In tempo di pandemia, la natura si ammala
Le politiche di conservazione e i parchi protetti sono in pericolo. Il Conservation international registra 64 casi di arretramento ambientale, in particolare dovuti all’apertura di aree protette per la trivellazione di petrolio e gas. 15/03/21
di Luca De Biase
I mammiferi e gli uccelli liberi sono ormai una minoranza. Gli umani e il bestiame che essi allevano per mangiare costituiscono il 96% della massa di tutti i mammiferi del pianeta, mentre il 70% di tutti gli uccelli oggi viventi è costituito da pollame destinato alle tavole, come scrive David Attenborough, naturalista britannico, nella premessa al rapporto “The economics of biodiversity” di Partha Dasgupta, del St. John’s college, Cambridge. La natura e la biodiversità resistono in parte grazie alle politiche di conservazione e ai parchi protetti. Ma durante la pandemia anche questi luoghi fondamentali stanno arretrando. Un’analisi condotta da Rachel Kroner di Conservation international registra 64 casi di arretramento ambientale, in particolare con l’apertura di aree protette alla trivellazione per petrolio e gas in 22 Paesi diversi, tra gennaio e ottobre 2020. Brasile, India e Stati Uniti si sono dimostrati i Paesi peggiori da questo punto di vista. Solo in India ci sono state 31 proposte di aprire i parchi nazionali per attività minerarie, come l’estrazione di carbone nella Dehing Patkai elephant reserve.
Intanto, per via del cambiamento climatico, ecosistemi di ogni genere sono in grande pericolo, anche perché le quattro stagioni che avevano una durata più o meno simile nell’emisfero settentrionale si stanno effettivamente modificando: l’estate si allunga, l’inverno si accorcia, la primavera resiste e l’autunno diminuisce. Le osservazioni sono realizzate anche da Yuping Guan, un oceanografo dello State key laboratory of tropical oceanography, al South China sea institute of oceanology, della Chinese academy of sciences.
di Luca De Biase, giornalista