Pnrr e lauree: il punto sulla riforma delle abilitazioni professionali
La pandemia ha avuto un forte impatto sugli esami di abilitazione e il Pnrr sembra prenderne atto. Ma come siamo arrivati a questo punto e in che direzione va la riforma degli esami di abilitazione? Proviamo a fare chiarezza.
di Caterina Bortolaso, Kiran Chaudhuri, Irene Pollini e Francesca Trombetta
Con la presentazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, le abilitazioni professionali sono tornate al centro del dibattito pubblico. Il tema, da tempo controverso, era già emerso nel 2020 per ragioni legate all’emergenza Covid, prima in riferimento ai laureandi in medicina, per i quali è stata vagliata l’ipotesi della laurea abilitante, poi rispetto alle altre professioni, alla luce della difficoltà di svolgimento degli esami nel rispetto della normative anti-contagio.
Ciò premesso, occorre innanzitutto fare chiarezza sui concetti di abilitazione professionale e di laurea abilitante. Per abilitazione professionale, che solitamente richiede il superamento di un esame di Stato, si intende l’autorizzazione a svolgere una determinata professione tramite l’iscrizione ad un ordine professionale, ossia l’associazione di categoria che vigila sull’operato dei suoi iscritti e ne garantisce la qualità delle prestazioni. A ciò si contrappone il concetto di laurea abilitante, tornato alla ribalta durante la pandemia, quale mezzo per velocizzare l’accesso alle professioni sanitarie. In questo caso, il solo fatto di conseguire il titolo al termine del proprio percorso di studi abilita allo svolgimento della professione.
Sono svariate le professioni che richiedono l’abilitazione, tra cui tutte quelle attinenti all’area sanitaria, e molte libere professioni, come gli avvocati, gli psicologi, gli ingegneri, gli architetti, i commercialisti e numerosi profili di tipo tecnico. Non per tutte, tuttavia, è previsto anche un tirocinio formativo precedente all’esame di stato. Abilitazione e tirocinio post laurea di 18 mesi costituiscono, per esempio, l’iter per ottenere la qualifica di avvocato. Per quanto soggette a regole uniformi su tutto il territorio nazionale, le modalità di svolgimento della pratica forense e le condizioni di accesso all’esame di stato variano in base alle regole stabilite da ciascun ordine locale. L’esame deve essere sostenuto nel distretto di Corte d’Appello in cui si è svolta la maggior parte della pratica obbligatoria, ma prove, modalità e criteri sono gli stessi in ogni sede. Del resto, ciò non vale per tutti gli esami di abilitazione: alcuni, come l’abilitazione alla professione di ingegnere o di architetto, offrono la possibilità di scegliere la sede presso cui sostenere l’esame e i contenuti delle prove variano a seconda della sede scelta.
Per le libere professioni, la modalità di esame generalmente prescelta, fino all’emergenza Covid, era quella di una prova scritta seguita da un’eventuale prova orale, considerate come un unicum ai fini del superamento dell’esame. Tuttavia, frequenza di svolgimento delle prove, tempi e modalità di correzione delle stesse variano notevolmente tra le diverse professioni. Nell’esame annuale di avvocato, per esempio, i tempi di correzione delle prove scritte potevano dilatarsi al punto da dare luogo al fenomeno del cosiddetto “scritto cautelativo”: il candidato, chiamato a sostenere l’esame orale dopo la data di inizio della sessione d’esame successiva, sosteneva “cautelativamente” anche questo secondo appello, al solo scopo di garantirsi un’altra chance in caso di bocciatura all’orale.
Le modalità e, talvolta, l’utilità stessa degli esami di abilitazione sono da tempo fortemente dibattute. Sono diversi gli argomenti di chi critica gli esami abilitanti: questi sarebbero infatti anacronistici ostacoli all’accesso alla professione per migliaia di giovani laureati, spinti a investire in costosi corsi di preparazione, o al contrario mere formalità previste al solo scopo di rimpinguare le casse degli ordini professionali. Peraltro, la necessità di riformare il sistema delle abilitazioni era un’esigenza sentita anche da alcuni ordini professionali, tra i quali l’ordine degli avvocati, che, tuttavia, non è mai riuscito a dare seguito alla piena applicazione della pur esistente riforma delle modalità di accesso alla professione.
L’emergenza sanitaria avrebbe potuto costituire l’occasione per affrontare criticità emerse e discusse da tempo. Al contrario, tuttavia, gli interventi di regolamentazione predisposti sembrano aver ingenerato una disparità di trattamento tra le diverse categorie professionali. Se da un lato, complice anche la necessità di gestire al meglio la crisi pandemica, si è optato per la laurea abilitante delle professioni sanitarie, dall’altro lato non vi è stato un ripensamento del generale sistema delle abilitazioni alla professione. La maggior parte di queste ha ridefinito le modalità di esame in via emergenziale, prevedendo esclusivamente un orale per le sessioni 2020 e 2021. Per altre invece si sono accumulati notevoli ritardi, lasciando nell’incertezza i candidati. Il caso dell’esame di abilitazione alla professione forense è emblematico: dopo numerosi tentennamenti, le prove scritte, inizialmente previste per dicembre 2020, sono state sostituite da una prova orale e rinviate a maggio 2021.
Nelle ultime settimane, si è discusso del progetto di riforma delle lauree abilitanti contenuta nel Pnrr, il quale ha ripreso la proposta del ministro uscente Manfredi di includere il tirocinio formativo all’interno del percorso di laurea e di valorizzare l’esame finale come titolo per l’accesso alla professione. Tuttavia, nonostante il richiamo alla generalità delle professioni, con le parole del sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto è stato precisato che avvocati, ingegneri, notai e commercialisti saranno esclusi dalla riforma.
di Caterina Bortolaso, Kiran Chaudhuri, Irene Pollini e Francesca Trombetta di AssembraMenti per la Rete Giovani 2021