Il progresso scientifico, la ricerca e lo sviluppo sostenibile
L’evoluzione tecnologica sin qui realizzata è stata notevole, ma ha dato minori frutti di quanto promesso. In futuro lo sviluppo sostenibile potrebbe darne di più, anche se l’innovazione probabilmente rallenterà.
di Renato Chahinian
Nella scorsa Newsletter di FUTURAnetwork è apparso un interessante articolo di Tommaso Tautonico, dal titolo “Cosa accadrebbe al futuro se il progresso rallentasse”, il quale illustrava la posizione di alcuni scienziati che ritengono che il progresso intenso e veloce realizzato negli ultimi 200 anni stia rallentando, per la principale ragione che i traguardi più facili sono stati raggiunti e ora ci aspettano sfide sempre più difficili e complesse.
Certamente è giusto quanto da loro affermato, in quanto, arrivati a certi livelli di conoscenze e di patrimonio scientifico cumulato, risulta sempre più difficoltoso progredire. Ma questa considerazione non ci deve intimorire e scoraggiare, pensando che il futuro non possa creare nuovo e maggiore sviluppo nel nostro benessere.
Progresso scientifico, tecnologico e diffusione della produzione innovativa
Nelle trattazioni generali sull’argomento non si fa distinzione tra progresso scientifico, tecnologico e diffusione su larga scala delle innovazioni realizzate, nel presupposto logico che, fatta una certa scoperta o invenzione, questa, dopo breve tempo, si materializzi in beni e servizi che semplificano la vita e quindi creano benessere a tutta la popolazione.
Purtroppo non succede così nella pratica. I passaggi da una fase all’altra di questo processo non sempre avvengono (o si verificano molto parzialmente e con molto ritardo) e alla fine, in generale, solo una minima parte degli interessati riesce in qualche misura a beneficiare consistentemente dei vantaggi offerti dalle soluzioni scientifiche già mature. Ad esempio, basti pensare alle nuove energie rinnovabili[1], già conosciute da oltre una trentina d’anni, sviluppate tecnologicamente da circa un ventennio e rese economicamente convenienti da quasi un decennio: ora sono utilizzate soltanto per meno di un terzo del fabbisogno energetico complessivo nei Paesi avanzati.
Per fornire solo una sintesi delle strozzature che frenano sul piano pratico la diffusione applicativa delle conoscenze scientifiche, è opportuno sottolineare che, in presenza di una nuova scoperta adeguatamente sperimentata e teoricamente collaudata:
- spesso manca o è carente la tecnologia applicativa a valle, per uno scarso interesse scientifico sulle multiformi, ma meno stimolanti, possibilità attuative specifiche;
- i risultati delle applicazioni possono essere protetti da brevetto o comunque tenuti segreti per consentire al proprietario lo sfruttamento esclusivo dell’innovazione, e quindi per inibirne ad altri l’utilizzo. Ma poi, per varie ragioni, spesso non si arriva allo sfruttamento pratico da parte di alcuno, oppure le stesse applicazioni rimangono incompiute per carenza di tecnici interessati agli esiti;
- le applicazioni definitive spesso non trovano un investitore lungimirante in grado di capire l’importanza e l’economicità dell’innovazione stessa e di produrla su larga scala;
- il mercato può essere poco sensibilizzato ai vantaggi della nuova produzione e continuare a preferire il vecchio prodotto, anche se meno conveniente, senza contare il fatto che nel mercato stesso si inseriscono pure beni e servizi falsamente innovativi (per la pubblicità di informazioni distorte o inattendibili).
Pertanto, se la ricerca di base in futuro potrà dare risultati meno disruptive e se comunque dovremmo innalzare gli stanziamenti pubblici e privati perché ora inadeguati, ci possiamo aspettare ugualmente uno sviluppo del benessere, se sapremo mettere a frutto tutti quei benefici potenziali che la ricerca e l’innovazione già presenti ci stanno offrendo e che non abbiamo ancora sfruttato adeguatamente.
Un progresso futuro verso la sostenibilità
A questo punto, non resta che capire come muoverci: possiamo subito notare che è stata già indicata una direzione ben precisa, anche se lo sviluppo sostenibile è un fine ancora lontano dall’essere raggiunto nella sua totalità. Comunque, abbiamo a disposizione tutta una serie di Obiettivi particolari (i Goal dell’Agenda 2030), che possono indicarci come mettere in pratica le scoperte scientifiche correnti e indicare quali scoperte siano maggiormente utili per arrivare al conseguimento di uno sviluppo veramente sostenibile.
Come abbiamo osservato, nel campo ambientale conosciamo già tutte le energie rinnovabili sufficienti per ridurre in misura soddisfacente le emissioni climalteranti e inquinanti: una ricerca più ampia potrebbe aiutarci a perfezionare gli usi di alcune di queste, per ottenere una maggiore varietà di fonti e un ulteriore abbattimento dei costi – ma tutto il resto non dipende dagli scienziati, ma da ognuno di noi. Ogni persona può infatti diventare contemporaneamente:
- produttore di beni e servizi sostenibili, quando lavora per migliorarli;
- consumatore degli stessi, quando li acquista, preferendoli ad altri;
- cittadino, quando partecipa a una vita pubblica e sociale sostenibile.
Con il nostro operato, allora, possiamo realizzare tutte le azioni che mancano per conseguire questo tipo di sviluppo ambientale.
Analogamente, per rendere la biodiversità meno soggetta al depauperamento umano c’è bisogno di un ulteriore approfondimento scientifico. Ma spetta sempre a noi ridurre le azioni che possono compromettere l’equilibrio naturale e, d’altro canto, sforzarci di utilizzare al meglio quello che possiamo ricavare dalla natura disponibile.
Se quindi passiamo agli Obiettivi sociali, dobbiamo constatare che il lavoro dignitoso rappresenta la strategia prioritaria, in quanto, se lo rendiamo possibile a tutti, non abbiamo più bisogno di sconfiggere la povertà, la fame, le disuguaglianze e così via.
Ma il lavoro si fa dentro le organizzazioni (imprese, non profit, enti pubblici) e allora si tratta di organizzare al meglio la produzione in modo che l’apporto di ciascun lavoratore dia un valore aggiunto superiore ai costi aziendali della sua prestazione dignitosa. Ciò è quasi sempre possibile, se si mettono in pratica i modelli di un’economia sostenibile che valorizzi le competenze e l’impegno del capitale umano in un’ottica collaborativa, tenendo ovviamente conto delle attività specifiche di ciascuna organizzazione. In tal modo, non soltanto gli occupati attuali percepiranno un salario dignitoso, ma sorgeranno pure nuove opportunità di lavoro per i disoccupati.
Anche qui le teorie sono già esistenti, e anzi queste innovazioni non tecnologiche sono pure aperte (ossia non soggette a onerosi brevetti): ciò che bisogna vincere, invece, è la resistenza al cambiamento, che naturalmente richiede determinazione e impegno.
Il futuro roseo del progresso
Tornando al discorso iniziale, il progresso scientifico e tecnologico ci ha già dato molto e probabilmente in futuro non potrà darci altrettanto.
Ma il nuovo fine dello sviluppo sostenibile potrà permettere ulteriori traguardi, tesi stavolta al benessere individuale e collettivo e non all’espansione dei profitti e all’accumulo delle ricchezze. A tale scopo, serviranno non tanto nuove dirompenti scoperte scientifiche, quanto impegnative azioni operative (anche di livello eccellente). In questo modo potremo godere di enormi vantaggi pure dalla ricerca passata, e conseguire concretamente un roseo futuro.
Ma se rifiuteremo l’impegno sopra evidenziato, dovremo correre affannosamente verso mete sempre più difficili e complesse, senza poi godere di vantaggi in termini di benessere complessivo.
di Renato Chahinian, consulente in Economia e finanza dello sviluppo sostenibile
[1] Si parla qui di nuove energie rinnovabili, perché l’energia rinnovabile più vecchia è quella idrica, che ovviamente è utilizzata dai tempi più remoti.
fonte dell'immagine di copertina: 123rf/jirsak