Lavoro dignitoso e crescita economica binomio vincente, ma va superato il trade-off
Produttività, adeguata remunerazione, sicurezza sul luogo di lavoro e protezione sociale: queste le basi per garantire un futuro dell'occupazione sostenibile.
di Renato Chahinian
Tra i 17 obiettivi Onu fissati nell’Agenda 2030, tutti molto importanti ed essenziali per conseguire uno sviluppo sostenibile globale, quello n. 8 si presenta come il più efficace ed il più ricco di effetti positivi e di impatti rilevanti in un virtuoso percorso di transizione verso la sostenibilità più completa, rappresentando così una “scorciatoia” per compiere di più e più presto il lungo cammino di adeguamento allo scopo finale. Proprio per queste sue attitudini, tale obiettivo dovrebbe essere perseguito prioritariamente da tutti i tipi di organizzazioni (imprese, non profit ed enti pubblici).
Lavoro dignitoso e crescita economica: due sub-obiettivi intimamente connessi
L’obiettivo 8 ha la particolarità di comprendere due sub-obiettivi intimamente connessi e necessariamente sempre presenti assieme, come si vedrà meglio in seguito. Per lo sviluppo sostenibile, infatti, è importante che ogni attività, politica o azione da intraprendere sia svolta attraverso l’impiego di lavori dignitosi e conduca comunque ad una crescita economica di lungo termine. Pertanto, l’obiettivo finale prevede l’incremento, o, possibilmente, la massimizzazione, del lavoro dignitoso e della crescita economica (ovviamente, quella finalizzata al massimo benessere comune, e non quella rivolta al massimo profitto).
Iniziando dal lavoro dignitoso, possiamo affermare che ciò costituisce un requisito essenziale dello sviluppo sociale, in quanto tutti i lavori senza questa caratteristica non possono definirsi “sociali”, ma soprattutto tale sub-obiettivo presenta un’efficacia smisurata per il fatto che chi ne beneficia non può essere povero e non ha più bisogno di aiuti esterni. Nel momento in cui una persona trova un lavoro dignitoso (che comprende pure una remunerazione dignitosa) esce dalla sua precedente condizione di povertà o di dipendenza dal mantenimento da parte di altri (parenti o amici, sussidi pubblici) e diventa autosufficiente per tutto il resto della sua vita (compresa l’età avanzata, perché il medesimo lavoro gli consentirà di versare adeguati contributi pensionistici). In una simile situazione, egli consentirà una vita dignitosa pure ai suoi figli e contribuirà alla crescita economica del Paese.
Questo impatto non indifferente si riflette positivamente, con intensità variabile, su tutti gli altri obiettivi sociali dell’Agenda ONU, in quanto soprattutto:
- diminuisce corrispondentemente il numero dei poveri esistenti (obiettivo 1);
- diventano minori le esigenze di sfamare i bisognosi (obiettivo 2);
- cresce la salute ed il benessere dei cittadini, che possono accedere a cure e servizi di migliore qualità, richiedenti maggiori disponibilità economiche (obiettivo 3);
- diminuisce la povertà educativa e si incrementa la formazione per il lavoro e per la vita (obiettivo 4);
- le donne che accedono al lavoro dignitoso riducono le maggiori disparità di genere (obiettivo 5);
- si contraggono le disuguaglianze di ogni tipo, non soltanto quelle economiche (obiettivo 10);
- si rendono le comunità e le città più sostenibili, per la diminuzione del degrado socio-ambientale delle periferie (obiettivo 11).
Parallelamente, si espande pure la crescita economica, che costituisce l’altro sub-obiettivo del goal 8. La sua indispensabilità deriva dal fatto che per raggiungere tutti i diversi obiettivi occorrono capitali ingentissimi, in quanto ogni iniziativa sostenibile abbisogna di finanziamenti iniziali, mentre i risultati anche economici conseguenti si verificano alla distanza di tempi pure molto lontani. Soltanto con la crescita dei redditi complessivi di un Paese (cioè del PIL, prodotto interno lordo), è possibile disporre dei capitali attuali o futuri necessari a finanziare ogni azione significativa, sia per il miglioramento sociale che per quello ambientale. Infatti, se non c’è crescita, i capitali disponibili servono soltanto per coprire le perdite.
Ma, come ormai può risultare intuitivo per lo sviluppo, la crescita deve passare attraverso un lavoro dignitoso, altrimenti questo non si può realizzare, creando le condizioni per un aggravamento degli obiettivi sociali (come, ad esempio, le tensioni scatenate recentemente in Francia) e per una carenza di fondi necessari ai fini ecologici (come avviene per i sempre più frequenti disastri climatici).
Le principali caratteristiche del lavoro dignitoso
A questo punto, giova esaminare sinteticamente le principali caratteristiche di un lavoro dignitoso. Secondo una definizione dell’Università Cattolica di Milano, gli elementi rilevanti di tale tipo di lavoro sono:
- un lavoro produttivo e che assicuri un giusto reddito;
- la sicurezza sul luogo di lavoro e la protezione sociale delle famiglie;
- la prospettiva di crescita personale e di integrazione sociale.
Soffermando l’attenzione sul primo requisito, deve esistere una congrua produttività del lavoro prestato e una giusta remunerazione, ossia un compenso adeguato alla produttività medesima, alle competenze richieste nelle relative mansioni e comunque l’ammontare non può essere inferiore al costo di un paniere di beni e servizi indispensabili per vivere senza eccessive privazioni, ossia alla soglia di povertà assoluta, che per l’Italia, secondo l’Istat, è stata rilevata in 840 euro mensili (massimo per il Nord nell’anno 2021, ultimo dato disponibile). In altri termini, un lavoro dignitoso non può prevedere un compenso netto inferiore a tale cifra, perché causerebbe nel prestatore una situazione di povertà non conforme ad una prestazione minima offerta.
Ma, sempre secondo l’Istituto centrale di statistica, in Italia si sono trovati in povertà assoluta ben 1,9 milioni di famiglie pari a circa 5,6 milioni di persone. Tenendo conto che i disoccupati nello stesso anno sono stati mediamente di circa 2,3 milioni, mentre gli inattivi (che non studiano e non lavorano) prevalentemente non sono in situazione di povertà, e pure considerando una quota di poveri in età non lavorativa, certamente esiste una certa parte di lavoratori che non ha un lavoro dignitoso perché percepisce un salario inferiore alla soglia di povertà assoluta. Quindi, gli occupati italiani attualmente, tenendo conto: dell’inflazione annua del 2022 (dell’8,7%), dell’IRPEF minima (23%), dei contributi previdenziali a carico dei lavoratori dipendenti (di circa il 9%) e delle ore lavorative standard mensili (165), dovrebbero percepire un reddito dignitoso minimo lievemente superiore a 7 euro lordi all’ora.
Recentemente, è nota la proposta di legge di introdurre una soglia salariale minima di 9 euro lordi orari (si veda l’editoriale ASviS di Andrea De Tommasi “Ripensare le periferie partendo dalla vita delle persone”), che così metterebbe al riparo tutti i lavoratori da un salario inadeguato a coprire le spese di sopravvivenza e quindi di uscita dalla povertà assoluta. Assodato, da parte di alcune simulazioni di esperti, che tutti i contratti collettivi di lavoro attualmente in vigore (si veda l’articolo di Claudio Tucci “Lavoro, così i contratti battono il salario minimo a 9 euro”, pubblicato ne Il Sole 24 Ore dell’8 luglio scorso) prevedono minimi contrattuali superiori o molto vicini a tale importo (ovviamente tenendo conto di vari benefici remunerativi), si può dedurre che il lavoro non dignitoso si annida soltanto nei lavori non contrattualizzati, nel cosiddetto “lavoro nero” (cioè nell’economia sommersa, che evade ogni regola) e nelle posizioni forzatamente part-time (cioè di chi avrebbe bisogno di lavorare a tempo pieno, ma non trova un’adeguata sistemazione).
Indipendentemente dal salario minimo, per il requisito della dignità è pure importante che venga riconosciuto ad ogni lavoratore un salario adeguato alle prestazioni fornite e quindi, a parità di responsabilità e di mansioni, i compensi dovrebbero essere praticamente uguali e comunque non dovrebbero pure sussistere abnormi divergenze tra tutti i diversi tipi di lavoro. In altri termini, anche se il lavoratore con le mansioni più semplici viene tutelato, non bisogna esagerare nelle elargizioni al lavoratore con le mansioni più complesse, certamente di maggior valore e responsabilità, ma da valutare entro limiti ragionevoli. Non uniformarsi a tale principio non soltanto costituisce un atto di ingiustizia sociale (alimentando le disuguaglianze), ma crea indubbi effetti negativi pure sotto l’aspetto economico, poiché gli eccessivi emolumenti (soprattutto ad amministratori e dirigenti di elevato livello), particolarmente se commisurati a performance sui mercati finanziari (anziché ad un’obiettiva crescita della produttività aziendale), creano una compressione degli utili d’impresa per il loro reinvestimento ai fini della sostenibilità futura e/o una mancata moderazione nei prezzi a svantaggio dei consumatori, unitamente a maggiori pressioni inflazioniste nel sistema. Recentemente, un rapporto di Oxfam France ha messo in evidenza l’ampliamento dei divari retributivi tra manager e lavoratori a livello mondiale (si veda in Futura Network l’articolo “Oxfam France: i divari retributivi tra manager e lavoratori sono sempre più ampi” di Maddalena Binda), ma lo stesso fenomeno, anche se con intensità più contenuta, è cruciale pure per l’Italia, sebbene esista un Codice di corporate governance, che comunque è soggetto ad adesione volontaria.
Tutto ciò premesso, possiamo così affermare che l’estensione del lavoro dignitoso è molto raccomandabile, ma pure possibile, anche perché, se esistono lavori sottopagati, sono presenti altri superpagati ed occorre una correzione in entrambi i fronti.
Ma esiste un ulteriore problema da superare.
Il trade-off tra lavoro dignitoso e crescita economica
Sino ad ora, abbiamo ipotizzato che un lavoratore pagato dignitosamente consegua pure una produttività adeguata, tale da produrre un valore aggiunto sufficiente (ed in maniera duratura) a far crescere economicamente l’impresa, unitamente ai suoi stakeholder ed alla comunità di riferimento nel suo complesso. È questa la sfida più impegnativa, che non sempre riesce (se non nelle imprese più virtuose ed eccellenti), inibendo allora sia la crescita che l’espansione dello stesso lavoro dignitoso. Infatti, secondo le strategie economiche usate abitualmente, spesso succede nella pratica che, per garantire la dignità del lavoro, diminuiscono i profitti e poi la crescita, mentre quest’ultima è spesso ottenuta tramite il lavoro non dignitoso.
Tralasciando dettagli economici più complessi, possiamo però rimediare a tale trade-off evidenziando che la produttività aziendale del lavoro dipende da:
- una prestazione competente, collaborativa ed impegnata di ogni singolo lavoratore nell’ambito delle mansioni affidategli;
- la predisposizione, da parte dei vertici aziendali (amministratori e dirigenti), di un assetto organizzativo e gestionale tale da ottenere la massima produttività dalle prestazioni di tutti gli addetti.
Per quanto riguarda il primo requisito, l’impegno lavorativo di ogni dipendente non sempre è scontato, anche per le attese soggettive di miglioramenti e di benefici e per la presenza di altri interessi extra-lavorativi. Proprio l’offerta di lavori concretamente più dignitosi e soddisfacenti potrebbe creare un clima di fiducia aziendale e di maggiore spirito collaborativo.
Il secondo aspetto, invece, dipende essenzialmente dalla qualità del lavoro manageriale, in grado di orientare meglio il business aziendale con efficaci innovazioni (tecnologiche, organizzative e commerciali) per la produttività. Il più valido e promettente settore innovativo attuale è dato proprio dalla sostenibilità sociale ed ambientale, cioè dalla scelta di strategie (e poi di investimenti) che consentano un miglioramento nello sviluppo sostenibile, il quale, nel lungo termine, permetterà anche risultati economici maggiori in ogni attività produttiva.
In tutto questo processo migliorativo non può mancare l’azione pubblica, sia come regolatrice che come sostegno alle iniziative private per lo sviluppo delle competenze e delle soluzioni innovatrici, mentre i fondi necessari sono pure ammissibili, in quanto con il tempo ritornano allo stesso settore pubblico sotto forma di maggiori imposte (per la crescita ottenuta) e di maggiori disponibilità di bilancio (per le minori spese di assistenza e di sussidi a fondo perduto).
L’estensione del lavoro dignitoso agli attuali lavoratori e l’occupazione dignitosa dei disoccupati (e pure di buona parte degli inattivi) si presenterebbe così come la manovra socio-economica più efficace in assoluto, perché permetterebbe la massima crescita del Pil, dello sviluppo sociale e dello sviluppo ambientale.