Giovannini, Calenda, Lorenzin: abbiamo bisogno di reinventare la democrazia?
In un dibattito stimolato dal libro “I ministri tecnici non esistono”, i tre raccontano le loro esperienze e avanzano proposte per migliorare il funzionamento degli organi di governo. Il difficile equilibrio tra decisioni che creano consenso e scelte di lungo termine. [VIDEO]
di Sofia Petrarca
Anche le decisioni dei cosiddetti “ministri tecnici” hanno carattere politico. Questa è la considerazione che ha indotto Enrico Giovannini, attuale direttore scientifico dell’ASviS ed ex ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili nel governo Draghi e in precedenza del Lavoro nel governo Letta, a intitolare “I ministri tecnici non esistono” il suo recentissimo libro (Laterza) presentato per la prima volta all’Istituto Sturzo a Roma il 23 ottobre. All’incontro moderato dalla giornalista Marianna Aprile, hanno partecipato, oltre allo stesso Giovannini, l’ex ministro dello Sviluppo economico dei governi Renzi e Gentiloni, Carlo Calenda, e l’ex ministra della Salute dei governi Letta, Renzi e Gentiloni, Beatrice Lorenzin. Il dibattito, del quale riportiamo il video integrale, si è concentrato soprattutto su due temi legati alle esperienze di governo: il ruolo dei titolari di un dicastero nel funzionamento della macchina amministrativa e il progressivo deterioramento dei meccanismi democratici.
Contribuisce a rendere “politico” il ruolo dei tecnici la mancanza di un programma preciso elaborato dalla coalizione dei partiti di maggioranza. Questa assenza di un chiaro riferimento solleva anche interrogativi sui criteri di elaborazione delle linee di governo. La moderatrice Aprile ha chiesto ai partecipanti: “il fatto di non dover cercare il consenso dell'elettorato rende i ministri più solidi o più fragili nell'azione di governo?”; Giovannini e Calenda hanno entrambi sottolineato l'importanza del consenso anche per i ministri che non devono rispondere a un loro elettorato. Senza il consenso, i ministri, tecnici o politici che siano, rischiano di avere difficoltà nell'esercitare il loro ruolo. In questo senso, è cruciale trovare un equilibrio tra lo sviluppo di strategie a lungo termine per un futuro sostenibile e l'offerta di soluzioni concrete a breve termine per non perdere il consenso e non incontrare maggiori difficoltà nell’azione dell’esecutivo, un aspetto su cui la politica tende a concentrarsi.
La stessa domanda ha suscitato riflessioni a proposito della comunicazione e della partecipazione dei cittadini, temi cruciali per il futuro della democrazia: “I canali razionali che dovrebbero guidare le decisioni politiche sono saltati” afferma Beatrice Lorenzin. L'attuale modello di comunicazione è così rapido che non si allinea con il nostro modello di pensiero. L'abbondanza di informazioni e la loro rapidità possono sovraccaricare e confondere gli elettori, rendendo l'esercizio della democrazia più complicato. Lorenzin ha enfatizzato la responsabilità di coloro che detengono incarichi decisionali nel ridefinire le regole del gioco. Ha osservato che, nella Prima Repubblica, erano i partiti politici che sceglievano i ministri, ma le politiche governative mantenevano una certa continuità. Questa continuità è ora meno evidente, e di conseguenza i ministri devono prendere decisioni che ricadono completamente nelle loro mani, spesso senza il tempo necessario per spiegare tali decisioni al pubblico.
Un elemento chiave emerso durante il dibattito è la necessità di trovare un linguaggio adeguato e uno spazio comunicativo per stabilire un rapporto efficace con l’opinione pubblica: un problema che riguarda i ministri, i loro portavoce e capi ufficio stampa, nonché i giornalisti che fungono da ponte con il pubblico. Questo rappresenta una delle sfide fondamentali nel migliorare la comunicazione e la partecipazione dei cittadini alla democrazia, ha affermato Giovannini, anche con alcune considerazioni pratiche sulle tecniche di preparazione delle interviste, sulla base della sua precedente esperienza all’Ocse.