Il crescente ruolo strategico dei “critical minerals” per i Paesi europei e africani
I nodi dell'approvvigionamento, tra l’alleanza per i minerali grezzi patrocinata dall'Ue, il nuovo panel Onu sui minerali critici e i rischi geopolitici nella loro concentrazione geografica.
di Raffaele Boldracchi
“Ecco le batterie al litio, la nuova frontiera dei sommergibili”: questo articolo del Secolo XIX del 29 giugno 2024, a firma Luca Peruzzi, sottolineava come, secondo Fincantieri, le batterie al litio aumentano l’efficienza operativa dei sottomarini - nell’articolo si cita il nuovo “U212Nfs” con accumulo al litio - e sono più efficienti e sicure delle batterie al piombo, riducendo la necessità di risalire a quota periscopica per la ricarica.
“Rame, litio e cobalto: la corsa dei prezzi fa riaprire le miniere”: in questo articolo apparso sul Corriere della Sera dello scorso 7 luglio, gli autori – V. Iorio e S. Tirrito – mettono in evidenza la crescita dei prezzi per le “materie prime strategiche” (e.g.: litio, rame, cobalto, zinco) in relazione all’accresciuto fabbisogno nell’ambito delle attività relative alla transizione verde.
A fine agosto, la Cina ha annunciato la sua decisione di applicare tutta una serie di restrizioni relative all’export (grezzo e/o semilavorato) dell’antimonio a partire dal 15 settembre 2024. Si tratta di un elemento delle “Terre rare” importantissimo per la produzione di batterie “tradizionali” al piombo e, soprattutto, per la produzione militare (proiettili perforanti, visori notturni, mirini laser arrivando ad avere un ruolo nella produzione di ordigni nucleari.
Il Rapporto Draghi presentato a Bruselles lo scorso 9 settembre[1] - e riguardante la competitività nell’Ue - segnalava, inter alia, il considerevole ritardo nel garantire sicuri ed affidabili approvvigionamenti di “critical minerals – Cm”.
Lo scorso 4 novembre, infine, Iren ha organizzato, a Roma un incontro dedicato alla “Road map italiana per le materie critiche” e alle conclusioni di uno studio commissionato da Iren al “Teha group”. Come riportato dal Secolo XIX del 5 novembre in un articolo a firma Claudia Luise, dall’incontro è emerso come dallo sviluppo delle materie critiche dipenderebbe il 32% del Pil italiano, e servirebbero 1,2 miliardi di investimenti per ridurre la cronica dipendenza dall’estero per le materie critiche.
Queste cinque notizie non hanno forse attratto, tra estate e autunno, l’interesse generale dovuto visto il loro impattare su uno degli aspetti geopolitici più pressanti per i decenni a venire: l’approvvigionamento dei cosiddetti “critical minerals - Cm” o “minerali strategici” come dalla definizione. Negli ultimi anni la “transizione green” ha messo effettivamente in evidenza il ruolo cruciale che verrà giocato dalla disponibilità dei Cm: rame, litio, nichel, cobalto, platino, ed elementi appartenenti al gruppo chimico delle Terre rare (Ree) sono elementi essenziali nella realizzazione delle “clean energy technologies” con tutta una serie di rilevanti implicazioni economiche e geopolitiche. Nel seguito, si utilizza la definizione di Cm adottata dagli Usa[2].
Partendo dagli aspetti inerenti alla distribuzione geografica dei Cm, questa nota: (a) illustra le recenti strategie sviluppate (i) da Ue, con lo sviluppo di “Erma” [i.e.: Eu raw materials alliance] nell’ambito della “Rmi - Eu raw materials initiative” e (ii) da Onu, con la recente (Aprile 2024) creazione del “Un panel on critical energy transition minerals”, e (b) pone in evidenza le criticità associate al crescente ruolo giocato dai fornitori di Cm (grezzi e/o semilavorati), indicando l’opportunità di sviluppo offerta a svariati paesi africani in un contesto di industrializzazione associata alla produzione di Cm “semi lavorati” a maggiore valore aggiunto locale.
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Il ruolo strategico dei Cm.
Come sottolineato in un recente rapporto Iaea[3], impianti eolici e/o fotovoltaici e veicoli elettrici richiedono quantitativi sempre maggiori di Cm rispetto ai corrispettivi alimentati da combustibili fossili. Un’auto elettrica richiede circa sei volte Cm rispetto ad un veicolo convenzionale, mentre, per un impianto eolico offshore, di Cm ne servono 13 volte tanto rispetto ad un impianto a gas capace di generare lo stesso input energetico. Le tipologie di Cm richieste variano al variare delle tecnologie coinvolte: litio, nichel, cobalto, manganese e grafite sono essenziali per la costruzione di batterie performanti; i minerali del Platino sono importanti nella produzione di idrogeno verde; Ree sono essenziali nella costruzione di turbine eoliche o motori alimentati ad energia solare; le tecnologie associate a forniture elettriche servono importanti quantitativi di rame ed alluminio.
È in questo contesto che, a partire dal 2023, la domanda in Cm ha registrato una notevole impennata, con un aumento del 30% per il Litio ed un aumento tra il 10 ed il 15% per nichel, cobalto, grafite e Ree. A inizio 2024, il cosiddetto “market value” per la domanda aggregata di Cm legati alla transizione energetica ammontava a $ 325 miliardi e dovrebbe raggiungere i $ 750 miliardi nel 2040, in uno scenario “Nze - Net zero emission”. La domanda di Cm per tecnologie verdi dovrebbe triplicare – secondo l’Iaea – entro il 2030 e quadruplicare entro il 2040 raggiungendo i 40 Mt. Risulta dunque evidente come gli sforzi compiuti dai Paesi occidentali verso la transizione energetica debbano essere associati a sforzi volti ad assicurare le forniture di Cm con lo sviluppo di supply chains diversificate, resilienti e sostenibili. L’industria europea dipende quasi interamente dai mercati internazionali “Extra-Ue” per le forniture di Cm, pur esistendo una certa potenzialità europea nella produzione di questi Cm (e.g.: afnio e cromo).
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Dove si estraggono i Cm.
L’estrazione di Cm è molto concentrata. La Cina fornisce alla Ue il 100% del suo fabbisogno in Ree, la Turchia il 99% del Boro mentre il Sud Africa fornisce il 71 del platino e la percentuale sale se si considerano altri minerali del gruppo del platino (e.g.: iridio, rodio e rutenio) che trovano utilizzo nella produzione di “proton exchange membrane (Pem) electrolysers” e di “Pem fuel cells”, importantissime nella produzione di idrogeno verde. Assieme alla Federazione Russa, il Sud Africa controlla la produzione di palladio (80%); Brasile e Cile sono importanti fonti di approvvigionamento a livello di niobio (Brasile) e litio (Cile), ma la Cina fa la parte del leone, con un ruolo importante giocato anche da alcuni Paesi Africani (e.g.: Congo, Ghana, Namibia, Sud Africa). Sempre la Cina produce la quasi totalità (84%) del vanadio. Solo Francia e Spagna hanno produzioni importanti di afnio in Francia (usato per il controllo delle barre nei reattori nucleari e nei sottomarini nucleari) e stronzio in Spagna in ambito Ue. La Cina detiene le maggiori riserve di antimonio (640 mila tonnellate), quasi il doppio della Federazione Russa (350 mila) e del terzo produttore mondiale, la Bolivia (310 mila). Per intenderci, gli Usa hanno riserve per 60 mila tonnellate e sono il maggior consumatore mondiale di antimonio. Recentemente, la Namibia ha annunciato il nuovo progetto “Lofdal heavy rare earth project 2B-4” da 632.7 milioni Usd mentre la Commissione europea ha recentemente deciso di allocare un miliardo di euro per lo sviluppo di idrogeno verde e Cm nel Paese. La figura seguente mostra la concentrazione in Cm a livello globale.
Secondo la Iaea (op. cit.) il litio (Usd 13.487.5 a tonnellata; 28 giugno 2024) e il rame (Usd 9.587,5 a tonnellata; 28 giugno 2024) sono i Cm più esposti al rischio “forniture”, mentre grafite, cobalto, Ree e nickel sono associati a rilevanti rischi geopolitici. Tutti i Cm possono essere soggetti di rotture impreviste nella supply chain e, in questo contesto, è interessante notare come, attualmente, anche i progetti minerari inerenti alle Ree siano concentrati in aree esterne alla Ue, con una evidente concentrazione a livello Usa, Cina e Africa (i.e.: Namibia, Sud Africa e Congo). È per questo motivo che Ue ed Onu hanno iniziato ad occuparsi, strategicamente, dell’aspetto delle forniture in Cm.
Come primo passo, la Commissione europea ha creato una lista di “Critical raw materials (Crms)” identificati a livello europeo ed ha approvato diverse iniziative in questo ambito. In particolare, due sono i principali parametri adottati per la determinazione della criticità di certi minerali: (i) rilevanza economica, in relazione all’importanza dei minerali per l’economia europea a livello di “end-use applications”, ed al valore aggiunto proprio del settore manufatturiero e, (ii) “supply risk” che riflette il rischio di una (momentanea) interruzione nelle forniture dei minerali, rischio associato alle concentrazioni nella produzione dei Cm in Paesi esterni alla Ue. La tendenza è di considerare due tipologie di paesi produttori: (a) i fornitori globali e (b) e i Paesi da cui la Ue dipende nelle forniture di Cm [“Eu import reliance – Ir”). Il “supply risk” misura, dunque, gli eventuali colli di bottiglia, nelle “Cm supply chaines”, rilevanti a livello di estrazione e/o trasformazione, e che possono dunque rappresentare dei rischi per la Ue.
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Le iniziative prese da Ue e Onu a partire dal 2020.
Ue
(i) Il “Rapporto sui minerali necessari per tecnologie e settori strategici” è stato pubblicato nel settembre 2020 per valutare il fabbisogno per la realizzazione di tecnologie “verdi” (e.g.: fotovoltaico, eolico), di mobilità elettrica e di tecnologie digitali (e.g.: Ict, robotica, stampanti 3d) a partire dagli scenari definiti, inter alia, nell’ambito della “Eu’s 2050 climate-neutrality”. Forniscono una stima del fabbisogno in Cm dell’Ue tra 2030 e 2050, andando a identificare i principali rischi, anche geopolitici, inerenti le “supply chaines”.
(ii) “Eu action plan on critical raw materials - Euap”. L’Euap si è dato quattro obiettivi: (a) sviluppare delle “supply value chains” resilienti per l’ecosistema industriale europeo; (b) ridurre la dipendenza da forniture da Paesi terzi a livello di Cm, puntando su economia circolare, prodotti sostenibili ed innovazione; (c) stimolare e supportare – ove possibile – la produzione - estrazione locale di Cm nella Ue, e (d) diversificare le fonti di approvvigionamento da Paesi terzi rimuovendo distorsioni del mercato nel rispetto degli obblighi internazionali cui la Ue si è impegnata. Il raggiungimento di questi obiettivi prevede la messa in atto di diverse azioni, in primis la realizzazione della “European raw materials alliance (Erma)”.
(iii) La “European raw materials alliance – Erma”. A fine 2020, la Commissione europea ha annunciato il lancio di Erma con lo scopo di garantire una fornitura sostenibile e duratura nel tempo in Cm. Il primo obiettivo di Erma – definita in collaborazione con “Eit - European institute for innovation and technology” - è l’aumento della resilienza europea a livello di Ree, un settore dei Cm vitale per l’ecosistema industriale europeo a livello di automotive, energie rinnovabili, difesa e aerospaziale. In un secondo tempo, Erma si espanderà, andando ad occuparsi di altri Cm rilevanti per un efficace supporto al “Eu green deal”. Il processo sarà “industry-driven” e verrà guidato dal “Eit raw materials” che dovrà identificare principali opportunità e barriere suggerendo investimenti a stakeholders e partners industriali. Erma non è limitata a stakeholders europei ma coinvolge centinaia di industrie operanti a livello globale e con una specifica attenzione all’Africa, stati sovrani, sindacati, società civili ed ong, centri di ricerca ed investitori.
In Italia, il governo Meloni ha approvato il decreto-legge “Materie prime critiche” del 20 giugno scorso che recepisce il “Critical raw materials act” della Ue e stabilisce i presupposti per la riapertura di certe miniere come suggerito anche dall’articolo di Iorio e Tirrito del 7 luglio scorso citato in apertura. Il decreto autorizza la (ri-)apertura di miniere per l’estrazione di questi minerali garantendo autorizzazioni più veloci per nuove estrazioni e operazioni di riciclo con l’obiettivo di ridurre la dipendenza dell’industria nazionale da Paesi terzi, non necessariamente gravitanti nell’orbita occidentale. In un articolo del 16 settembre[4], F. Margiocco conferma il via libera al decreto mostrano una mappa con i Cm esistenti in Italia. Il relativo piano, affidato al Servizio geologico dell’Ispra andrà completato entro il 24 marzo 2025, con pubblicazione di una mappa aggiornata dei Cm entro il 25 maggio 2025. Il budget previsto ammonta a tre miliardi di euro (nota: secondo l’articolo di Margiocco, un progetto simile in Francia si baserebbe su un budget ben maggiore e pari a 77 miliardi di euro).
Onu
(i) “United nations (Un) secretary-general’s panel on critical energy transition minerals – The panel”.
Il Segretario generale delle Nazioni unite ha annunciato, lo scorso 26 aprile 2024, la formazione del “Panel” durante la Cop28 di Dubai. Il “Panel[5]” mostra una co-presidenza condivisa tra Nozipho Joyce Mxakato-Diseko (South Africa), e Ditte Juul Jørgensen, Director-General per l’energia nella Commissione europea. Tre sono gli obiettivi del Panel: (a) promuovere una transizione giusta ed equa verso le energie rinnovabili promuovendo flusso di Cm rilevanti per una transizione energetica a supporto di uno sviluppo sostenibile; (b) assicurarsi che i Paesi produttori di questi Cm possano beneficiarne a livello di valore aggiunto locale salvaguardando la protezione sociale ed ambientale per le comunità e gli ecosistemi coinvolti; e (c) rinforzare la cooperazione internazionale anche a livello di allineamento ed armonizzazione delle norme e degli standards richiesti in un contesto di cooperazione multilaterale rinforzata.
Cambia l’approccio cinese verso l’Africa: ora investimenti piccoli e green
La nuova strategia cinese riduce l’impegno nella costruzione di infrastrutture per dedicarsi a estrazione mineraria ed energia rinnovabile. Al nono vertice Focac la Cina si propone come modello per i Paesi del Sud globale.
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Le opportunità di industrializzazione offerte al continente africano dalla crescente domanda in Cm.
I Paesi africani si suddividono buona parte delle riserve mondiali in Cm (i.e.: 55% del cobalto, 47.65% del manganese, 21.6% della grafite, 5.9% del rame, 5.6% del nickel e 1% del litio) che vengono tuttavia esportati in forma grezza. Il repentino aumento nella domanda in Cm costituisce un’opportunità da non perdere per creazione di nuovi posti di lavoro, diversificazione delle economie ed aumento del Pil ma solo se associato, come recentemente sottolineato in ambito Unctad, ad uno sfruttamento minerario accompagnato da processi rivolti ad un aumento nel valore aggiunto locale e, quindi, nell’esportazione di Cm non a livello grezzo ma, almeno, a livello di semilavorati avanzando nel ”high tech value chains” promuovendo un alternativa al cosiddetto “Dig & ship” che, finora, ha essenzialmente avvantaggiato solo la Cina.
Secondo Unctad, i Paesi africani generano meno del 40% dei proventi che potrebbero arrivare dall’export in Cm. I problemi alla base di questa difficoltà nello smarcarsi dall’approccio “Dig & ship” (i.e.: estrai e imbarca) – alla base del preponderante ruolo cinese nell’export di Cm Africani – sono noti e vanno da un problematico contesto geopolitico ad uno spazio fiscale limitato, da una bassa crescita ad un debito estero in forte crescita. Resta il fatto che la crescente domanda in Cm (unitamente alle opportunità offerte dalla produzione africana di “Idrogeno verde”) offre un’opportunità unica per l’industrializzazione del Continente, e i Paesi occidentali (Ue, Giappone e Sud Corea in primis) si stanno muovendo in quest’ottica. Molto significativa l’iniziativa della Corea del Sud che – in un’ottica di cooperazione con l’Africa – ha deciso di impegnare 24 miliardi di dollari fino al 2030[6]. Rifacendosi alle problematiche inerenti le “global supply chains”, la Corea considera cruciali le risorse minerarie richieste dall’industria “Green” e – conscia del ruolo chiave giocato dall’Africa – nel giugno 2024 ha lanciato il “Korea-Africa critical minerals dialogue”.
Invitato a fine luglio ad un recente webinar dedicato ai Cm [i.e.: “Strengthening Sstc on critical minerals for just energy transition”] ho avuto il piacere di sentire un bell’intervento del Ministro del Ghana per le risorse naturali, Samuel A. Jinapor, di cui vorrei ricordare una sua frase a paradigma del nuovo approccio africano ai Cm: “Critical minerals should be extracted sustainably, under no circumstances should they be exported in raw form, and we should have indigenization of industry.”
di Raffaele Boldracchi[7]
Copertina: miningwatch_portugal/Unslpash
[1] Mario Draghi; “The future of European competitiveness – A competitiveness strategy for Europe”.
[2] “Critical mineral,” as defined by Executive Order No. 13817, is a mineral: (1) identified to be a nonfuel mineral or mineral material essential to the economic and national security of the United States, (2) from a supply chain that is vulnerable to disruption, and (3) that serves an essential function in the manufacturing of a product, the absence of which would have substantial consequences for the U.S. economy or national security. (Summary of Methodology and Background Information—U.S. Geological Survey Technical Input Document in Response to Secretarial Order No. 3359).
[3] Iaea, “Global Critical Minerals Outlook”, 2024,
[4]Francesco Margiocco, “Minerali, il governo dà il via al piano. Ma risparmia il titanio del Beigua.”, Il Secolo XIX, 16 settembre 2024,
[5] Il Segretariato del Panel è assicurato da UN Trade and Development (UNCTAD) e UN Environment Program (UNEP) unitamente al UN Secretary-General’s Climate Action Team.
[6] I contributi Coreani (24 miliardi USD) e Giapponesi (30 miliardi USD in ambito TICAD 9) sono ben maggiori di quelli allocate dal Piano Mattei (cinque miliardi di dollari).
[7] Dal 2003 si occupa di “Advocacy, Partnership & Resource Mobilization” nell’ambito della mobilizzazione di risorse per investimenti in (Upper)Middle-Income Countries a livello ECA, MENA e SSA. Ha occupato posizioni apicali presso EBRD e IFC (World Bank Group) e, dal 2022 assiste UNIDO (a livello globale) e il sistema delle Nazioni Unite in Namibia e Ghana.