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Un futuro “per soli uomini” se non cambieremo il modo di raccogliere i dati

Nel loro volume, Emanuela Griglié e Guido Romeo raccontano come i criteri di elaborazione statistica possano creare discriminazioni di genere. Un soffitto di vetro diffuso ma forse più invisibile. 03/03/21

di Cristina Sivieri Tagliabue

La ricerca più impressionante è stata condotta in Australia, da Luke Holman, dell’università di Melbourne, e dimostra come l’arco di tempo necessario perché alcuni campi scientifici raggiungano la parità di genere vada ben oltre le tre generazioni. Infatti, ci vorranno 280 anni per la computer science, 258 per la fisica, almeno 60 per la matematica e fino a 320 per l’infermieristica per pareggiare tra uomini e donne. 

A leggere Per soli uomini (Codice Edizioni) ci si stupisce, non c’è che dire. È stato presentato la scorsa settimana in occasione della Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza e mette in fila una serie di evidenze che, insieme, suonano come uno schiaffo. Scritto da Emanuela Griglié e Guido Romeo (Codice Edizioni, 160pg), il titolo gioca sull’ironia ma è un valido strumento di supporto per coloro, sempre di più, che desiderano partecipare attivamente al dibattito non solo scientifico, ma culturale e politico del nostro Paese.

Quello, ahimè, di genere. Perché leggere questo libro, dunque? In primis per quanto annuncia il sottotitolo: i dati sono maschilisti, e questo libro lo dimostra con limpidezza cristallina. Di conseguenza, visto che tutte le scelte economiche e politiche di sviluppo di piccole e grandi imprese, e si spera anche dei Paesi, vengono prese grazie ai numeri che sottintendono queste scelte, si spiega molto facilmente come mai il femminile, le donne e le scelte per le donne siano state sempre andate in cavalleria. 

Per esempio, il libro racconta come sono state studiate le città, e la loro mobilità. Intere fette di popolazione, dimenticata. Eppure le donne si muovono molto, e il primo motivo di spostamento femminile è la famiglia (43%), seguita da sport, lavoro e istruzione perché sono le donne a farsi carico del 75% del lavoro non pagato di care giving (solo un bambino su quattro è accompagnato a scuola dal papà).  Tuttavia la rete dei mezzi pubblici è stata disegnata per gli uomini, e gli spostamenti delle donne sono ancora poco censiti. Inoltre, In Italia, soltanto l’8% delle vie è dedicato a personaggi femminili (quasi tutte sante). E ad andare a guardare i monumenti, non si casca meglio. Negli Stati Uniti le statue di donne sono il 10%.

Nei media le cose non vanno meglio se pensiamo che l’ultima misurazione del Global media monitoring project evidenzia nel Belpaese a fare notizia sono gli uomini: il 79% nell’informazione di stampa, radio e tv e il 73% nelle testate online e Twitter. E le donne sono il 18% degli autori invitati alle principali conferenze, il 20% dei professori e rispettivamente il 10 e il 15% dei ricercatori di aziende tecnologiche come Google e Facebook. E solo il 22% di chi lavora nell’intelligenza artificiale è donna.

Il secondo motivo è che leggendolo Per soli uomini si tira un sospiro di sollievo. Non c’è infatti nessun motivo oggettivo che giustifichi il fatto di essere state messe da parte per secoli. Anzi la segregazione del genere femminile è stata scientifica, ma basata - spesso - solo su strane credenze. Un esempio per tutti: la Nasa non le ammise tra le file dei propri astronauti fino al 1978 e tra le motivazioni c’erano leggende metropolitane come “effetti potenzialmente letali” delle mestruazioni nello spazio. Oggi, invece, l’agenzia spaziale americana ha fatto dell’inclusività la sua bandiera e promuove passeggiate spaziali tutte al femminile. Peccato, però, che proprio la prima sia saltata alla vigilia del debutto. Motivo: nessuno aveva pensato alla cosa più ovvia, ovvero che le tute spaziali erano disponibili solo in taglie da uomo. Perfino la tedesca Bundeswehr, uno degli ultimissimi eserciti ad aprire alle donne, si appresta a declinare al femminile i suoi ranghi gerarchici. Tuttavia, le soldatesse si lamentano perché, insieme alla parità lessicale vorrebbero anche stivali, divise ed equipaggiamenti della loro taglia. Non ci sono!

Ma non solo al ministero della Difesa le donne sono state “dimenticate”. La scienza medica ha trascurato metà della popolazione nello sviluppo dei farmaci. “Per secoli le donne sono state considerate portatrici di un valore socio-economico minore”, scrivono gli autori, “e di conseguenza la loro salute valeva meno”. Basti pensare che per secoli le ovaie furono chiamate i testicoli femminili e ottennero un nome proprio solo nel 1600.

E torniamo ai media. Charles Popenoe, direttore delle stazioni Wjz e Wjy di New York, giustificò il fatto di non avere speaker donne inventandosi un sondaggio: il 99% degli ascoltatori preferiva i presentatori di sesso maschile. Nel 1927 JC Steinberg dimostrò in un saggio intitolato “Comprendere le donne” che le frequenze della banda vocale riducono l’intelligibilità del linguaggio femminile tagliando le componenti di frequenza più elevate necessarie per la percezione di alcune consonanti. A suo parere non un problema tecnologico, ma un fallimento biologico femminile.

Il terzo ed ultimo motivo per leggere Per soli uomini è la prefazione scritta da Enrico Giovannini nella sua veste di portavoce dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (prima di entrare a far parte dell’attuale governo), che suggerisce come le donne riusciranno ad emanciparsi anche attraverso i criteri di rilevazione e presentazione dei dati. Dice Giovannini:

"La parola statistica deriva da ‘scienza dello Stato’, ovvero la scienza che descrive lo stato delle cose. Melchiorre Gioia ne scrisse nel 1826 in Filosofia della statistica di quanto la statistica fosse indispensabile per comprendere il funzionamento dello Stato. E il fine ultimo di questa scienza, scriveva, è misurare ‘la ricchezza e la povertà; la scienza o l’ignoranza; la felicità e l’infelicità; la moralità o la corruzione; l’incivilimento o la barbarie; la potenza o la debolezza delle nazioni".

Giovannini, ricordando la sua precedente esperienza di chief statistician dell’Ocse, aggiunge:

"inserimmo nel Quality Framework per le statistiche dell’OCSE l’impegno a pubblicare, ovunque possibile, dati disaggregati per genere. Da quel volume nacque poi l’idea di lanciare il sito Wikigender, uno strumento per creare una comunità internazionale di esperti sul tema delle politiche di genere a partire dalla promozione e produzione di statistiche che prendessero in considerazione tale aspetto, cosa all’epoca non cos. diffusa, anche in alcune organizzazioni internazionali".

Ecco. L’impressione è che la felicità delle donne molto dipenderà dai numeri che sapranno cambiare.

di Cristina Sivieri Tagliabue, giornalista

mercoledì 3 marzo 2021