La comunicazione è sempre più fondamentale, ma deve essere diversa
Emerge un problema costante, che coinvolge più o meno tutti: il bisogno di essere aiutati a vivere, pur con espressioni differenti. Un fenomeno che ridisegna anche le responsabilità delle imprese.
di Remo Lucchi, presidente Advisory board Eumetra MR
In questo breve contributo riprendiamo le fenomenologie sociali già più volte esaminate in questi ultimi tempi, per poi tornare ancora ad analizzarne le conseguenze dal punto di vista della comunicazione.
Negli ultimi anni si sono verificate tre fenomenologie sociali che hanno molto cambiato il contesto sociale:
- le due più recenti - pandemia ed Ucraina – non sfuggite a nessuno, hanno avuto, e stanno avendo, un protagonismo molto evidente
- mentre la terza - populismo e contrapposizioni sociali -, nel tempo più strisciante, è massimamente sfuggita nelle cause, e non è stata diagnosticata, nonostante la rilevanza delle conseguenze.
Questi eventi hanno coinvolto segmenti di popolazione differenti. Cominciamo dal terzo evento:
- il terzo evento – populismo e contrapposizioni -, meno evidente e più continuativo nel tempo, ha riguardato soprattutto il segmento più giovane, che negli ultimi 20 anni è entrato nell’adultità: l’innesco dell’evento è stato assolutamente positivo: riguarda l’istruzione di queste nuove generazioni. Certamente non completata, ma è stata molto più evoluta rispetto al recente passato: la grande maggioranza ha completato le medie superiori. Di fatto non esistono più, come nel passato recente, le “masse incolte” rinunciatarie di tutto: si sono creati gli “individui” con buona capacità critica, e forti attese.
L’evento ha ovviamente innescato presso ampie fasce un’attesa di partecipazione e di protagonismo sociale, che non era mai stata espressa in passato, se non da piccoli segmenti.
Purtroppo, però, nello stesso periodo si sono verificate fenomenologie sociali che non hanno consentito il concretizzarsi di questo progetto di partecipazione. Si sono verificati eventi – globalizzazione, crisi finanziarie – che hanno marginalizzato queste aspirazioni, creando il precariato.
Conseguenze che però, diversamente dal passato, non sono state accettate, ed hanno creato reazioni contrappositive crescenti: richieste di difese, di priorità di attenzioni, che hanno sviluppato nazionalismi e populismi.
Quindi, gente che aveva aspettative più che lecite, che non è stata aiutata a completare la formazione, e a trovare energie e resilienza per trovare altre soluzioni. Gente però non rassegnata, e molto arrabbiata. È gente che ha bisogno di aiuto, che non dovrebbe essere abbandonata. Peraltro non converrebbe a nessuno che ciò avvenisse (ma in realtà è avvenuto), perché le contrapposizioni sono contrarie ad ogni forma di vita.
I primi due eventi citati – pandemia e guerra in Ucraina – sono stati, e sono tuttora, eventi di elevata gravità, soprattutto per i segmenti più maturi, perché ha portato forti turbative e rivoluzioni ai ritmi, e modalità di vita e relazione, adottati da sempre:
- Il Covid ha spostato l’attenzione sul senso del vivere: mentre prima l’attenzione era centrata sugli aspetti sovrastrutturali ed accessoriali della vita, il covid l’ha spostata sulla vita in sé, sulla salute fisica, sul baricentro primario della propria persona, il sé, che da solo non è vita vera.
- Il lockdown ha fatto scoprire un’ovvietà alla quale non si pensava: la vita è relazionalità fisica, da tutti i punti di vista, ed in assenza non esiste alcuna prospettiva di vita futura. Il Covid ha ridotto il proprio protagonismo, ma il lockdown ha lasciato segni che potrebbero essere permanenti.
- La guerra in Ucraina, oltre alle tensioni internazionali che non si stanno affatto riducendo, ha provocato inflazione ed aumenti di prezzo che inducono a fare importanti ripensamenti nell’organizzazione della propria esistenza.
Come accennato, questi eventi hanno in comune una forte turbativa delle abitudini, soprattutto nei segmenti più adulti/maturi, non più capaci ormai di rigenerare soluzioni di vita adottate da sempre.
Bisogno di aiuto
In tutte le ricerche sociali condotte in questi ultimi tempi, emerge un problema costante, che coinvolge più o meno tutti: il bisogno di essere aiutati a vivere, pur con espressioni differenti.
Si rilevano difficoltà a trovare in autonomia soluzioni ai vari problemi di vita, e si sente la necessità di una relazionalità con chi può essere di vero aiuto.
Si pensa di avere la necessità di relazioni con entità di ordine superiore, competenti, organizzate. Non si pensa ad entità pubbliche: in Italia la fiducia verso enti pubblici/governativi è sempre stata molto modesta.
Si ha invece molta più fiducia verso il sistema economico, verso le imprese, perché già offrono beni, servizi, lavoro, denaro, che sono le opportunità basiche per una esistenza dignitosa.
Tuttavia nel rapporto con le imprese si sente una esigenza evolutiva, perché al momento le imprese, al di là delle loro potenzialità, si ritiene siano massimamente attente solo al classico modo di fare impresa, come hanno sempre fatto. Che significa fare totalmente attenzione solo a ciò che offrono, e cioè:
- Proporre prodotti/servizi di buona qualità
- Ad un prezzo interessante
- Essere ben presenti sul territorio
- Riservare attenzioni ad andare oltre, alle innovazioni.
In realtà, concentrando l’attenzione su ciò che ci si aspetta dalle imprese, non ci sono maggiori attese su ciò che l’azienda produce (più qualità, prezzi più interessanti, …), e su come produce: le aziende di cui ci si serve, da questi punti di vista, sono già soddisfacenti.
Per la gente, l’essere corretti in quello che si fa, è una condizione per vivere, non per evolvere. Le attese vanno verso due altre direzioni:
- Il dare più attenzione alla relazione con il cliente, considerandolo un individuo con il quale instaurare una relazione, e non solo come destinatario dei propri prodotti/servizi. Peraltro gli individui, con la crescita della propria capacità culturale e critica, tendono sempre di più a privilegiare il ruolo di “partner”, più che di cliente, e sempre di più desiderano instaurare una relazione con l’azienda, e non solo con i suoi prodotti/servizi. Fra l’altro, in un contesto di prodotti (di varie aziende) di fatto equivalenti, la scelta sarà sempre di più guidata dall’immagine dell’azienda, più che dal prodotto.
- Il pretendere che l’azienda si faccia carico di responsabilità sociali, soprattutto in tre direzioni:
- la prima, la più ovvia, è che rispetti le condizioni basiche della sostenibilità, a cominciare da un serio rispetto dell’ambiente
- ed agendo in due direzioni per aiutare la gente a vivere meglio:
- Investendo massimamente sugli individui che lavorano presso di essa, sia come individui che hanno una vita privata, che come lavoratori. L’investimento nel wellbeing, in attività work-life balance, rappresenta il migliore investimento verso i lavoratori, sia per il miglioramento della qualità della propria esistenza, anche extra lavorativa, sia per i ritorni di gratitudine che vengono riservati alla propria azienda che fa investimenti su di loro in queste direzioni
- E ponendo grande attenzione ai problemi sociali del territorio in cui operano, assumendosi responsabilità sociale.
Tutto ciò significa sviluppare al massimo l’investimento sulla relazionalità, sapendo che relazionalità è vita, in tutti i sensi. In assenza c’è solo stand by. E ricordandosi sempre che la base della relazionalità è la comunicazione. Senza comunicazione non ci può essere relazionalità. Parliamone qui di seguito.
La comunicazione
Soprattutto a seguito degli eventi di cui abbiamo parlato, la comunicazione – come nuovo sviluppo della pubblicità classica – è diventata una esigenza prioritaria, sulla quale investire. Deve essere l’inseminatrice di una relazione del tutto soddisfacente.
In particolare:
- deve fare capire che l’azienda è interessata ad avere una relazione orizzontale molto attiva con gli individui, essere dalla loro parte
- … con contenuti percepiti come interessanti per coloro che la ricevono: di qualità, sia negli aspetti di contenuto - nel rispetto dei bisogni dei destinatari - sia dal punto di vista formale; creativamente ben fatta, attraente, ed immediatamente chiara…
- … e deve avere una interessante visibilità, sia per quanto riguarda la frequenza, sia per quanto riguarda la serietà ed il pregio dei media utilizzati.
Come si è fatto cenno, deve porre grande attenzione al contenuto. La cultura dominante, ormai analoga in tutti i segmenti, è che la comunicazione deve essere dalla parte di chi la riceve, e non di chi la emette. Le conseguenze sono molte, e possono essere così sintetizzate:
- si ama sempre meno la pubblicità classica, dove l’azienda appare centrata su se stessa, sui propri prodotti e servizi, in una logica di one up–one down; un tempo, con destinatari non critici, caratterizzati dal desiderio di imitare, aspirazionali, poteva andare molto bene: rispondeva ad un desiderio di appartenenza. Oggi non è più così;
- con l’acquisizione di individualità e di senso critico, è l’azienda che deve andare verso l’individuo, e non più il contrario;
- quello che si desidera è una comunicazione che parli dell’azienda, dei suoi impegni sociali, per il bene della gente, che abbia anche funzione educativa.
La comunicazione deve far percepire che il vero obiettivo è il benessere del ricevente. E se ciò sarà riscontrabile, e vero, allora produrrà un forte ritorno. Produrrà ciò che si ottiene in genere quando si fanno investimenti seri ed intelligenti, ben congeniati.
Fonte copertina: hobbitfoot