Il rinnovo generazionale al centro del rilancio del Paese
Per rilanciare il Paese dopo lo shock subìto con la pandemia di Covid-19 è necessario ripartire da ciò che la demografia mette al centro del cambiamento, ovvero il rinnovo generazionale, sia quantitativo che qualitativo.
di Alessandro Rosina
La demografia ha una sua forte inerzia che da un lato la rende particolarmente informativa nel delineare scenari futuri, d’altro lato, però, è implacabile per chi la ignora e non mette per tempo in atto scelte solide e lungimiranti. Se a cinquant’anni una donna non ha avuto un figlio difficilmente potrà ripensarci e recuperare l’esperienza di diventare madre. E’ molto più facile che essa possa prendere un nuovo diploma, tornare a lavorare o cambiare lavoro. Le stesse condizioni di salute in età anziana dipendono fortemente da stile di vita e comportamenti in età giovanile. Ad esempio l’aspettativa di vita in buona salute a 65 anni è sensibilmente più elevata tra i laureati rispetto a chi ha titolo basso. E’ vero che anche la pensione dipende dalle scelte formative e di carriera passate, ma è più facile pensare ad una integrazione economica su un assegno troppo basso che riparare condizioni di disabilità cronica.
Questo vale anche a livello collettivo. Una popolazione con persistente bassa natalità si troverà con un futuro di accentuato invecchiamento. Ma dato che la natalità passata va a ridurre progressivamente la popolazione in età riproduttiva, diventerà anche sempre più difficile invertire la tendenza per ridurre da oggi in poi gli squilibri prodotti. Questo meccanismo demografico fa ben capire come le scelte poco lungimiranti del passato possano diventare una trappola che depotenzia l’impegno del presente nel costruire un futuro più solido. Come tristemente ben noto, l’Italia è uno dei Paesi che maggiormente hanno lasciato crescere gli squilibri demografici (strettamente interdipendenti con quelli generazionali, di genere e geografici).
Va inoltre precisato che quando la fecondità dei Paesi maturi avanzati rimane posizionata attorno ai due figli per donna, la popolazione smette di crescere, ma mantiene un adeguato equilibrio tra generazioni. Quando, invece, scende molto più sotto, come nel caso italiano, la popolazione anziana continua ad aumentare mentre quella più giovane precipita verso il basso, andando a minare le basi della sostenibilità sociale e della crescita economica. Tutto questo rende ancor più debole un Paese che ha lasciato crescere in passato un enorme debito pubblico, ulteriormente lievitato con l’impatto di Covid-19. Ci sarà, da un lato, sempre più bisogno di risorse per rispondere alle esigenze della popolazione anziana, mentre, d’altro lato, si inaridisce sempre di più la fonte che produce ricchezza nel paese.
Questa carenza di risorse - se non contrastata da una azione politica consapevole e coraggiosa - rende meno generosi gli investimenti su sistema formativo, su welfare attivo, su ricerca, sviluppo e innovazione, alimentando così una spirale di deterioramento quantitativo e qualitativo della presenza e del ruolo delle nuove generazioni. In un mondo sempre più complesso e in rapido cambiamento, il basso impegno di investimento su sistemi avanzati di orientamento scolastico e lavorativo porta a far crescere il numero di giovani che si perdono nella transizione scuola-lavoro. Non è un caso che il nostro Paese si trovi a detenere il poco invidiabile record di Neet (under 35 che non studiano e non lavorano) in Europa. Con gli squilibri demografici creati, con il debito pubblico accumulato, ma anche con la necessità di nuove energie e competenze richieste dall’innovazione tecnologica e dalla green economy, dovremmo formare e impiegare ancor più e meglio le nuove generazioni e non invece renderle più deboli e marginali come finora accaduto.
Per rilanciare il Paese dopo lo shock subìto con la pandemia di Covid-19 è allora necessario ripartire da ciò che la demografia mette al centro del cambiamento, ovvero il rinnovo generazionale, sia quantitativo che qualitativo. Le grandi risorse messe in campo per rispondere all’emergenza devono, in questa prospettiva, diventare anche parte di un progetto di reindirizzamento degli investimenti sulle scelte che accompagnano e rafforzano l’entrata qualificata e la presenza solida dei giovani nei processi di sviluppo sociale ed economico del paese. O sarà anche questa una delle tante scelte mancate che ci troveremo nei prossimi decenni a rimpiangere?
di Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale, Università Cattolica di Milano