Democratizzare lo spazio pubblico nel nuovo numero di Futuri
Come costruire visioni inclusive del futuro? In che modo coinvolgere i gruppi sociali che ad ora restano esclusi? Queste alcune domande contenute nella rivista dell’Italian institute for the future.
di Andrea De Tommasi
Cambiamenti climatici, transizione energetica, emergenze di salute pubblica come la pandemia: oggi l’umanità si trova di fronte a grandi sfide che rendono il futuro non solo ancora più centrale, ma segnalano anche la necessità di farlo diventare più inclusivo coinvolgendo la popolazione. Negli ultimi anni i governi hanno mostrato una maggiore spinta verso approcci più aperti e democratici per affrontare questi problemi, dal consiglio dei cittadini sul clima riunito dal presidente francese Emmanuel Macron alla legge sul benessere delle generazioni future varata dal Galles. Allo stesso tempo si è registrata un’ampia proliferazione di enti di previsione strategica chiamati ad affiancare gli Stati nelle loro attività di pianificazione, come il Center for strategic futures di Singapore e la Dubai future foundation voluta dagli Emirati Arabi Uniti. Tuttavia, sebbene ci siano ottimi esempi di progetti sul futuro che includono un coinvolgimento più ampio, lo sviluppo di scenari a lungo termine rimane ancora in gran parte limitato a pensatori, stakeholder e segmenti di popolazione economicamente più avvantaggiati. Come costruire visioni inclusive del futuro?
A offrire qualche importante spunto di riflessione è il sedicesimo numero della rivista Futuri dell’Italian institute for the future (Iff), curato da Vincenza Pellegrino, professoressa associata di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Parma, Alberto Robiati, direttore di ForwardTO - Studi e competenze per scenari futuri, e Rocco Scolozzi, ricercatore e docente all’Università di Trento e membro della startup Skopìa anticipation. L’editoriale “Democratizzare i futuri”, firmato da Scolozzi e dal presidente di Iff Roberto Paura, richiama proprio il valore di un impegno più ampio nella costruzione di visioni future collettive, in modo che nessuno venga lasciato indietro. “L’attivazione di una attitudine proattiva nelle comunità è indispensabile per mantenere aperti i futuri e le possibilità del bene pubblico. Si tratta di democratizzare i futuri, non solo il presente, orientando le azioni, le decisioni e le politiche di oggi all’interno di prospettive di lungo periodo”, scrivono gli autori.
Vincenza Pellegrino e Alberto Robiati si chiedono quali gruppi sociali siano fuori dagli spazi pubblici in cui si pensa il futuro e in che modo sia possibile allargare queste “arene cognitive”. Riconosciuto che il futuro è di fatto ancora un privilegio di pochi, l’auspicio è che vengano attivati processi che coinvolgano “disillusi, precari, esclusi dal reframing, di futuro la cui percentuale in rapporto alla popolazione cresce in armonia con l’aumento inarrestabile delle disuguaglianze (di reddito, sociali, di riconoscimento)”. Il rischio, dunque, è che i futuri generati dagli esperti vengano presentati a persone che hanno poco spazio per sfidare queste idee o contribuire con le loro visioni in modo significativo. “Non crediamo in tal senso che si debba parlare di futuro per mettere pace tra istituzioni e attori sociali”, osservano Pellegrino e Robiati, “ma per dare forma discorsiva a aspirazioni oggi depotenziate, per istruire il conflitto dentro lo spazio pubblico semmai, quindi, e ripoliticizzare lo spazio pubblico”.
Il numero 16 di Futuri è disponibile su abbonamento per i soci dell’Italian institute for the future e acquistabile per tutti in formato digitale o cartaceo su instituteforthefuture.it.
di Andrea De Tommasi