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Molinari: c’è un futuro importante per i media di qualità

Il mondo dell’informazione sta cambiando rapidamente, dice il direttore di Repubblica. Le soluzioni di successo comportano una diversa organizzazione del lavoro e nuove figure professionali. Ma ci sarà sempre spazio per il giornalismo d’inchiesta.  

di William Valentini

Nella crisi del giornalismo che investe i Paesi più sviluppati, in futuro ci sarà ancora spazio per l’informazione di qualità. Ne è convinto Maurizio Molinari, direttore di Repubblica, che è stato intervistato da Giancarlo Loquenzi in una puntata del podcast di Radio Uno Bloc notes dedicata al futuro dei media e dell’informazione.

Secondo Molinari, infatti, stiamo costruendo già oggi il giornalismo di domani. Una rivoluzione digitale iniziata tra il 2012 e il 2016 negli Usa, arrivata in Europa a partire dal 2018. Giornali e giornalisti di Svezia, Svizzera, Danimarca, Gran Bretagna, Francia, Germania e, in un secondo momento, anche dell’Italia, stanno infatti mettendo a punto nuovi metodi di lavoro. Le redazioni sono organizzate secondo nuove forme, con l’inserimento di nuove professionalità per realizzare prodotti giornalistici innovativi. “Il futuro è già iniziato e ci vuole grande flessibilità” da parte dei giornalisti nel seguire questa nuova strada, prosegue Molinari.

L’idea di fondo, secondo il direttore di Repubblica, rimane quello di non confondere i contenuti con le piattaforme sulle quali vengono pubblicati. Podcast, social, scrittura digitale: ognuno di questi è una piattaforma diversa. Per il giornale, questo si traduce in una nuova organizzazione del lavoro e in una nuova tecnica di produzione dei contenuti, al quale devono contribuire nuove figure professionali. Occorre quindi una riforma del contratto giornalistico, che deve essere aperto anche a professionisti che svolgono mansioni diverse dal giornalismo tradizionale, sempre più necessarie per fornire contenuti adatti agli utenti in base alle loro esigenze e, soprattutto, in base al device attraverso il quale usufruiscono delle informazioni.

Un modello di business che sul piano economico in alcuni casi sta dando ottimi risultati. Gli esempi più virtuosi sono il New York Times, il Wall street journal e Dagens Nyheter (DN), il più importante giornale svedese, che si finanziano principalmente con gli abbonamenti on line, rispetto alle vendite di copie cartacee. realizzando una organizzazione giornalistica più efficiente. Questi casi, per quanto isolati, sono un esempio verso i quali tendono altri giornali. Uno tra questi è Le Monde che, al momento, conta circa 200 mila abbonamenti. L’obiettivo del quotidiano francese è di raggiungerne mezzo milione, che garantirebbero al giornale la piena autosufficienza finanziaria, necessaria per continuare la pubblicazione.

Tuttavia, l’operazione più complessa rimane la riorganizzazione interna della redazione: per sostenersi economicamente attraverso gli abbonamenti digitali occorre posizionare i migliori contenuti sul digitale. Per riuscirci occorrono analisti che, analizzando il traffico sulle pagine dei giornali, dicano che cosa gli utenti vogliono, in modo da profilare su di loro i contenuti digitali. Un processo impossibile senza l’uso dell’intelligenza artificiale, che diventa la vera base su cui poggiano le imprese giornalistiche.

Alcuni giornali hanno compiuto un ulteriore passo: per esempio, il canadese The Globe and Mail già usa algoritmi per produrre articoli generalisti, pesare e impaginare le notizie più importanti; insomma, sbrigare il lavoro di routine. Al contrario, i giornalisti hanno la possibilità di realizzare inchieste, reportage e interviste. In altre parole, “La riorganizzazione digitale non significa rinunciare al vecchio modo di fare i giornalisti, ma esattamente il contrario” proprio perché rimette al centro il valore aggiunto che possono dare solo i giornalisti in carne e ossa. La digitalizzazione, dunque, è un’operazione che permette di ampliare l’audience per i contenuti di qualità, che vengono riposizionati su internet, spiega Molinari,

L’idea secondo la quale così facendo ci sarebbe un abbassamento della qualità degli articoli sarebbe smentita dai fatti. Il direttore di Repubblica ha infatti spiegato che “Ogni giorno dai sei agli otto milioni di utenti unici visitano il sito (del giornale). Durante il weekend delle elezioni americane ci sono stati in media 12 milioni di utenti unici. In Italia, dunque, c’è una parte di cittadini che si vuole informare in maniera approfondita”.  Il successo di un giornale si misurerebbe così in termini di consumo dei contenuti e non tanto di numero di lettori.

Infine, per controbattere a chi teme che questa ricerca di contatti si traduca in una banalizzazione delle news, il direttore di Repubblica ricorda che il giornalismo tradizionale di qualità, sul modello anglosassone, è il prodotto migliore che si può offrire e che chi fa questa scelta viene gratificato anche dai risultati economici. “I lettori che cercano qualità leggono molto” e questo attiva un percorso virtuoso che fa crescere le inserzioni pubblicitarie e dà speranza agli editori, affaticati dalle poche copie che vendono i vecchi giornali.

Riascolta il podcast

di Wiliam Valentini 

domenica 19 settembre 2021