli Stati a cooperare sia per la ricerca scientifica che per l’assistenza nella riduzione dell’inquinamento e dello scarico dei rifiuti. Un emendamento del 2006 regola la cattura e lo stoccaggio del carbonio nel suolo sottomarino e uno del 2013 permette attività di geoingegneria per scopi esclusivamente di ricerca.
Manca un’ampia partecipazione degli Stati. Sebbene la Convenzione e il Protocollo di Londra abbiano comportato importanti progressi nella tutela degli oceani, restano tuttavia alcune criticità. Tra queste vi sono la mancata adesione da parte di un numero significativo di Stati e la conseguente disomogeneità nell’attuazione dei regolamenti previsti. A febbraio 2019 erano solo 87 gli Stati parte della Convenzione di Londra, 53 quelli parte del Protocollo. Per poter tutelare le aree marine ed evitare che gli oceani continuino ad essere una discarica è necessario, anche attraverso azioni di advocacy, aumentare il coinvolgimento degli Stati, responsabilizzando i governi verso gli impegni assunti.
Un segnale positivo arriva tuttavia dalla flessibilità e dinamicità con cui gli Stati hanno emendato la Convenzione e il Protocollo: tra le tematiche attualmente in fase di discussione vi è, ad esempio, la regolamentazione dello scarico dei rifiuti delle attività minerarie in acque profonde.
di Maddalena Binda