La vita in comune e il solipsismo dello smart working
Fra le varie relazionalità, quella fisica offre chances uniche di creazione di nuova vita. Anche nelle imprese, dove una comunità armonica è la condizione basica per l'evoluzione.
di Remo Lucchi, presidente Advisory board Eumetra Mr
In questi ultimi anni, dall’inizio della pandemia in poi, e indipendentemente dalla persistenza degli eventuali pericoli, l’organizzazione lavorativa di molte aziende è cambiata: lo smart working si è innestato, e persiste al di là degli accadimenti e dei pericoli.
Vorremmo proporre pensieri su questo tema, partendo da una riflessione di Santa Madre Teresa di Calcutta: "Io posso fare cose che tu non puoi, tu puoi fare cose che io non posso, insieme possiamo fare grandi cose»". Madre Teresa parlava, cioè, della fondamentalità della relazionalità positiva.
La relazionalità fisica
In realtà tutte le forme di vita sono frutto di un’unica modalità: la relazionalità fisica. Senza la relazionalità fisica tra entità complementari non si crea nulla, a cominciare dalla vita umana. E tutte le forme di vita vengono innescate dallo stesso principio fisico: l’unione tra parti complementari, dove ogni parte deve dare il meglio di sé, tenendo conto di chi deve ricevere. Che si tratti di vita umana, di vita di apprendimento studentesco, di vita professionale …
La ricetta di questa relazionalità è estremamente complessa, ed ha moltissimi ingredienti che devono convivere. Ogni ingrediente è indispensabile, e non sostituibile. Altrimenti la vita non nascerebbe. E tutti questi ingredienti richiedono la fisicità per essere ottimalizzati di volta in volta. E ciò perché la fisicità si porta appresso ingredienti non veicolabili diversamente, sia nel dare che nel ricevere.
Ad esempio, nel dare - tenendo conto che la parte complementare deve ricevere - l’attenzione deve essere posta non solo nei contenuti che si devono dare, ma anche su ciò che li accompagna: il capire il ricevente, il vedere come reagisce, l’ottimizzazione in dipendenza delle reazioni inattese, la reazione alle constatazioni del ricevente, il capire - da tutti questi segnali – come ottimalizzare: in altri termini, non sono solo “io” che devo dare ciò che mi appartiene, ma – perché abbia successo – è “lui” che deve ricevere in modo ottimale. Per essere ridondanti: se “io” non mi impegno, capendo come di volta in volta mi devo ottimalizzare per “lui”, “lui” non riceve. E quindi “io” ho fallito.
Analogo è il discorso invertito, quando è “lui” che deve dare, ed “io” che devo ricevere.
La relazionalità quindi è fondamentale, ma senza la fisicità è un problema. Si pensi ai guai provocati dalla didattica a distanza (DaD).
La relazionalità in azienda
L’armonia e la relazionalità fisica continua fra tutto il personale dell’azienda è un tema fondamentale. L’obiettivo è che l’insieme delle persone crei una comunità armonica, che è la condizione basica per l’evoluzione.
La creazione di una comunità è una scelta metodologica fondamentale per lo sviluppo dell’azienda, per il suo successo, perché implementerebbe gli strumenti fondamentali per la sua vita. L’obiettivo è quello della formazione coordinata, atta a generare in continuità le risorse basiche per lo sviluppo dell’azienda.
Ribadiamo: la formazione – in presenza fisica - deve avere l’obiettivo prioritario della costruzione di una comunità armonica, e deve svilupparsi nelle due direzioni fondamentali dell’“equilibrio tra vita e lavoro”. In particolare:
- l’investimento sulla vita privata crea le condizioni per un vero impegno sul lavoro;
- e l’investimento sulla professionalità dell’individuo offre la cultura per la costruzione armonica di uno specifico senso della comunità, che diventa poi la vera ricchezza dell’Azienda (il motore di una rigenerazione continua).
Lo smart working
In queste prospettive, di fatto lo smart working rappresenta un freno.
Il mantenimento di questa soluzione ha delle giustificazioni:
- risparmio del tempo per il trasferimento casa-lavoro, e viceversa
- riduzione della mobilità, con vantaggi per l’ambiente
- risparmio costi di trasferimento per i lavoratori.
Ma il risparmio del tempo rappresenta in realtà un solipsismo esecutivo, e rinuncia della partecipazione alla cosa più importante che è la generazione di nuova vita – che richiede condivisione/ discussione/partecipazione - per sé, e per il proprio contesto lavorativo. Non si deve essere meri esecutori a casa propria, ma attori veri della creazione di una vita sempre più interessante, e soddisfacente. Con grandi ritorni personali.
Anche la mobilità è vita, rinunciarci è un peccato: fa constatare cose sempre diverse, non si deve vivere solo in esperienze ripetute e scontate. È chiaro che l’ambiente debba essere tutelato, e si debbano trovare soluzioni. Ma è possibile: basta imporselo. C’è poi la soddisfazione di aver dato un contributo.