I tre grandi problemi dell'attuale contesto sociale
Delusione delle nuove generazioni, pandemia, guerra in Ucraina: queste le variabili che aumentano la complessità del sistema in cui viviamo. Tra le soluzioni, una maggiore istruzione e lo sviluppo della relazionalità positiva tra diversi attori.
di Remo Lucchi
Il contesto sociale in cui stiamo vivendo è complesso, e foriero di cambiamenti importanti. La complessità ha un punto di partenza strisciante, innescato parecchi anni fa, e del tutto trascurato perché insolito (nella storia non si era mai verificato); in epoca recente si sono poi aggiunte altre due cause, anch’esse del tutto insolite.
Tutte e tre queste cause sono accomunate dallo stesso guaio: contrastano la relazionalità, e ci ricordano quanto in questo modo tutte le forme di vita, sia individuale che sociale, si basano obbligatoriamente solo sulla relazionalità positiva.
Quindi tre fenomeni nuovi, non di rapida soluzione, che è molto probabile possano cambiare sia la vita individuale che sociale. I due fenomeni più recenti (pandemia e guerra in Ucraina, con tutte le conseguenze) sono sotto gli occhi di tutti, anche se più sui fatti in sé che per le conseguenze. Il fenomeno strisciante precedente è invece sfuggito a tutti, ed è quello che in questo periodo crea le problematiche più pressanti e non di prossima soluzione.
Cominciamo a parlare di questo “fenomeno strisciante”, che riguarda il problema dominante delle nuove generazioni, di cui le ricerche sociali continuano a occuparsi e che provano a denunciare – purtroppo senza benefici, né attuali, né prospettici.
La delusione delle nuove generazioni, e le conseguenze
Da sempre, e fino a 20 anni fa, la società era composta da un segmento più elitario e istruito (circa 20% della popolazione) e da masse incolte (circa 80%) che da sempre non avevano mai avuto aspirazioni di partecipazione e protagonismo. Si sentivano sottomesse, e accettavano questa condizione, con la sola aspirazione di avere qualche soldo in più per concedersi qualcosa.
Negli ultimi 20 anni la società è profondamente cambiata: le nuove generazioni – per la prima volta nella storia - sono entrate nell’adultità con un’istruzione progressivamente più elevata: attualmente il 60% della popolazione ha un’istruzione media superiore. Non hanno completato la formazione, ma non sono più masse: sono diventati “individui”, con buona capacità critica, e soprattutto con desiderio di orizzontalità, di partecipazione, di inclusione.
La discreta cultura ha contribuito a prendere coscienza della propria entità e dei propri diritti, creando una massima centratura su sé stessi. Questa centratura si sarebbe attenuata, e lo spostamento dell’attenzione anche sugli altri si sarebbe verificato, se la formazione (lo studio) fosse stata completata. La formazione fa capire che ciascuno di noi ha necessità di complementi - in questo caso “gli altri” -, per raggiungere risultati: la vita è il “noi”.
Ma ciò non è avvenuto, probabilmente per mancanza di risorse. Stante la situazione, la centratura su sé stessi rimane però dominante, come pure il desiderio di partecipazione e inclusione nella società che sta bene.
Ma la società non è riuscita ad accoglierli soddisfacendo le loro aspirazioni: per varie cause – globalizzazione, crisi finanziarie – buona parte di questa nuova generazione è finita nel precariato, con grandi delusioni e arrabbiature. L’aver decorosamente studiato – anche se non completamente - li aveva illusi.
Ma questa generazione non ha accettato la “sfortuna”, come invece è sempre avvenuto in passato.
Mentre l’assenza di opportunità è sempre stata vissuta in passato con rassegnazione, queste nuove generazioni ora non l’accettano, e in difesa dei propri diritti stanno reagendo sempre di più creando chiusure sociali, con fenomenologie di populismo, nazionalismo, massima centratura su loro stessi, forte desiderio di protezione.
Ciò non solo in Italia, ma un po’ in tutto il mondo occidentale: Brexit, Trump, Vox, Gilet Gialli, etc., l’esplosione della “destra”. Sono fenomenologie che in affiancamento al populismo hanno creato una progressiva contrapposizione. Ricordandoci che contrapposizione è contraria a tutte le forme di vita: crea paralisi.
La responsabilità di questa situazione non appartiene più di tanto a queste persone, ma è insita nel Sistema che – essendo sempre centrato sul breve periodo – non ha saputo prevedere gli accadimenti, e non ha pianificato soluzioni di rimedio.
Le soluzioni possibili sono due: una di breve periodo, di provvisorio rimedio, necessario ma di certo non ottimale e risolutivo; e una di lungo periodo, con un progetto che crei le condizioni per evitare futuri problemi. In particolare:
- Di breve periodo: il sistema dovrebbe offrire aiuti per la soluzione dei problemi contingenti. Interventi immediati (rimedi di breve termine). Di certo possono essere utili. Però non si può pensare che siano più di tanto efficaci, perché non hanno progettualità risolutive per il futuro. E quindi – senza altri interventi - la situazione rischierebbe nel tempo di aggravarsi.
- Di lungo periodo: il sistema – oltre agli aiuti di breve periodo, che comunque dovrebbero essere previsti – dovrebbe immediatamente investire su di loro con un progetto di medio-lungo periodo, nella prospettiva di creare individui in grado di non dipendere dal Sistema e diventare capaci di trovare in autonomia delle soluzioni.
Precisiamo: i giovani sono la vera ricchezza prospettica del Paese. Quindi è fondamentale prevedere:
- elevata formazione per tutti.
- laurea per tutti, con grandi investimenti del sistema per trovare per tutti le migliori soluzioni. La laurea sarà infatti sempre più fondamentale in un prossimo futuro per trovare soluzioni lavorative sempre più interessanti – al di là del tipo di lavoro – tenendo conto della prossima esplosione dell’Intelligenza Artificiale, che cambierà con progressione impressionante tutte le logiche lavorative, anche di carattere esecutivo.
- creazione di attori – e non di spettatori – tutti di alto livello.
- capaci di creare – per sé e per il sistema - nuove logiche “imprenditoriali” evolute, sviluppando resilienze di grande interesse.
La formazione in effetti aumenta la capacità di resilienza, cioè la capacità di fare fronte in maniera positiva adeventi di forte cambiamento, anche inatteso, anche traumatico, e di riorganizzare positivamente la propria vita dinanzi alle conseguenti difficoltà, e di ricostruirsi restando sempre sensibili alle opportunità positive che la vita offre, senza alienare la propria identità. Ed essendo il frutto della formazione, aumenta di molto l’attenzione al sistema e agli altri, e sviluppa al massimo la relazionalità positiva (che è vita).
Certo, è una soluzione non di breve: ma davvero si cambierebbe il sistema, che ora è debole, centrato su sé stesso, senza disegni, progetti o prospettive. Attualmente è un sistema che vive sulla contrapposizionee e non sulla relazionalità positiva. E senza la relazionalità positiva – anche fisica – non può esistere nessuna forma di vita.
Questo approccio sarebbe fondamentale anche per uno dei più grandi problemi che abbiamo, che è quello della sostenibilità: se la gente non ha benessere e non ha prospettive, non può pensare alla sostenibilità, che vuol dire “gli altri” e “il futuro”. La gente che non sta bene, ovviamente in modo prioritario pensa a se stessa, ha naturale priorità sugli altri. E l’“adesso” viene prima del “futuro”, così come il “proprio benessere” attuale viene prima della “sostenibilità futura”.
Con gli investimenti cui si è fatto cenno, anche il tema della sostenibilità avrebbe forti chances risolutive.
La pandemia
La pandemia ha creato molti guai: ha interferito su tutte le forme di vita, creando per quasi due anni paralisi e rallentamenti di tutti i tipi, con conseguenze economiche e sociali di grande portata. Nell’ultimo anno le tensioni economiche da pandemia si sono rallentate, e si è ripreso ormai il ritmo di una normalità. Ma sul piano sociale, in ogni caso, i problemi non si stanno più di tanto risolvendo.
In effetti la pandemia ha procurato uno dei più grandi turbamenti mentali della storia. Tutta la nostra vita, in tutte le manifestazioni, è sempre stata il frutto della vicinanza e della relazione fisica.
Dall’inizio della pandemia i nostri comportamenti sono completamente cambiati, e si è ancora molto distanti da un ritorno alla normalità. La “distanza” è la causa. Molta più gente di quanto non sembri ha perso l’equilibrio mentale, ha perso certezze, ha bisogno di aiuto.
Il guaio che si constata è l’assenza di una ricerca di soluzioni che ci riportino a una vera normalità (storica: relazionalità fisica), nonché la mancata adozione di veri rimedi, invece di nuovi adattamenti: il tutto ha provocato rallentamento relazionale, nuovi compromessi adattativi - smart working -, centratura su se stessi, riduzione della comunicazione, paralisi decisionali. L’adozione della distanza favorita dal mondo digitale - a cominciare dallo smart working -, è diventata la norma. Ma dobbiamo renderci conto che la vita, in tutte le sue forme, non può rinunciare alla relazione fisica, alla vicinanza effettiva.
In un primo momento si è ritenuto che uno dei possibili rimedi potesse consistere in una maggiore vicinanza, anche se più virtuale che fisica, data dal sistema economico, attraverso una maggiore assunzione di responsabilità sociale: essere più vicini alla gente, aiutarli nella vita in vario modo, anche sul piano formale attivando una maggiore vicinanza comunicazionale, e sviluppando iniziative di investimento a vantaggio della gente (con ovvi ritorni, peraltro).
Queste logiche relazionali sono sempre più auspicabili, anche tenendo conto della crescita della capacità critica della gente, e dell’esigenza di un’orizzontalità crescente; dovrebbero peraltro essere iniziative attivate in ogni caso, indipendentemente dalla criticità provocata dalla pandemia.
Comunque, per quanto auspicabili e necessarie, non sarebbero sufficienti a risolvere i problemi mentali che si sono innescati. Si ritiene del tutto opportuno che il sistema economico (le aziende), oltre ad assumersi la responsabilità sociale cui si è fatto cenno, faccia di tutto per contribuire in modo vero ed efficace alla soluzione di questi problemi mentali, che nel medio lungo periodo potrebbero portare a guai non facilmente rimediabili.
E la soluzione che promette i ritorni più interessanti alla normalità, in una prospettiva sempre migliorativa, è il favorire massimamente il lavoro in presenza, e l’investire massimamente nella loro formazione.
Il ritorno alla relazione fisica è per certo, da tutti i punti di vista, il rimedio più efficace. E non rinviabile. Ed è una delle componenti più importanti della responsabilità sociale delle imprese.
E l’investimento in formazione sarebbe il completamento di una vera assunzione di responsabilità sociale, perché si fa riferimento a una formazione soprattutto come individuo, e non solo come professionista o lavoratore. E ciò nel rispetto della prospettiva di un migliore work-life balance, che è l’investimento più importante che si possa fare. E i ritorni – anche per le Imprese - sarebbero davvero sorprendenti (positivamente).
Conseguenze della guerra in Ucraina
Il tema è complesso, non solo per i disastri umani e ambientali provocati dalla guerra, e non solo per le conseguenze delle sanzioni, che si sono poi scaricate sulle fonti di energia, sui prezzi, etc. Il tema è complesso perché da tutti i punti di vista è contrario a tutte le forme di vita: umana, sociale, ambientale, economica, politica. Non solo è paralisi, ma è morte in tutti i sensi.
E le tensioni che vengono innescate ci possono perseguitare per un tempo davvero eccessivo.
Ci si chiede il “perché” di tutto questo: e il “perché” sta nel fatto che le due parti in competizione – al di là dei torti e delle ragioni – non hanno la sufficiente cultura per rendersi realmente conto a priori di tutte le possibili conseguenze. E ciò non avviene non solo presso le forze russe, ma anche presso quelle occidentali.
Che la Russia volesse invadere in modo violento l’Ucraina era ben noto a tutti ben prima del febbraio 2022. Ma il mondo occidentale ha purtroppo accettato la sfida, programmando contrapposizioni attraverso gli armamenti forniti all’Ucraina, e sanzioni.
Questa intenzione di innescare la guerra da parte della Russia era nota molto prima. Con alta probabilità c’era il tempo per progettare una soluzione politico-diplomatica di diversa mediazione, con il coinvolgimento ben progettato di tutte le forze mondiali. Una soluzione ben pensata e progettata, che prevedesse anche tutte le conseguenze economiche e relazionali di lungo periodo, coinvolgendo tutti i più grandi Paesi del mondo (dalla Cina in poi).
Perché tutto ciò non è avvenuto? Alla finanza, che comanda, e che gestisce anche la produzione delle armi, non è convenuto? Oppure è conseguenza della poca preparazione sociale dei gestori del potere politico dei vari Paesi? Della loro incapacità di capire che cosa può provocare la contrapposizione, che è solo morte attuale e prospettica, in tutti i sensi.
Il grave sospetto è che siamo tutti governati da persone che non hanno del tutto la cultura per capire che cosa può provocare la negazione della regola basica di tutte le forme di vita, che è la relazione positiva, sempre, e che è sempre fondamentale avere la disponibilità a studiare delle soluzioni di mediazione, e mai di contrapposizione. Si tratta di persone che non hanno in mente il Paese o il Mondo, ma solo interessi personali di breve periodo.
Purtroppo culturalmente questa classe dirigente non è stata formata in questa direzione (che si chiama “vita”, l’unica cosa che abbiamo), così come non sono state formate le persone che li hanno scelti per governare il Paese.
Tutto questo dimostra quanto è progettualmente importante formare tutti gli individui (sia i votanti che i votati), nel modo più evoluto possibile, su quale possa essere il vero senso della vita, e sul fatto che ogni forma di vita – ripetiamo: ogni forma di vita – è sempre il risultato di una relazione positiva, e mai, proprio mai, di una contrapposizione.
di Remo Lucchi, Presidente dell'Advisory board di Eumetra MR