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La vela moderna: dallo studio degli oceani alla ricerca della velocità

Negli ultimi mesi il mondo della vela sportiva sta vivendo due eventi che tracciano forse un confine definitivo nel modo di sfruttare il vento per spostarsi sull'acqua: la Vendèe Globe, la regata in solitaria intorno al mondo, senza scalo né assistenza, e l'America's Cup.

di Sebastiano Alemanno

La Vendèe Globe non si può considerare solo come una regata. Affrontare il giro del mondo partendo dalle coste atlantiche francesi e, attraversando l'equatore, percorrere l'Oceano Indiano e il Pacifico, per doppiare il Capo Horn e quindi risalire verso la Francia, in un viaggio che si è ridotto ormai a meno di 80 giorni, è un progetto che richiede anni di sviluppo. L'edizione di quest'anno ha visto la partecipazione di 33 barche, e più della metà di queste avevano caratteristiche tecniche molto innovative, ma non solo.

Alcuni team sono impegnati nel supporto ad attività di ricerca di enti e fondazioni che si occupano dello studio degli Oceani. Infatti le rotte seguite dai partecipanti sono al di fuori delle normali rotte commerciali, e attraversano aree oceaniche che difficilmente potrebbero essere raggiunte con altri mezzi. Questo consente di portare in queste aree degli strumenti di misurazione in grado di raccogliere o trasmettere dati fondamentali per lo studio dell'ambiente marino. Gli skipper accettano la 'penalizzazione' dovuta al trasporto e alla gestione degli strumenti, per fornire nuovi dati alla comunità dei ricercatori.

Tre imbarcazioni erano dotate di sensori per misurare salinità e temperatura in superficie, e il tenore di CO2. Ogni giorno i dati raggiungevano le istituzioni che si occupano di verificarli e validarli (IOC/Unesco, OceanOPS, Ifremer, Geomar e il Max Planck Institute) prima di metterli a disposizione della comunità scientifica internazionale in “open data”.

Sette imbarcazioni hanno depositato delle boe meteo gestite da Meteo France, che misurano anche la pressione atmosferica e le correnti di superficie, e inviano rilevazioni molto precise all’Organizzazione meteorologica mondiale, che mette a disposizione i dati gratuitamente.

Alcuni hanno trasportato dei transponder flottanti (dispositivi di 1,70 mt per 20 kg di peso) in grado di immergersi a profondità prestabilite per raccogliere dati, e riemergere periodicamente per trasmetterli a sistemi satellitari. Altre iniziative riguardavano lo studio del plankton (https://planktonplanet.org/) e la raccolta di microplastiche tramite un sistema di filtri con manutenzione giornaliera.

La navigazione senza scalo per un periodo così lungo richiede che tutto ciò che possa occorrere allo skipper deve essere a bordo alla partenza, dal cibo alla attrezzatura necessaria per eventuali riparazioni. Il regolamento della gara prevede inoltre che i regatanti non possano gettare rifiuti in mare, e qualsiasi scarto deve essere riportato a terra.

Anche per l'energia elettrica necessaria al funzionamento della strumentazione e della barca, le imbarcazioni devono essere totalmente autonome. Per questo sono stati sviluppati sistemi idrodinamici di produzione di energia elettrica particolarmente efficienti, e molte imbarcazioni utilizzano speciali pannelli solari sulla coperta, che devono essere calpestabili e resistenti all'ambiente oceanico.

Chi segue la vela sporadicamente rimane sorpreso dagli "oggetti" che oggi solcano il mare, e il motivo è lo sviluppo di sistemi che sono in grado di sfruttare in modo molto più efficiente la forza del vento e la densità dell'acqua. Il concetto di base è molto semplice: ridurre l'attrito dovuto allo scorrimento nell'acqua, moltiplicando così l'efficienza della forza propulsiva delle vele. La realizzazione è ben più complessa.

Per ridurre la resistenza la via più breve è ridurre la superficie a contatto con l'acqua, ma senza perdere la possibilità di bilanciare la forza del vento sulle vele. La risposta è il sollevamento dello scafo grazie a delle 'pinne' (foil) la cui forma produce una spinta verso l'alto, come quelle utilizzate negli aliscafi.

Nel 2012 sono apparsi i primi catamarani che utilizzavano al posto delle derive delle appendici a forma di L che consentivano al catamarano di 'sollevarsi in volo', e che vennero poi utilizzati per la prima volta nella 34° America's Cup nel 2013 a S.Francisco.

Nella Vendèe Globe non era possibile utilizzare imbarcazioni così estreme, e che richiedono un equipaggio relativamente numeroso: lo skipper deve poter condurre la barca da solo. Le dimensioni devono quindi essere gestibili da un solo skipper, devono consentire di affrontare le situazioni meteorologiche più disparate, dalla bonaccia a vere tempeste con venti ad oltre 100 km/h e onde di 4-5 metri, e devono rimanere manovrabili in tali condizioni, continuando a sfruttare i venti nel modo più efficiente. La classe velica per questa avventura prevede quindi l'utilizzo di monoscafi di 60 piedi (18,28 mt), con alberi di 29 mt.

Per i monoscafi utilizzati in questa competizione sono comparsi dei foils per la prima volta nell'edizione di quattro anni fa, e in quella di quest'anno più della metà delle barche li utilizzavano. In questo caso i foils non sollevano completamente lo scafo, ma consentono di aumentare le velocità di navigazione nelle andature con vento a favore, raggiungendo stabilmente velocità superiori ai 50 km/h. Sono prestazioni in mare aperto che non potrebbero essere raggiunte con facilità da barche a motore, e certamente non senza un grande dispendio di energia motrice per alimentare un motore termico.

L'aumento delle velocità di punta e medie di queste imbarcazioni ha richiesto lo studio e la realizzazione di dispositivi in grado di rilevare con grande anticipo la presenza di ostacoli in acqua. Infatti la principale causa di incidenti e rotture a bordo, al di fuori di condizioni straordinarie di vento ed onde, sono gli impatti con oggetti galleggianti a pelo d'acqua (relitti, materiale da pesca) o con grandi animali marini. Alcuni di essi, infatti, sono attirati dal passaggio delle imbarcazioni in superficie.

Questi dispositivi sono in grado di intercettare i corpi più grandi -a partire da circa 4 metri quadri- in un raggio di circa 600 mt dalla barca, e quelli più piccoli -circa un metro quadro- a circa 150 mt, utilizzando telecamere posizionate in testa d'albero, e sensori di temperatura.

Qualche barca disponeva anche di dissuasori acustici posti sotto la chiglia, con sistemi derivati da quelli utilizzati dai pescherecci per evitare che alcuni cetacei, come i delfini, si possano impigliare nelle reti.

Nella 36° edizione di Coppa America, che si è svolta quest'anno nella nazione del detentore, in Nuova Zelanda, ha visto la luce una classe velica con monoscafi di 23 mt dotati di foils. In questa manifestazione l’obiettivo principale è il raggiungimento della massima efficienza e velocità all’interno di un campo di regata dove gli sfidanti si affrontano in regate di due imbarcazioni ad eliminazione diretta (match-race).

A parità di lunghezza, il peso di queste 'barche' è passato dalle 24 tonnellate dell'ultimo monoscafo di Coppa America - Alinghi nel 2010 - a meno di sette tonnellate: non c'è più la chiglia, con il peso del suo bulbo (19 tonnellate), che serviva a bilanciare l'enorme superficie velica. Il bilanciamento oggi si ottiene dinamicamente tramite i foils, e, sollevando completamente lo scafo dall'acqua, in regata si raggiungono velocità multiple rispetto alla velocità del vento, anche andando di bolina, cioè risalendo in direzione della provenienza del vento.

Tipicamente si raggiungono di bolina velocità pari a 2-2,5 volte quella del vento, e nelle andature con vento a favore la moltiplicazione arriva anche oltre quattro volte: con brezze leggere di circa 20 km/h (una bella giornata d'estate sulla spiaggia), le velocità vanno da 45 a oltre 90 km/h. Per capire il confronto rispetto a un'imbarcazione a motore, basta ricordare che le imbarcazioni utilizzate per il supporto o il controllo in acqua durante gli allenamenti e le regate, sono dei motoscafi con almeno quattro motori da 450 cavalli di potenza.

L'efficienza raggiunta dipende sostanzialmente dalla possibilità di utilizzare materiali molto rigidi e molto leggeri (carbonio, titanio), dall'utilizzo di reti neuronali per la fase di progettazione -che consentono di ipotizzare e valutare le scelte alternative di progetto in una frazione del tempo che sarebbe necessario con metodi più tradizionali-, e dallo sviluppo di software che gestiscono buona parte dell'assetto delle barche in regata. Sia negli IMOCA della Vendèe Globe, che negli AC75 dell'America's Cup, le forze in gioco sono infatti impossibili da gestire con i soli riflessi di un essere umano, poiché richiedono aggiustamenti continui in grado di anticipare i movimenti della barca alle alte velocità, e questo avviene grazie a centinaia di sensori presenti in tutte le componenti vitali. I sensori possono essere incorporati nei materiali compositi della struttura, e anche nelle vele, collegati da fasci di fibre ottiche che ne trasmettono i segnali. Ci sono più di 300 sensori negli IMOCA, e più di 500 negli AC75.

Lo sviluppo di questi progetti fornisce una spinta notevole alla ricerca, anche seguendo criteri di sostenibilità. Ad esempio il team inglese, INEOS, per la fabbricazione della barca ha recuperato 1000 kg di scarti provenienti dalla fabbricazione di prodotti contenenti fibra di carbonio, riutilizzandoli secondo i princìpi dell'economia circolare. Il finanziatore del team italiano Luna Rossa, il gruppo Prada della famiglia Bertelli, ha lanciato a febbraio, in concomitanza con la campagna di Coppa America, un progetto educativo, "Sea Beyond", nato in collaborazione con l'UNESCO, tramite la Commissione oceanografica intergovernativa (Ico). Il 2021 infatti è l'anno che dà il via alla decade dedicata agli oceani (www.oceandecade.org), e il progetto propone un programma didattico sulla sostenibilità e l’economia circolare, centrato sull'ambiente marino, destinato a una rete di scuole secondarie su scala internazionale.

L'uso dei foils si è diffuso da alcuni anni ad ogni genere di 'imbarcazione' mossa dal vento, inclusi i windsurf e i catamarani di grandi dimensioni. Lo sviluppo delle conoscenze sull'uso di queste nuove appendici ha generato nuovi studi e sperimentazioni che negli ultimi anni hanno portato ad alcune realizzazioni fortemente innovative sulle geometrie e le strutture che rendono possibile ottenere maggiore velocità senza perdere il controllo.

Attualmente il record è stato stabilito nel 2012 da un oggetto formato da due bracci articolati a V, rispetto alla direzione di avanzamento, che hanno ad un'estremità la cabina del pilota, all'altra un'ala rigida regolabile, e un foil in prossimità del vertice, che ha superato i 120 km/h di media sul miglio: il nome di questo "razzo" è infatti "Sailrocket".

Le condizioni per queste prestazioni sono quelle tipiche di un tentativo di record: un tratto di mare vicinissimo ad una spiaggia, con vento da terra e quindi con acqua quasi priva di onda. Ma un'altra realizzazione, di nome Hydroptère, aveva raggiunto qualche anno prima in mare aperto velocità di circa 50 nodi tramite un trimarano di 18 mt con due foils inclinati a 45°, molto simili alle appendici che vediamo negli aliscafi.

Lo sfruttamento di vere e proprie ali rigide, al posto delle vele, è il risultato delle esperienze provenienti inizialmente dal mondo dei windsurf, i primi 'natanti' a ottenere elevate velocità in acqua, che usavano per le vele materiali molto rigidi e profili rastremati in prossimità dell'albero, e poi dai catamarani utilizzati nell'America's Cup del 2013 e 2017, che introducevano nella vela principale delle strutture totalmente rigide e profilate come delle ali.

L'uso di superfici alari rigide è stato introdotto di recente anche nella navigazione turistica e commerciale, per ridurre l'uso di carburante: in questo caso si tratta di vere e proprie navi, di grandi dimensioni e portata, che grazie a queste superfici diminuiscono la potenza necessaria alla navigazione (https://www.ecomarinepower.com/en/aquarius-system, http://www.dieselduck.info/library/11 interesting/2005 ES Orcelle.pdf).

Un altro esempio è l'introduzione di una sorta di rotori, messi in moto dal vento, che sfruttando la deviazione del flusso d'aria sulla superficie rotante, generano una depressione che facilita l'avanzamento (effetto Magnus), riducendo anche in questo caso in modo significativo il consumo di carburante (https://www.norsepower.com/cruise-ferry/).

Di recente sono nati almeno due progetti che intendono superare i 150 km/h, con approcci simili: creare un accoppiamento diretto fra la forza di propulsione di un 'kite', una sorta di paracadute utilizzato come vela, e una pinna dotata di foils in acqua, in grado di superare i limiti che insorgono in qualsiasi superficie immersa al superamento dei 50 nodi. Fra questi due estremi, in mezzo c'è una cabina per una o due persone, che in un caso si muove a contatto dell'acqua (SP80), e nell'altro è invece completamente fuori dall'acqua (Syroco). In quest'ultimo progetto c'è anche la consulenza dell'Università di Pisa.

Per ora si tratta di veri e propri esperimenti, che richiedono tuttavia di superare i limiti fin qui conosciuti al raggiungimento di nuove frontiere di efficienza nello sfruttamento delle forze dell'aria e dell'acqua. Le risorse coinvolte vedono molti giovani ricercatori, perché in fondo è la passione per il mare il vero motore di tutte queste avventure.

 

di Sebastiano Alemanno

martedì 27 aprile 2021