Educare alla cultura della sostenibilità, asse valoriale della “giusta transizione”
Liberarsi della contrapposizione tra natura e umanità, identificare i limiti dello sviluppo, tornare all’idea di una “casa comune”. Questi alcuni dei temi al centro del nuovo libro di Giuditta Alessandrini.
di Valerio Massimo Marcone
Il 28 Settembre 2022 si è svolto a Roma presso l’università Mercatorum, all'interno della cornica del Festival dello Sviluppo Sostenibile 2022, la presentazione del volume di Giuditta Alessandrini, ordinario senior di ambito pedagogico e membro del Segretariato ASviS dal titolo Non siamo i padroni della terra. Educare alla cultura della sostenibilità, edito dalla Franco Angeli Editrice. La presentazione ha potuto avvalersi del contributo della Presidente dell’ASviS Marcella Mallen, di Gianfranco Bologna, expert Senior ASviS e del Rettore dell’Ateneo Mercatorum, Giovanni Cannata oltre che dell’economista Carlo Alberto Pratesi, tutti coordinati da Niccolò Gori Sassoli, responsabile comunicazione dell’Alleanza.
Il volume che ha scritto Giuditta Alessandrini in forma di pamphlet intende dare un contributo alla questione indicata nel sottotitolo chiamando in causa non tanto gli aspetti analitico-descrittivi dei risultati raggiunti in merito all’avvicinamento ai target dell’Agenda 2030 - compito che le eccellenti pubblicazioni dell’ASviS ,tra le quali il Rapporto annuale, da tempo svolgono egregiamente, quanto richiamando alla mente del lettore soprattutto gli aspetti valoriali della transizione auspicata.
Il diritto dell'uomo di governare la terra nasce dall'idea di un "controllo" egemonico sulla creazione. Ma l'umanità è solo un sottoinsieme della comunità biotica, ricorda l’autrice. Una cultura educativa della sostenibilità deve partire viceversa dal riconoscimento del limite umano. Sulle orme dell’analisi dell’antropologo francese Philippe Descola, ad alcune svolte paradigmatiche della storia del pensiero europeo, nel volume si snoda un ragionamento sul tema dell’antropocentrismo.
Ciò di cui dobbiamo liberarci – come Descola sostiene nella sua opera monumentale, recentemente rieditata – è il presupposto della contrapposizione tra natura e cultura con il carattere universale che le abbiamo attribuito nel tempo. Dovremmo tornare all’idea di una casa comune, dove non c’è un primo piano e un secondo. L’edifico dualistico, viceversa, è stato costruito dai grandi architetti dell’età classica, per durare nel tempo
La “chiave” della sostenibilità come vettore per il futuro è entrata nelle nostre vite – sostiene l’autrice – nonostante gli shock che stiamo subendo e appare come una sorta di “àncora salvifica” per le nostre vite disorientate rispetto all’incertezza e vulnerabilità del futuro. Forse appare anche come promessa di felicità (nel senso di eudaimonia) e come sentimento di ri-avvicinamento a uno stato di equilibrio e benessere.
L’alfabeto della sostenibilità sta diventando già da tempo un concreto asse valoriale grazie al percorso dell’Agenda 2030 e al lavoro dell’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile e oggi finalmente elemento chiamato in causa dal quadro normativo fondamentale nel nostro Paese, la Costituzione con gli articoli 9 e 41.
L’autrice si era già misurata quattro anni fa, insieme a ventisei studiosi di varie aree disciplinari tra cui la pedagogia del lavoro, con un volume pubblicato sempre da Franco Angeli sul tema del possibile parallelismo tra alcune idee-chiave della sostenibilità e il capability approach, tema già trattato ampiamente peraltro in altre opere nella stessa collana editoriale. L’opera miscellanea Sostenibilita’ e capability approach del 2018 si era posta l’obiettivo ambizioso di proporre l’attualità del costrutto seniano e nusbaniano come cornice di una visione complessa dello sviluppo umano nella quale il driver della sostenibilità – correttamente intesa – fosse l’asse di riferimento.
Il lavoro si snoda in otto capitoli: il primo intende disegnare gli aspetti di una riflessione di tipo filosofico-antropologico sul tema del rapporto tra natura e individuo, il secondo si sofferma sul tema dell’analisi delle disuguaglianze come aspetto definitorio quasi costitutivo dell’emergenza sostenibilità. Il terzo capitolo ritaglia una tendenziale sovrapposizione simbolica tra l’universo valoriale della complessità e quello della sostenibilità. Il quarto capitolo entra nel vivo del tema educativo e dell’esigenza di promuovere una cultura pedagogica della sostenibilità. Il quinto capitolo tratta del tema della parità di genere e delle nuove garanzie in epoca post pandemica su questo fronte. Il sesto capitolo si affaccia sul tema della discussione intorno al futuro come categoria filosofica ma anche pedagogica. Il settimo entra nel merito di una delle dinamiche fondamentali correlate alla sostenibilità, quella della digitalizzazione come chiave concorrente insieme alla transizione ecologica alla determinazione degli obiettivi auspicati di un futuro sostenibile. L’ottavo capitolo infine entra nel tema del lavoro inteso come habitat cardine della svolta sostenibile come strategia e pratica di futuro.
Quali le argomentazioni-chiave della discussione tra i relatori partecipanti alla tavola rotonda?
Innanzitutto si è convenuto sul tema della giustizia intergenerazionale come tema princeps nel cuore della tematica della sostenibilità correttamente intesa. E ancora il tema della dignità della persona e del lavoro è un altro tema fondamentale sul quale ragionare.
L’educazione alla sostenibilità è possibile non solo per le nuove generazioni ma anche per gli adulti. Questo impegno richiede una nuova responsabilità educativa strettamente correlata alla salvaguardia futura della democrazia.
Nella discussione con i relatori si è affrontata la questione se la transizione ecologica debba essere anche “transizione sociale” e in che misura la dimensione sociale possa diventare nel futuro non solo parte integrante ma anche parte sostantiva della giusta transizione auspicata.
di Valerio Massimo Marcon, Dottore di ricerca nell’area della pedagogia del lavoro