Da scienziati e scrittori di fantascienza suggerimenti per un futuro sostenibile
Un’antologia di racconti ispirati dai ricercatori dell’Istituto italiano di tecnologia offre numerosi spunti di riflessione.
di Marco Passarello
È interessante vedere come il confine fra scienza e fantascienza, o se preferite fra presente e futuro, sia spesso molto sottile. Molto di quello che facciamo oggi è certamente necessario al nostro domani, e la capacità di sognare e pensare lontano è il motore della curiosità e dello sviluppo.
Sono parole scritte da Roberto Cingolani nell’introduzione all’antologia da me curata, Fanta-Scienza, che mi ha fatto molto piacere leggere, perché credo colgano alla perfezione lo spirito che ha animato il progetto.
Per un’antologia di racconti tutti appartenenti al genere fantascientifico, il titolo Fanta-Scienza potrebbe apparire lapalissiano. C’è però un trattino a fare la differenza, a sottolineare che l’elemento scientifico ha qui un peso particolare. Per realizzare questo libro, infatti, mi sono rivolto all’Istituto italiano di tecnologia, che mi ha gentilmente messo in contatto con otto dei suoi ricercatori di punta. Ciascuno di loro ha accettato di farsi intervistare e di avventurarsi in qualche previsione sui possibili sviluppi tecnologici (e di conseguenza anche economici e sociali) che il suo campo di ricerca potrebbe generare nei prossimi anni. Ognuna di queste interviste e poi stata affidata a uno scrittore, perché ne traesse ispirazione per ricavarne un racconto. Si tratta di una modalità di scrittura che, se all’estero è già stata realizzata in più occasioni (come fa notare Luca De Biase nella sua recensione), in Italia, per quanto mi risulta, è praticamente al debutto.
Nel quadro molto variegato dei possibili sviluppi della scienza futura delineato dagli otto ricercatori, il tema della sostenibilità ha un peso importante. Tra loro, quella le cui ricerche sono più direttamente implicate nel problema della sostenibilità è Athanassia Athanassiou, responsabile del gruppo di ricerca Smart materials dell’IIT, che si è impegnata a verificare la possibilità di creare una plastica ecologicamente sostenibile:
Sappiamo tutti ormai che la plastica è il materiale più inquinante in assoluto. Non lo potevamo sapere quando abbiamo incominciato a usarla, però adesso sappiamo che negli oceani ci sono chilometri quadrati di plastica galleggiante. Per cui quello che stiamo cercando di creare ora sono nuovi materiali che abbiano tutte le proprietà della plastica sintetica, derivata dal petrolio, ma che invece derivino da risorse rinnovabili, per esempio da scarti vegetali. In tutte le piante ci sono dei polimeri (cellulosa, lignina…) che possiamo sfruttare. Per cui cerchiamo di utilizzare materiali come gli scarti vegetali, o la seta, o l’alginato derivato dalle alghe, o altri tipi di proteine, per creare una nuova plastica che sia sostenibile, biodegradabile e che possa essere usata in tutte queste nuove applicazioni per cui finora abbiamo usato la plastica derivata dal petrolio. Entro cinque anni da adesso vorremo avere ottenuto nuove versioni biodegradabili di tutti i nostri materiali compositi.
Anche Guglielmo Lanzani, coordinatore del Center for nano science and technology dell’IIT, nelle sue ricerche si propone di sostituire i materiali inquinanti dell’elettronica odierna con altri che possano essere immessi nell’ambiente senza alterare i cicli naturali:
Cerchiamo di realizzare dispositivi elettronici totalmente commestibili, cioè mangiabili e digeribili, utilizzando sostanze finora limitate alla cucina: albumina, zuccheri, carotenoidi, pigmenti naturali, gommalacca, oppure metalli nobili in piccole quantità, e altre proteine commestibili come la fibroina ricavata dalla seta. […] Portando la cosa agli estremi, si potrebbe immaginare un’elettronica commestibile generalizzata, riducendo a zero i rifiuti "elettronici"; alla possibilità cioè di mangiarsi un dispositivo quando si è finito di usarlo.
Oltre a sostituire i materiali usati dalla tecnologia per diminuirne l’impatto, la visione degli scienziati prevede anche di migliorare la nostra capacità di osservare l’ambiente per individuarne con tempestività i possibili danneggiamenti. Lo spiega Barbara Mazzolai, coordinatrice del Center for microbiorobotics dell’IIT parlando del suo “plantoide”, robot-pianta in grado di crescere allungando le proprie radici sottoterra:
Un aspetto a mio avviso molto importante è quello del monitoraggio ambientale. La robotica è ancora molto poco utilizzata in questo campo, ma io ritengo ce ne sia un’estrema necessità. I robot consentirebbero un monitoraggio più puntuale ma soprattutto prolungato nel tempo, procurandoci informazioni sulla qualità dell’ambiente, e di conseguenza sul cibo e sull’acqua. Le piante usano strategie molto sofisticate per penetrare nel suolo, creando microfratture e poi allargandole, e stiamo cercando di imitarle per permettere ai nostri robot di esplorare meglio il sottosuolo.
Dal canto loro, gli scrittori non si sono limitati a recepire le proposte degli scienziati, ma nelle ambientazioni dei loro racconti hanno autonomamente sottolineato il pericolo del degrado ambientale, e anche suggerito la possibilità una tecnologia più sostenibile di quella odierna. Io stesso, nel racconto Comunione, ho immaginato (sfruttando un’idea proposta per la prima volta dallo scrittore Kim Stanley Robinson) un futuro in cui vaste aree del pianeta vengono volontariamente liberate dal peso dell’antropizzazione, pratica che ovviamente suscita resistenze in chi non vuole vedere limiti all’espansione umana.
Va ancora oltre Franci Conforti, biologa di formazione, che ambienta il suo racconto Il giorno della doppia elica in una Terra futura in cui una nuova scienza, la “biomica”, permette di creare edifici vegetali viventi, che invece di sottrarre spazio all’ecosistema ne diventano parte:
La biomica aveva reso possibile la colonizzazione spaziale e salvato il pianeta Terra. Da quando si utilizzavano tecniche produttive a matrice info-nucleotidica, il genere umano era entrato in una nuova era. E lei, pensò soddisfatta, faceva parte della schiera dei biomici avanzati del quarto millennio. Allungò il collo per ammirare gli alberi chimerici, talvolta più larghi che alti, solidi e accoglienti, più efficienti e più belli di qualsiasi palazzo del passato. I primi esemplari erano stati piantati nei centri urbani quasi duemila anni prima e, nei secoli, avevano rimpiazzato le case in mattoni, vetro e cemento. Nessuna manutenzione e impatto ecologico positivo: in una sola mossa gli umani aveva rimediato ai danni causati dal riscaldamento globale e mandato in attivo la bilancia dei pagamenti. Inoltre, crescendo, gli alberi aumentavano di valore. Così le città si erano trasformate in boschi e nei tronchi ora si aprivano appartamenti, uffici e negozi. L’incrocio dei rami, educati a crescere nelle forme e con le inclinazioni volute, davano vita a strade, viali e giardini pensili connessi tra loro da vertiginosi ponti sospesi. Tutte le città ormai erano edificate con essenze vegetali biomizzate e l’intero pianeta prosperava senza sentire il peso dell’esplosione demografica che aveva portato i terrestri a superare i venti miliardi.
Ma non mancano anche gli avvertimenti, come quello lanciato da Andrea Viscusi nel suo racconto NIMBY, dove gli esseri umani hanno nel corpo “nanobot” che li mantengono in salute, ma ne hanno bisogno soprattutto perché l’ambiente esterno è diventato pericolosamente insalubre a causa dell’inquinamento, e sono costretti a nutrirsi di cibi poco appetitosi come la torta di camole o la sansa di limone, perché le risorse non bastano per tutti. Concludo riportando un’altra frase di Athanassia Athanassiou, che pur nell’immaginare un futuro sostenibile lascia trasparire l’angoscia per il modo in cui stiamo consumando le risorse del pianeta:
Non so cosa succederà ai nostri nipoti. Di questo passo entro il 2050 la massa di plastica negli oceani sarà superiore a quella degli esseri viventi. Occorre fare qualcosa. Ne parlavo anche con i ragazzi dell’IIT che stanno lavorando sulla robotica. I robot oggi sono tutti metallici. Passando a materiali più soft come la plastica, una volta che il robot smette di funzionare si potrebbe semplicemente seppellirlo e aspettare che si biodegradi. La mia idea è che sia necessario passare a una tecnologia che abbia un proprio ciclo vitale, come gli esseri viventi.
L’antologia Fanta-Scienza è pubblicata da Delos Digital, ed è acquistabile sia come e-book, sia in formato cartaceo.
di Marco Passarello, giornalista Rai