Vivere fino a 100 anni: un sogno o un incubo?
Si aprono grandi opportunità ma per goderne appieno dovremo preparare accuratamente il nostro futuro.
di Odile Robotti
30 giugno 2020
Vivere più di 100 anni? Per molti è un sogno. Per altri, soprattutto per chi nasce oggi, una probabilità sempre più elevata. Infatti, un baby boomer nato nel 1950 aveva una probabilità su 100 di arrivarci. Chi ha oggi 10 anni ha una probabilità incredibilmente più alta: oltre il 50%! In molti Paesi l’età media di uomini e donne supera già oggi, di poco o di molto, gli 80 anni. Ma vivere oltre i 100 potrà essere una benedizione o una disdetta a seconda che ci si prepari o meno. Buona salute, socialità, disponibilità finanziarie e famiglia sono componenti essenziali per essere centenari e felici, se no i problemi sono dietro l’angolo.
Nel 2020, per la prima volta nella storia, in alcuni Paesi come il Giappone e l’Italia gli adulti sopra i 65 anni sono più numerosi dei bambini sotto i cinque anni. Questa situazione, denominata “picco di giovinezza”, segna l’inizio del declino dei giovani nella società. La cosa non è di poco conto: i nostri sistemi pensionistici e di welfare saranno messi a dura prova dall’aumento dell’indice di dipendenza (il rapporto tra pensionati e lavoratori attivi) e dall’incremento della spesa sanitaria derivante dal grande numero di super-anziani. L’indice di dipendenza è previsto raggiungere il 42% già nel 2040 per toccare il 48% nel 2066. Se dal nostro punto di vista vivere più a lungo ci appare una fortuna, dal punto di vista della società nel suo complesso la longevità ci preoccupa perché capiamo che potrebbe essere uno tsunami in grado di travolgere tutto. In effetti, se tutto continuerà senza che la società si adegui, rischia di essere così.
Una vita centenaria è un dono a cui siamo poco preparati: le sue implicazioni, infatti, cambieranno profondamente il nostro modo di vivere. La vita fatta di tre stadi (studio-lavoro-pensione), per esempio, lascerà spazio a una vita multi-stadio in cui l’età non determinerà più la fase in cui ci si trova e in cui le competenze di transizione, cioè saper gestire il passaggio da uno stadio all’altro, saranno cruciali. L’interazione tra generazioni aumenterà perché ci si potrà trovare, con vari decenni di differenza nell’età anagrafica, nello stesso stadio della vita (immaginate un ventenne, un cinquantenne e un settantenne che seguono lo stesso corso professionale).
Il pensionamento si allontanerà non solo a causa dell’incremento dell’aspettativa di vita, degli aumenti dell’età pensionabile e di una nuova concezione più attiva dell’età matura, ma anche della necessità di integrare la pensione con redditi da lavoro. Il modello sociale che vedeva i figli assistere materialmente e economicamente genitori anziani si disgregherà per la riduzione del tasso di natalità e le inferiori disponibilità finanziarie delle nuove generazioni entrate nel mondo del lavoro durante la recessione. Avremo quindi più persone senior nel mondo del lavoro le quali, trovandosi a lavorare su un arco di tempo prolungato in un contesto in rapido cambiamento, dovranno investire più massicciamente e a più riprese nella propria riqualificazione.
Un importante punto finale riguarda la pianificazione del proprio tempo, cioè come spenderlo in maniera soddisfacente una volta in pensione: ancora troppo pochi ci pensano in anticipo. È bene pensarci e informarsi delle tante opportunità che ci sono per lasciare una eredità positiva nel mondo e per interagire con altre generazioni. Arrivare, cioè, al giorno della pensione avendo già riflettuto su come vogliamo spendere la prossima fase della nostra vita e avendo identificato il modo per farlo. Solo così potremo essere centenari felici.
di Odile Robotti, amministratore delegato di Leading Edge