Quale sarà la lingua universale del futuro?
Secondo il giornalista Luca De Biase, l’inglese sta perdendo la sua funzione di lingua franca. Imminent conferma che i sistemi di traduzione automatica saranno lo strumento comunicativo dei prossimi anni, anche a seguito di un potenziamento dei computer.
di Flavio Natale
“Mentre la percentuale di anglofoni online sta diventando sempre minore – il 25% degli utenti totali nel 2020, secondo il centro di ricerca “Statista” – l'idea che l'inglese possa diventare una sorta di lingua universale sta diventando sempre meno probabile”. Luca De Biase, giornalista del Sole 24 Ore, si è interrogato – in un recente contributo pubblicato su Media Ecology – su quale lingua dominerà lo scenario tecnologico (e umano) dei prossimi anni. Internet, grazie ai sempre più potenti sistemi di traduzione, sta infatti diventando un luogo multilingue: “La traduzione automatica sarà dunque il prossimo linguaggio universale?”
La lingua inglese pone infatti alcune importanti limitazioni alla comunicabilità tra esseri umani: il primo, come ricorda De Biase, è che “fornisce un vantaggio sleale a coloro che parlano inglese come lingua madre”. Inoltre, questa lingua è meno diffusa di quanto possa sembrare: “secondo i dati, in Europa e India il numero di persone che parlano bene inglese non supera il 10%”. Infine, l’inglese comunemente usato nelle conversazioni internazionali, “non arricchisce la qualità della conversazione, ma la rende semplicemente possibile”.
Questa problematica riguarda tanto la comunicazione quotidiana quanto il corretto svolgimento dei processi decisionali internazionali: “Nella grande accelerazione della storia che il mondo attuale sembra aver avviato, l'umanità si trova di fronte alle scelte più grandi che abbia mai dovuto compiere”, ricorda Marco Trombetti, computer scientist e cofondatore del servizio di traduzione professionale Translated. “Dal cambiamento climatico alla gestione delle pandemie, queste scelte hanno qualcosa in comune: o gli umani le affrontano e le risolvono insieme, oppure le trasformano nei loro fallimenti più epici. E il presupposto essenziale è che gli esseri umani si comprendano”. Aggiunge sempre Trombetti che “l’inglese non è la soluzione”, proprio perché la quota di persone che parlano questa lingua sta diminuendo, e la velocità con cui gli individui apprendono l'inglese è inferiore alla velocità con cui nuove persone entrano nel mondo connesso (e che proseguono a parlare la propria lingua madre, affidandosi alle traduzioni).
Tanto per l’inglese quanto per la traduzione automatica l’ostacolo principale resta però il fatto che “il significante sia più comunicabile del significato”: tradurre infatti un singolo termine può essere un compito relativamente accessibile, ma calare questo nel contesto culturale di provenienza è tutt’altro discorso. “Ci sono due direzioni nella comunicazione: capire gli altri ed essere capiti”, ricorda Trombetti. “Per capire gli altri, non devi aspettarti molto dai sistemi di traduzione. Ma per essere capiti, è necessario disporre di traduzioni della massima qualità professionale”.
L'inglese, privato della sua universalità comunicativa, rischia così di diventare “una sorta di lingua per l'élite globale” afferma De Biase, “e potrebbe essere messa in discussione sia in contesti autoritari che democratici e multilinguistici”.
Ma a che punto siamo, oggi, con il processo di traduzione automatica?
Al momento, la soluzione human in the loop, ovvero quella che prevede una compartecipazione tra intelligenza artificiale e traduzione umana, è quella più diffusa. Anche perché, come ricorda Trombetti nel primo rapporto annuale di Imminent, il centro di ricerca fondato da Translated, “la capacità di elaborazione dei computer oggi è 10mila volte inferiore a quella del cervello umano: “i computer di oggi” hanno “le dimensioni del cervello di un topo”. Tuttavia, come afferma il padre della singolarità Ray Kurzweil, quest’inferiorità è destinata a essere di breve durata: entro il 2047, infatti, il computer potrebbe diventare più potente del cervello umano.
Trombetti a questo proposito ricorda due dati: il primo è che il cervello antropico – apprendendo una lingua dai 0 a 30 anni – può elaborare almeno due miliardi di parole. Questo vuol dire che, “per alcune lingue potremmo alimentare i computer con 5-7 miliardi di parole di eccellente qualità professionale”. Inoltre, secondo gli algoritmi di apprendimento, “le macchine sono meno efficienti del cervello, ma non di molto”. Si tratta infatti di un 10-20% in meno, anche perché i computer non possiedono il cosiddetto “sistema cognitivo plastico” (la capacità del sistema nervoso di modificare struttura e funzionamento come reazione alle diversità dell’ambiente che lo circondano), caratteristica peculiare degli esseri umani.
Trombetti prevede però che, con una maggiore quantità di dati e potenziamento tecnologico, potrebbe essere creato un computer in grado di tradurre perfettamente le 24 principali lingue del mondo già entro il 2040. “Mettere a disposizione del pubblico un sistema che permetta di capirsi, che funzioni all'istante e a un prezzo praticamente nullo, è un traguardo a cui vale la pena dedicare una vita di lavoro”.
di Flavio Natale