Decidiamo oggi per un domani sostenibile

Portiamo all’attenzione politica la riflessione sull’Italia del 2050

La tendenza a un’Italia più vecchia, meno popolata e più povera deve essere corretta con una vasta gamma di interventi. Necessario anche ripensare il ruolo degli anziani, perché continuino a contribuire al bene comune.

di Donato Speroni 

L’evento “Giovani e anziani nell’Italia del 2050” promosso da Futuranetwork e svoltosi l’11 ottobre nell’ambito del Festival dello sviluppo sostenibile, non voleva essere solo un momento di discussione, ma delineare anche delle linee di azione per far fronte alla prospettiva di un Paese che potrebbe cambiare profondamente, con gravi squilibri economici e sociali. Il demografo Alessandro Rosina ha presentato un quadro allarmante, che corrisponde a quanto segnalato da tempo dal presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ed anche da altri esperti come Massimo Livi Bacci, senza peraltro trovare un significativo riscontro nella dirigenza politica: il calo della popolazione a causa della bassa natalità è più accentuato rispetto alle precedenti proiezioni, e fa prevedere una popolazione più ridotta, più anziana e meno capace di produrre reddito.

Nel corso dell’incontro sono state avanzate varie proposte per correggere questa situazione. La prima è certamente quella di favorire la natalità con politiche adeguate per la famiglia. È un tema che si lega strettamente a quello della condizione giovanile. Molte coppie che hanno un solo figlio dichiarano che vorrebbero una famiglia più numerosa se potessero permettersela. È necessario affrontare il problema della disoccupazione giovanile, non solo in termini numerici, ma anche favorendo la stabilità dei posti di lavoro per consentire alle famiglie di formarsi senza aspettare quando ormai è troppo tardi per fare più di un figlio. Anche le politiche di conciliazione casa – lavoro (asili nido, orari flessibili e altro) sono indispensabili per favorire il lavoro femminile, perché molte indagini dimostrano che è più facile creare una famiglia se in casa entrano due stipendi e che quindi il lavoro femminile, se adeguatamente tutelato, è un incentivo e non un ostacolo alla procreazione. L’Italia del resto è tra i Paesi europei con il più basso tasso di occupazione femminile e l’aumento delle opportunità di lavoro per le donne è sicuramente un cardine di una politica che affronti le difficoltà demografiche del futuro. Così come è importante ridurre l’esodo dei giovani italiani che sono costretti a cercare migliori opportunità di lavoro all’estero, o comunque favorirne il rientro dopo questa esperienza.

Per quanto si possa fare, però, l’aumento della fecondità degli italiani non risolverà il problema. Per mantenere la popolazione allo stesso livello, ogni donna fertile (escluse cioè quelle che non possono o non vogliono avere figli) dovrebbe fare tre figli. È evidente che siamo ben lontani da questo obiettivo e difficilmente ci si ritornerà.

Si pone pertanto il grande tema della immigrazione.  La stima dei demografi è che per mantenere la popolazione allo stesso livello attuale (attorno ai 60 milioni) sarebbe necessario accogliere stabilmente ogni anno circa 300mila immigrati. È evidente però che questa valutazione pone una montagna di problemi. Presuppone innanzitutto una economia in costante espansione, in grado di offrire lavoro a tutti. D’altra parte l’afflusso di nuova manodopera è condizione necessaria perché questo sviluppo abbia luogo. È anche necessario che questi immigrati siano accolti “bene”, con politiche di integrazione per favorirne la permanenza. Se guardiamo la situazione attuale del Paese, con almeno cinquecentomila migranti irregolari che vivono di espedienti, vediamo che siamo ben lontani da questo obiettivo. Infine non possiamo nasconderci il grande problema politico che una immigrazione così massiccia potrebbe porre, con reazioni di paura, xenofobia e chiusura.

In ogni caso, l’Italia avrà una popolazione anziana più numerosa e a questo tema è stata dedicata una parte importante del convegno di Futuranetwork. Ma chi dobbiamo considerare “anziano”? L’evoluzione delle condizioni di salute consente di spostare questa soglia dai 65 ai 75 anni, si è detto nell’incontro. È probabile che in prospettiva l’età pensionabile dovrà spostarsi in avanti, tranne che per i lavori usuranti, anche per tutelare gli equilibri previdenziali. Ma sarà anche necessario ripensare il rapporto tra il tempo di lavoro e il tempo del pensionamento. Si dovranno introdurre formule più elastiche, che consentano una uscita graduale dal mondo del lavoro, con possibilità di impiego part time per i lavoratori anziani. E l’allungamento dei tempi di lavoro, in un contesto in continua evoluzione, pone anche un problema di formazione continua per evitare che dopo venti o trent’anni che si fa lo stesso lavoro si finisca fuori mercato a causa dell’evoluzione tecnologica.

Leggiamo spesso che gli anziani hanno un grande potere elettorale, e che costituiscono una formidabile massa di consumatori, ma in realtà alla condizione degli anziani non si dedica abbastanza attenzione. Neanche da parte della Chiesa, ha detto Monsignor Vincenzo Paglia: basti pensare a quanto ci si dedica (giustamente) ai primi trent’anni di vita, con scuole di ogni ordine e grado, e quanto poco si fa invece per gli ultimi decenni. Il problema non si risolve chiudendo gli anziani nelle Rsa, ha detto Paglia, che per conto del governo ha presieduto una Commissione di studio sulla situazione degli anziani e ha presentato al presidente del consiglio Mario Draghi una “Carta dei diritti degli anziani e dei doveri della società”. . Bisogna consentire agli anziani di rimanere a casa loro, nel contesto nel quale hanno sempre vissuto.

C’è anche un altro aspetto importante, affrontato in numerosi articoli su Futuranetwork in preparazione del convegno: anche dopo essersi ritirati dal lavoro, gli anziani possono continuare a dare un importante contributo alla società. In particolare nel rapporto con gli enti locali, come ha sottolineato nell’incontro Roberto Mazzotta, mettendo a disposizione del territorio le loro competenze. Su questo punto è necessario sviluppare una iniziativa alla quale l’ASviS potrebbe dare il proprio contributo.

Anziani – giovani – territorio. Su questi tre punti è necessario costruire una politica che guardi al futuro. La sostenibilità, lo diciamo da tempo, si sostanzia nella tutela intergenerazionale, nell’impegno a non lasciare alle successive generazioni un Pianeta e una condizione umana degradata. Questo è il compito che le generazioni più anziane devono dimostrare di saper affrontare, correggendo drasticamente i comportamenti del passato; ma anche i giovani non possono stare a guardare e devono essere partecipi di questo cambiamento, stimolandolo nelle piazze ma anche con proposte concrete. La politica internazionale e nazionale ha un grande ruolo, ma una parte importante di questa partita si giocherà sul territorio, nelle mille realtà nelle quali si deve sperimentare un nuovo equilibrio tra le generazioni, valorizzando al meglio l’apporto di tutti e senza lasciare nessuno indietro, come indica l’Agenda 2030 dell’Onu.

di Donato Speroni

lunedì 18 ottobre 2021