Uberizzazione del lavoro in America?
La legge della California classifica i lavoratori di Uber e Lyft come liberi professionisti, sgravando le aziende dalle responsabilità salariali. Intanto una sentenza della Corte suprema del Regno Unito va in direzione opposta.
di Luca De Biase
Dopo che in California si è deciso che i conducenti delle auto di Uber e Lyft sono “liberi professionisti” e non “lavoratori dipendenti”, a quanto pare, una quantità di aziende sta cercando di modificare i contratti, eliminare posizioni di lavoro salariato, aumentare il ricorso a lavoratori “uberizzati”. L’anno scorso, aziende come Uber, Lyft, DoorDash, e Instacart hanno speso 200 milioni di dollari per convincere gli elettori a votare contro il referendum californiano che doveva aumentare i diritti dei loro lavoratori. Il loro intervento ha avuto successo. A questo punto, quel genere di rapporto di lavoro che assomiglia a un cottimo regolato via app è entrato nel libro dei sogni di molte aziende: che tentano di trasformarsi per ridurre i costi e i diritti dei lavoratori.
Ha già avviato questa trasformazione la catena di supermercati Albertsons. Esiste peraltro una Coalition for Workforce Innovation, una lobby che persegue l’obiettivo di legalizzare l’uso dei contratti “professionali” e che include rappresentanti degli interessi di aziende come Amazon, Apple, AT&T, Comcast, General Motors, Nike, Starbucks, T-Mobile, Verizon e Walmart. Sarebbe ironico se potessero davvero eliminare i diritti dei lavoratori nel momento in cui si insedia un presidente democratico come Joe Biden. In effetti, i giochi sono tutt'altro che fatti. Nel frattempo, in effetti, a Londra, una sentenza va in senso opposto a quanto succede in America: la Corte suprema ha deciso che i guidatori di Uber sono lavoratori che hanno diritto al salario minimo e alle ferie pagate.
di Luca De Biase, giornalista