Senza una visione di lungo termine sui Neet continueremo a fallire
In Italia un giovane su quattro non studia e non lavora. Uno dei problemi più gravi è il disallineamento tra domanda e offerta. Il nodo delle competenze e la necessità di formarsi sulle professioni green.
di Andrea De Tommasi
Nei primi anni Ottanta, ricercatori e funzionari governativi del Regno Unito iniziarono ad adottare nuovi metodi per affrontare il problema della partecipazione al mercato del lavoro da parte dei giovani. Nacque il concetto di Neet (Neither in employment or in education or training): giovani senza lavoro, istruzione o formazione. Da allora il termine è stato ampiamente utilizzato nel dibattito politico europeo: la riduzione del numero di Neet è uno degli obiettivi della Garanzia europea per i giovani e, più recentemente, è stato rilanciato da Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione. “Dobbiamo incoraggiare coloro che non ce la fanno, coloro che non hanno lavoro, coloro che non seguono corsi di studio o di formazione”, ha detto la presidente della Commissione Ue. Mentre illustrava le principali iniziative per il prossimo anno, von der Leyen ha messo sul tavolo la proposta dell’Unione rivolta alle nuove generazioni. Un nuovo programma di crescita professionale che si chiamerà Alma e consentirà ai Neet di fare un’esperienza in uno Stato membro.
Ridurre i tassi di Neet è una grande sfida per i governi, poiché i giovani che rimangono senza lavoro per lunghi periodi provengono in genere da contesti più svantaggiati, hanno bassi livelli di istruzione e in molti casi sono inattivi. Tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 ci sono la piena occupazione e condizioni dignitose per tutti, compresa una drastica riduzione dei giovani che non studiano e non lavorano. Non solo, questo obiettivo rappresentava uno dei 21 Target da raggiungere entro il 2020, tuttavia è stato sostanzialmente mancato e posticipato al 2030.
In Italia il fenomeno dei Neet ha assunto dimensioni preoccupanti (2 milioni e 100mila a fine 2020 tra i 15 e i 29 anni secondo l’aggiornamento Istat del 9 luglio 2021), sia a livello macro-economico che territoriale per i consistenti divari tra regioni. Nel Sud è Neet quasi un giovane su tre mentre a Crotone non studia, non lavora e non è in formazione quasi uno su due tra i 15 e i 29 anni. Per comprendere quanto il fenomeno dei Neet sia impattante nel nostro Paese è utile partire da un paragone con gli altri Stati membri dell’Unione europea. Per questo confronto possiamo fare affidamento sulle analisi di Eurostat. L’ultimo dato su base annuale disponibile riguarda il 2020. L’Italia era il primo Paese europeo per numero di Neet sul totale della popolazione compresa tra 20 e 34 anni, superiore di circa 12 punti percentuali rispetto alla media europea. Il Paese Ue con la più bassa percentuale di Neet era invece l’Olanda.
Un patto per il lavoro
Secondo Pierluigi Stefanini, presidente dell’ASviS, “bisogna dimezzare al 9% la percentuale di Neet, i giovani che non lavorano e non studiano, che in Italia sono oltre due milioni. Il Paese ha bisogno di agganciare il piano a obiettivi. È necessario entrare in una fase più stringente, cioè definire impegni, target e azioni da qui ai prossimi cinque anni, la scadenza del piano (Pnrr, ndr), e da qui ai prossimi nove, cioè al 2030”. In un’intervista al Corriere della Sera, Stefanini ha proposto un patto per il lavoro ai giovani, coinvolgendo parti sociali, imprese, sindacati “perché si individuino prospettive e opportunità di lavoro nuovo per i giovani”.
Ma perché la situazione in Italia è peggiore della media europea?
Gli studi pubblicati negli ultimi anni forniscono una serie di spiegazioni plausibili. In primo luogo, quando molti giovani lasciano gli studi, si trovano privi delle competenze e dell'esperienza giuste che le aziende richiedono. Inoltre, le opportunità offerte dal sistema di istruzione non sempre si incastrano perfettamente con le richieste del mercato del lavoro. Un altro elemento è l'inefficacia del sostegno offerto ai giovani nella loro ricerca di lavoro, in particolare nella corrispondenza tra domanda e offerta. C’è anche un modello “culturale” italiano che rende accettabile che i giovani dipendano a lungo dai genitori. D’altra parte, rileva un’indagine condotta su un campione di 960 giovani della fascia 18-35 anni, realizzata dal Consiglio nazionale dei giovani con il supporto di Eures, con retribuzioni mediamente basse, in prevalenza sotto i 10mila euro, oltre la metà dei giovani deve rinunciare all’autonomia. E il futuro fa paura: quasi tre quarti sono convinti che l’importo dell’assegno pensionistico non consentirà di vivere in modo dignitoso. Infine, le rilevazioni ci dicono che le madri senza lavoro costituiscono una percentuale significativa di Neet.
Competenze del futuro
Di certo l’Italia ha un’opportunità che si chiama Piano di ripresa e resilienza. Con i fondi in arrivo dall’Europa, gli interventi sulle politiche attive del lavoro e sulla formazione possono contribuire all’obiettivo di ridurre il numero dei Neet, intervenendo anche sul divario di genere. In questo contesto, la transizione ecologica potrebbe essere la risposta migliore all’esclusione dei giovani dal mercato del lavoro. Agricoltura, architettura, scienza e insegnamento sono alcuni dei settori che avranno bisogno di nuove competenze green, secondo il Programma delle Nazioni unite per l'ambiente (Unep). Nel Geo-6 for Youth, una guida digitale sulle scelte di carriera “sostenibili”, l’agenzia Onu prevede che l’economia verde del futuro dipenderà fortemente da lavoratori con un background scientifico. I ruoli chiave includeranno scienziati ambientali, biologi, idrologi e biochimici. I giovani di oggi saranno gli ingegneri green di domani, aiutando a progettare e mantenere pannelli solari, turbine eoliche, veicoli a basse emissioni e altre tecnologie di economia verde.
Milioni di nuovi posti di lavoro e carriere saranno creati nell'economia green, prevede l’Unep, aggiungendo che molti di quei lavori futuri però non esistono ancora. È opportuno ricordare, inoltre, che “la creazione di nuovi posti di lavoro è solo una parte dell'equazione. Lo sviluppo di una forza lavoro adeguatamente qualificata è fondamentale”, dice l’Unep. Secondo il Davos labs youth recovery plan 2021 del World economic forum, quasi la metà dei giovani ritiene di non avere le giuste competenze. Il rapporto presenta 40 raccomandazioni politiche da parte di giovani di età compresa tra i 20 e i 30 anni. Questi includono l'offerta di crediti d'imposta alle aziende che investono in formazione e la creazione di un aggregatore di competenze online che associ le future skill richieste dal mondo del lavoro con iniziative di formazione. Secondo gli esperti, la domanda di competenze green sarà particolarmente acuta nel settore energetico. Le stime suggeriscono che potrebbero servire 400 mila nuove risorse entro il 2050, “più della metà delle quali in ruoli che attualmente non esistono”, ha affermato Steve Holliday, presidente dell’Energy Institute.
Anche l’adozione della tecnologia sarà un fattore chiave nello sviluppo delle competenze richieste per i settori emergenti. Nel suo Future of jobs report 2020 , il World economic forum rileva che l'adozione di cloud computing, big data, intelligenza artificiale e altre tecnologie è una priorità elevata per i leader aziendali. “In media, le aziende stimano che circa il 40% dei lavoratori richiederà una riqualificazione di sei mesi o meno”, afferma il rapporto, aggiungendo che “il 94% dei leader aziendali afferma di aspettarsi che i dipendenti acquisiscano nuove competenze sul posto di lavoro, un forte aumento dal 65% nel 2018”.
Per i Millennials, la crisi finanziaria del 2008 e la Grande recessione hanno provocato una disoccupazione significativa. Ora, per la Generazione Z, il Covid-19 ha causato la chiusura delle scuole e il peggioramento dei tassi di disoccupazione. Se non iniziamo a pensare e agire a lungo termine per la giustizia intergenerazionale, i giovani pagheranno alle nostre società un debito troppo alto.
di Andrea De Tommasi