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La fatica da Zoom

Dopo la crisi l’esperienza delle video conferenze non sarà facilmente dimenticata se ha aperto a possibilità che prima non si vedevano. E allora non resta che trovare un equilibrio.

di Luca De Biase

È un’esperienza tanto comune da aver meritato una quantità di studi e inchieste: perché le riunioni, le conversazioni, i convegni, le lezioni sulle piattaforme digitali per le video conferenze sono tanto faticose?

Andrew Franklin, cyberpsicologo alla Norfolk State University, intervistato da National geographic, sottolinea come le persone siano abituate a comunicare con un insieme di messaggi verbali e non verbali. Nelle videoconferenze, questi ultimi mancano: perché non si vedono i gesti delle mani, non si sentono i piccoli feedback che il corpo altrui lancia a chi parla, non si decifrano chiaramente gli sguardi, perché sono di solito dispersi nell’alternativa tra guardare il video che mostra la persona che parla o perderla di vista nel tentativo di guardarla negli occhi puntando i propri alla telecamera. Sicché tutta l’energia che di solito si distribuisce sulle molte forme della comunicazione si deve concentrare sulle parole: il che affatica la capacità di attenzione. Gianpiero Petriglieri, docente all’Insead, ha prospettato ipotesi analoghe in un’intervista alla Bbc, che osserva come la dissonanza tra le menti che sanno di essere collegate e i corpi che non si sentono vicini come d’abitudine può causare un forte affaticamento. Inoltre, i silenzi, che in una conversazione fisica sono facilmente accettati, in una video conferenza segnalano disattenzione e addirittura disaccordo, anche quando durano un secondo e due decimi. Infine, Marissa Shuffler, docente a Clemson Univesity, dice sempre alla Bbc, che in una videconferenza ci si sente come su un palcoscenico e si avverte la pressione sociale di performare: il che è stressante.

Se poi ci sono molte finestre con molte persone collegate, nel computer che intanto segnala l’arrivo di una mail o nel telefono che non cessa di ricevere messaggini, la concorrenza per l’attenzione si fa spasmodica, il che è stancante. Questo alla lunga, tra l’altro, rischia di provocare una minore produttività delle conferenze in una piattaforma digitale di quanto non avvenga nelle riunioni fisiche. 

E allora ci si domanda se non sia probabile che appena possibile, l’attuale ricorso alla conferenza digitale sarà abbandonato per tornare velocemente alla riunione fisica. 

D’altra parte, l’efficienza con la quale si possono fissare le riunioni online non è paragonabile con la difficoltà di realizarle nel mondo fisico, soprattutto se sono coinvolte persone che si trovano in città o in stati diversi. E questo resterà, secondo molti osservatori. Anche la possibilità di conversare a cena con amici di una città lontana, scoperta nel periodo della quarantena, potrebbe non essere dimenticata con la fine dell’epidemia, secondo il filosofo Mauro Carbone, che insegna a Lione e ne parla su Fata Morgana Web e Nòva, Il Sole 24 Ore. L’esperienza delle video conferenze non sarà facilmente dimenticata se ha aperto a possibilità che prima non si vedevano.

E allora non resta che trovare un equilibrio. Che potrebbe passare, banalmente, da un futuro miglioramento delle piattaforme digitali e del modo di usarle, tale da rendere meno faticoso utilizzarle attraverso l’introduzione di interfacce innovative, capaci di alleviare la mancanza di comunicazione informale. Ambienti virtuali più studiati, per le lezioni, sono per esempio in via di elaborazione. E format di riunione più creativi sono in preparazione. Per il lavoro a distanza tutto questo è decisivo.

L’esperienza del lockdown non ha creato le conversazioni online. Ma ne ha diffuso l’utilizzo e ha mostrato come sia perfettamente possibile sfruttarle per realizzare cose che prima erano più difficili. Se c’è bisogno di sostenerne la produttività, migliorando le tecnologie o semplicemente accorciando le riunioni, sarà probabilmente fatto.

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di Luca De Biase

sabato 9 maggio 2020