Il riconoscimento dei diritti universali di cittadinanza nella società della complessità
La spinta verso un orizzonte condiviso di sostenibilità può arrivare solo da uno sguardo solidale, capace di accompagnarci nel viaggio dall’”Io”, basato sull’individualismo e l’avidità, al riconoscimento di un “Noi”, fondato sulla comune fragilità e l’ascolto.
di Marcella Mallen, presidente dell'ASviS
“Ha cultura chi ha coscienza di sé e del tutto,
chi sente la relazione con tutti gli altri esseri”
Antonio Gramsci (Quaderni dal carcere, 1935)
Il riconoscimento dei diritti umani: un viaggio dall’Io al Noi
In un articolo sul Corriere della sera del 9 febbraio 2022 il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres, ha lanciato un grido d’allarme: “In ogni angolo del mondo, vediamo un’erosione della fiducia e ciò che temo sia l’emergere di un crepuscolo dei valori condivisi. Ingiustizia, disuguaglianza, diffidenza, razzismo e discriminazione stanno gettando ombre scure su ogni società. Dobbiamo ripristinare dignità umana e decenza e fornire risposte alle ansie della gente di fronte alle crescenti minacce interconnesse, alle enormi sofferenze umane e ai rischi condivisi. Abbiamo l’obbligo di alzare la voce e agire per spegnere l’incendio.
Il legame tra la dignità e il principio di uguaglianza contro ogni discriminazione costituisce il cardine del moderno diritto giuridico. Va in proposito ricordato che, nonostante l’idea di diritti umani risalga a tempi antichi, il concetto moderno dei diritti è emerso soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale con l’adozione della Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 da parte delle Nazioni Unite. “Mai più”, era allora la consegna. Gli orrori della Seconda Guerra Mondiale resero necessaria la creazione di uno strumento in grado di salvaguardare i diritti fondamentali e la dignità di ciascun individuo. Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la solo ragione di essere al mondo. Per la prima volta nella storia dell’umanità un documento riguardava tutte le persone del mondo, senza distinzione «di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione».
La Dichiarazione universale dei diritti umani, pur non essendo uno strumento giuridicamente vincolante, svolse subito un ruolo di grande autorità morale, costituendo il modello per l’adozione dei successivi trattati a livello nazionale e internazionale, contribuendo in maniera decisiva all’evoluzione del diritto internazionale contemporaneo.
Siamo, tuttavia, costretti a prendere atto della distanza che persiste tra enunciazioni di principio e comportamenti concreti nella prassi. Una consapevolezza che ci riporta a quanto sui diritti scriveva Norberto Bobbio: “i diritti dell’uomo, per fondamentali che siano, sono diritti storici, cioè nati in certe circostanze, contrassegnate da lotte per la difesa di nuove libertà contro vecchi poteri, gradualmente, non tutti in una volta e non una volta per sempre”[1]
Come dire che non basta dichiarare l’universalità dei diritti, serve prendersene cura attraverso un’opera di salvaguardia e manutenzione costante, anche ingaggiando battaglie sociali per conquistare diritti negati e impegnandosi, giorno dopo giorno, per affermare nelle nostre società il concetto della piena cittadinanza.
«Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità». Sono le parole di Eleanor Roosevelt, l’ispiratrice della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, a sottolineare che i diritti umani non rappresentano un ideale astratto, ma riguardano la vita reale e quotidiana di ogni essere umano, la famiglia, gli affetti, le relazioni, il lavoro. Conoscerli e sapere come, eventualmente, difenderli è qualcosa che ci tocca concretamente e da vicino.
La pandemia, in questo senso, ci ha colpito molto da vicino, limitando l’esercizio delle nostre libertà fondamentali e minando diritti quali la salute, lo studio, il lavoro, la vita di relazione in generale, per lasciare profondi segni di sofferenza e disagio in tutta la società, soprattutto nei bambini e negli adolescenti. La pandemia ha, inoltre, alimentato la forbice della disuguaglianza, che è aumentata in quasi tutti i Paesi del mondo, facendo venire al pettine anche nel nostro Paese gli squilibri territoriali, generazionali e di genere che affondano le ragioni in condizioni precedenti.
Nel mondo è emersa l’urgenza di ripensare il rapporto tra mercato, comunità, beni privati, beni pubblici e beni comuni, ed è accresciuta l’attenzione verso la sostenibilità. Ribadendo quella novità introdotta dall’Agenda 2030 dell’Onu in cui, per la prima volta, è stato espresso unchiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale.
Ripensare i modelli di sviluppo sembra oggi diventata per tutti una priorità strategica. Come fare? Ristrutturare il pensiero, costruire una nuova conoscenza può avere inizio proprio dalla perdita dell’illusione di onnipotenza che abbiamo elaborato durante quel grande esperimento sociale che è stata la pandemia.
Abbiamo compreso di essere vulnerabili, ma al tempo stesso abbiamo scoperto di saper essere resilienti, capaci di reagire in maniera positiva ad uno shock senza precedenti e, soprattutto, ci siamo riconosciuti parte di una “comunità di destino”, che ci lega gli uni agli altri. Nel momento del distanziamento sociale abbiamo preso coscienza dell’importanza della relazionalità e della solidarietà.
La solidarietà e il rispetto della dignità umana sono i valori alla base del funzionamento di ogni democrazia, i principi contemplati espressamente dalle norme internazionali e nazionali. Pensare e agire in modo solidale è oggi quanto mai significativo, dal momento che la società umana sta mostrando tutti i suoi limiti: del sistema economico, degli assetti sociali, ingiusti e diseguali, dello sfruttamento delle risorse naturali
Per affrontarli dobbiamo realizzare una giusta transizione verso un orizzonte condiviso di sostenibilità. La più grande sfida sarà la lotta ai cambiamenti climatici, questione che riguarda l’ambiente, l’economia e il funzionamento delle nostre società. Allo stesso tempo, siamo chiamati a risolvere le disuguaglianze sociali acuite dalla pandemia che nel mondo ha provocato un aumento della povertà estrema e dell’insicurezza alimentare, ponendo in primo piano il tema dell’equità nella distribuzione della ricchezza.
Ma se, da un lato, la consapevolezza circa l’urgenza di approdare ad un nuovo equilibrio planetario appare ormai diffusa, dall’altro ciò che ancora manca sono la visione e il coraggio per coinvolgere a livello sistemico il più grande numero di individui. La spinta può arrivare solo da uno sguardo solidale, capace di accompagnarci nel viaggio dall’”Io”, basato sull’individualismo, l’avidità, la velocità e la crescita fine a sé stessa, al riconoscimento di un “Noi”, fondato sulla comune fragilità e l’ascolto.
Nella consapevolezza che “L’individualismo radicale è il virus da sconfiggere nel futuro” (FT 105), come ci ha ricordato Papa Francesco nell’ultima Enciclica Fratelli Tutti.
Sotto questo profilo, una bussola per orientare le giovani generazioni è costituita dai principi e valori posti alla base dell’Anno europeo della gioventù 2022, che presenta tra le missioni di investimento quella del “Corpo Europeo di Solidarietà”, piattaforma di aggregazione giovanile nata con l'obiettivo di costruire una società più inclusiva, prestare aiuto a persone vulnerabili e rispondere ai problemi sociali.
Il riconoscimento dell’interesse delle future generazioni
Nella mitologia, a differenza di Narciso, Telemaco simboleggia il modello di figlio che sa entrare in rapporto con il proprio passato, per riconquistare l’eredità del padre, senza che questi diventi un culto o qualcosa di immutabile o dogmatico. A differenza del figlio di Ulisse, noi non ereditiamo un regno, ma la speranza che il mondo migliori, che la società promuova la crescita dei valori e lo sviluppo della creatività di ognuno, dando a tutti le stesse possibilità. La lezione di Telemaco sta in quell’atto di riconoscimento, di amore, di fiducia nella generazione che ci precede, in quella capacità di ereditare nel modo “giusto” la “ricchezza” dai padri. Quindi non oblio, non rottura con il passato, ma trasmissione di valori e passioni. [2]
Un atteggiamento di fiducia e di solidarietà tra le generazioni che oggi trova piena dignità con la recente approvazione di alcune modifiche della Costituzione, volte ad introdurre la giustizia intergenerazionale tra i diritti costituzionali.[3]
Il riconoscimento dell’interesse delle future generazioni tra i princìpi fondamentali della Repubblica è una straordinaria novità, in quanto coglie esattamente il senso di ciò che si intende quando si parla di «sviluppo sostenibile», cioè di quel tipo di sviluppo che permette all’attuale generazione di soddisfare i propri bisogni senza compromettere alle future generazioni di fare altrettanto. Si realizza finalmente una delle proposte chiave formulate fin dalla nascita dall’ASviS, sei anni fa, agli inizi del suo grande lavoro collaborativo per raggiungere in Italia gli Obiettivi di sostenibilità indicati dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Un passaggio di civiltà che accelera il percorso del Paese sulla strada di una transizione che può essere ecologica nel vero senso della parola, facendo prevalere le esigenze della biosfera nel tempo su quelle del profitto a breve termine.
Un passaggio culturale che ci coinvolge tutti, ribadendo il legame virtuoso che unisce le generazioni una all’altra, in quella catena evolutiva che ha portato l’uomo fino ad oggi, traendo valore dalle differenze generazionali. Oltre a sancire la responsabilità di ogni generazione a non dissipare le risorse del pianeta ma, al contrario, preservarle e valorizzarle per restituirle alla generazione successiva in modo che questa possa goderne almeno in egual misura.
Un passaggio storico che avviene nel momento in cui la pandemia ha contribuito a suscitare una nuova attenzione per le giovani generazioni, sia nel discorso pubblico che nella politica, anche in raccordo alle strategie per definire gli obiettivi di ripresa e resilienza.
Un risultato molto importante per il Paese e per il futuro, che contiene una visione lungimirante di benessere su persone ed ecosistemi, cui dovrà seguire una fase che impegnerà non solo le istituzioni ma tutta la società civile. Tenendo presente che per ridare fiducia ai giovani, troppo spesso precarizzati e confinati in “periferie esistenziali”, occorre in primo luogo investire, fin dalla prima infanzia, in un’educazione in grado di far crescere una nuova generazione di cittadini responsabili, attenti al bene comune, aperti al mondo delle relazioni umane.
Una sfida educativa che, dal canto suo, non potrà fare a meno di promuovere e valorizzare il dialogo tra le generazioni, attraverso uno scambio vivace di esperienze, conoscenze, entusiasmi e passioni, in grado di rigenerare la solidarietà e di riaccendere nei giovani il desiderio di un futuro generativo.[4]
Abbiamo davanti un lavoro enorme e di lungo periodo, che appare legittimato non solo dalla Costituzione ma anche dal diffuso cambiamento dell’opinione pubblica.
La buona notizia è che, mentre il paradigma dell’egoismo che ci ha portato nell’Antropocene traballa, la Costituzione si consolida, al passo con i tempi, aggiornando la vitalità della nostra cittadinanza.
* Sintesi dell’articolo che sarà pubblicato sulla rivista “Le nuove frontiere della scuola”, periodico quadrimestrale di cultura pedagogia e didattica edito da La Medusa editore.
[1] Norberto Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, 1990.
[2] La riflessione sul rapporto tra generazioni e sulla possibilità di trasmissione del “desiderio” e del “senso” da una generazione all’altra sono riprese dal volume a cura di G. Alessandrini e M. Mallen, Diversity management Genere e generazioni per una sostenibilità resiliente, Armando Editore, 2020.
[3] La riforma approvata dalla Camera dei Deputati l’8 febbraio prevede che nell’articolo 9, tra i principi fondamentali, vengano introdotti la tutela di ambiente, biodiversità ed ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. Si attribuisce inoltre alla legge dello Stato la disciplina dei modi e delle forme di tutela degli animali. Nell’articolo 41 si afferma che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana, alla salute.
[4] Molte considerazioni qui espresse hanno trovato motivo di ispirazione nei contributi contenuti nel saggio “Pandemia e generatività. Bambini e adolescenti ai tempi del Covid” della Consulta scientifica del Cortile dei Gentili, CNR Edizioni, 2021.