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Il risvolto terapeutico delle reborn dolls

In ambito psichiatrico i finti neonati si stanno rivelando efficaci nel trattamento di malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer e per alleviare la perdita di un figlio. 

di Andrea De Tommasi

Si sta facendo strada in ambito psichiatrico l’utilizzo di bambole a fini terapeutici. Si chiamano reborn dolls: bambole realistiche che riproducono alla perfezione l’aspetto di un bambino in carne e ossa. Ci sono studi che dimostrano come l’utilizzo di bambole reborn sia utile nel migliorare il benessere delle persone affette da ritardi cognitivi, da malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer oppure, ancora, che hanno perso prematuramente un figlio, permettendogli di migliorare l'umore. In alcuni casi, infatti, si parla di Doll therapy, ovvero una terapia psicologica volta a stimolare le emozioni. Il giornale State of Mind ha spiegato in un articolo le ragioni scientifiche alla base di questi protocolli. I dati raccolti sui pazienti trattati con Doll therapy fanno emergere una diminuzione statisticamente significativa dei livelli di ansia, aggressività, depressione, insonnia e, al contempo, un miglioramento dei livelli di vivacità e attività. 

 

Nato a metà tra collezionismo e moda negli Stati Uniti nei primi anni '90, il fenomeno del reborning (dall’inglese reborn, ovvero “rinato”) si è sviluppato anche in Italia dagli anni Duemila. Oggi è diffuso soprattutto nei Paesi anglosassoni come Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada, Sudafrica e vi è una grande diffusione anche in Brasile. Affinché una bambola possa essere definita in questo modo deve subire un determinato processo di fabbricazione. Si tratta di bambolotti dapprima “normali”, trasformati in seguito in bambole iperrealistiche nei singoli dettagli: occhi, capelli, ciglia, venature, rossori. Negli ultimi anni le bambole reborn sono facilmente reperibili sul web a prezzi che variano da qualche centinaio fino ad arrivare a decine di migliaia di euro. Nella versione tradizionale le reborn non emettono suoni e non si muovono, ma esistono esemplari sofisticati dotati di sistemi elettronici per simulare il battito cardiaco o il respiro del bebè.

 

Il fatto che molti proprietari sembrano sviluppare una morbosità estrema nei confronti delle bambole ha attirato molte critiche. Spopolano sui social network veri e propri gruppi di “mamme reborn” che si confrontano su prezzi, acquisti di pannolini e vestiti, medici e strategie. Aspiranti madri trattano le bambole come bebè veri, cercando di assumere tate, portandole dal medico o chiedendo consigli su come crescerle al meglio. L’idea di una donna che si convince che una bambola sostitutiva sia un vero figlio è stata affrontata in una serie televisiva di successo distribuita da Apple. In Servant, psico-thriller diretto da M. Night Shyamalan, una coppia di Philadelphia assume una giovane tata per accudire una bambola reborn, l’unico strumento che è servito a riportare la madre dallo stato catatonico in cui è caduta dopo la morte del figlio. Negli ultimi anni, le comunità reborning hanno iniziato a proliferare sul web, composte per la maggior parte da donne tra i 30 e i 50 anni. Si incontrano nei forum web e su Facebook, attraverso i canali YouTube, nei marketplace come Etsy ed eBay.

 

C’è un dibattito etico, oltre che scientifico, intorno al reborning. Molti pazienti trattano questi oggetti come veri e propri bambini e finiscono per chiamarli con i nomi dei figli. Ci si chiede se sia giusto avallare questa loro illusione oppure se, di fronte a una perdita di contatto con la realtà, sia il caso di correggere tali comportamenti.

 

 

di Andrea De Tommasi

martedì 15 settembre 2020