Il respiro del giusto ritmo e della giusta distanza
Proviamo ad approfondire alcuni temi, partendo da una domanda rivolta a chi credere che tra qualche mese tutto sarà dimenticato: perché mai dovremmo rinunciare a ciò che ci è piaciuto?
di Francesco Morace
19 maggio 2020
E’ tempo di bilanci, anche se non definitivi. Il Covid-19 è stato un tragico Stress Test in cui abbiamo verificato le nostre capacità di reazione e resistenza. Ecco alcune ricadute socioculturali che abbiamo registrato: la velocità del virus ha smaschera la manipolazione di politici e complottisti, i protocolli collaborativi della scienza hanno sgominato le opinioni senza fondamento, la Salute Pubblica e il Welfare al femminile (i Paesi con donne al comando come Danimarca, Norvegia, Finlandia, ma anche Nuova Zelanda e Germania) hanno surclassato il Turbocapitalismo e i suoi campioni muscolari che ne escono con le ossa rotte (Johnson, Trump, Bolsonaro). La Prossimità (che non è Promiscuità) ha risposto al Distanziamento Fisico, il Capitale Sociale e l’Economia Civile indicato il giusto ritmo e la giusta distanza. Il Digitale ha dimostrato di poter avvicinare e non isolare le Persone.
Proviamo ad approfondire alcuni temi, partendo da una domanda rivolta a chi continua a credere che tra qualche mese tutto sarà dimenticato e torneremo a vivere come prima: perché mai dovremmo rinunciare a ciò che ci è piaciuto? Per questo motivo molto semplice, crediamo che invece si affermeranno nuove priorità e nuovi obiettivi per la nostra vita futura. Si reagirà alla polverizzazione del tempo e al congestionamento degli spazi con una nuova consapevolezza e una possibile alleanza virtuosa tra pubblico e privato.
Il virus ci ha riportato al vissuto intenso degli a-priori kantiani: il tempo e lo spazio. Ha ridisegnato la giusta distanza ma anche il giusto ritmo. Un vissuto del tempo più sano, con ritmi di vita in cui - dopo lo choc delle prime settimane - ci siamo volentieri accomodati, e a cui difficilmente rinunceremo in futuro. La frenesia insensata di un pendolarismo permanente, lascerà il posto a una consapevole centratura su di sé e sui propri luoghi di vita. Vorremo essere sempre presenti a noi stessi e lo faremo nei nostri riti da cortile e da quartiere, ricostruendo una vicinanza che il distanziamento fisico nega, rammendando un tessuto relazionale che negli anni si era slabbrato. Il ritmo di una pedalata o il respiro di una pianta saranno la nuova misura, così come la scansione di una convivialità che sarà tutta da inventare.
Oltre al giusto ritmo possiamo imparare anche la giusta distanza. I bravi fotografi la imparano presto: la distanza ideale per far respirare i soggetti ritratti. Non è la distanza di un selfie, che deforma i visi e i sorrisi. Non è la distanza del troppo vicino. È quella distanza che - facendo un passo indietro - ci permette di inquadrare la realtà, per meglio metterla a fuoco. La giusta distanza che è prossimità e non promiscuità. La giusta distanza dalle cose, che diventano utili quando impariamo a maneggiarle con cura, con gesti misurati da artigiano. La giusta distanza dalle informazioni, che per trasformarsi in conoscenza, richiedono riflessione e confronto. La giusta distanza dal digitale che rischia di diventare un gorgo in cui precipitiamo, invece di essere un pozzo da cui estrarre secchiate di meraviglia. La giusta distanza da noi stessi, da ego ipertrofici che hanno rischiato di portarci alla rovina.
Siamo stati ossessionati per decenni da visibilità e risonanza: esserci a tutti i costi, il terrore di perdersi qualcosa, non apparire nelle occasioni giuste. Oggi il Covid-19 ci insegna che la risonanza deve lasciare spazio alla consonanza: suonare con, essere in sintonia, come artisti e musicisti che dalle loro case hanno regalato talento senza pretendere folle adoranti. Questa è la cifra che dovremo imparare a riconoscere.
Una riflessione sui prossimi mesi: è normale desiderare ciò che ci manca. Non è quindi difficile immaginare ciò che avverrà. Un desiderio intenso e crescente per ciò che ci è mancato: gli abbracci dei parenti, i sorrisi degli amici, la complicità di colleghi e conoscenti. E poi i riti quotidiani, tanto semplici quanto essenziali: brioches e caffè al bar, partite a tennis con gli amici, passeggiate al parco, week end in gita o nelle seconde case (per chi ce l’ha). I riti dello shopping per quanto si potrà: accessori e abbigliamento, gioielli e lusso per chi potrà permetterselo, anche per celebrare feste e compleanni che abbiamo dovuto posticipare. Una nuova normalità all’insegna di un tempo quotidiano che non era abbastanza valorizzato prima, quando sembrava troppo normale. E’ questo l’effetto “alone” del Covid-19 che come un’astronave aliena è atterrato nella nostra vita radicalizzando ogni cosa, ogni occasione.
Un insegnamento su tutto: in periodi come questi bisogna valorizzare piuttosto che massimizzare; ciò che vale non ha prezzo. Come la salute e l’integrità che sono state attaccate così violentemente dal virus, nel corpo e nella mente. In questa fase le aziende devono valorizzare le relazioni invece di massimizzare il profitto. Il valore viene alimentato dal desiderio: si desidera ciò che ci manca, ed è così che si definisce il Valore. In questo modo si apre la fase della nuova normalità, votata alla valorizzazione. I progettisti avranno finalmente l'opportunità di fare ciò che sognano da sempre: chiudere gli occhi, immaginare il mondo come lo desiderano e disegnarlo. Lo ha fatto Renzo Piano con il Ponte, realizzato a tempo di record. Dovranno progettare spazi e ambienti mettendo al centro un diverso respiro attorno a noi. Questo ci permetterà di rispondere al distanziamento sociale con l'avvicinamento psichico della reciprocità: quello che per alcune settimane ci ha portato finalmente a viverci come una comunità di destino.
di Francesco Morace, sociologo e saggista, fondatore e presidente di Future Concept Lab